Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46383 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 46383 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Perillo Michele, nato a Terzigno il 10.10.1946;
avverso l’ordinanza emessa il 14 febbraio 2013 dal tribunale del riesame di
Napoli;
udita nella udienza in camera di consiglio del 12 novembre 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento de/processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Napoli confermò il
decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del tribunale di Nola il
21.1.2013 nei confronti di Perillo Michele relativo ad opere abusive su un immobile sito in Terzigno in relazione ai reati di cui agli artt. 44 d.p.R. 6 giugno
2001, n. 380, e 181 d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Osservò il tribunale: – che si trattava di opera realizzata in difformità del titolo abilitativo posseduto (SCIA del 3 05.2012 per lavori di manutenzione straordinaria) in area di interesse pubblico e a rischio sismico con parziale cambio
di destinazione d’uso con opere, da abitazione a locale commerciale; – che le
difformità consistevano nella esecuzione di tre ampliamenti retrostanti il fabbricato esistente, costituiti da due solai con travettini in calcestruzzo e tavole, travi
e pilastri in cemento armato; – che tali opere comportavano un aggravio del carico urbanistico; – che comunque, dai rilievi fotografici in atti, all’atto dell’intervento l’opera non si presentava come ultimata; – che nel caso di specie l’opera in
c.a. era stata posta in essere in violazione delle norme urbanistiche in territorio
di interesse pubblico e a rischio sismico; – che sussisteva, dunque, l’esigenza di
evitare che la libera disponibilità del bene potesse aggravare o protrarre le con-

Data Udienza: 12/11/2013

seguenze del reato, trattandosi di opera realizzata in difformità dal titolo abilitativo (SCIA).
L’indagato, a mezzo dell’avv. Raffaele Leone, propone ricorso per cassazione deducendo mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. in relazione all’art.
321. Ricorda che aveva eccepito che gli ampliamenti contestati erano esterni
all’immobile e rappresentavano volume tecnico, ritenuto che la cassa scale e le
scale erano e sono inquadrabili in tale nozione. Ne deriva che le opere non incidono sul carico urbanistico. Lamenta ora l’assoluta mancanza di motivazione
dell’ordinanza impugnata. Osserva che le scale e le casse scale, cosi come contestate, devono essere considerate in rapporto di strumentalità con l’utilizzo della costruzione e non possono essere strutture generatrici del c.d. carico urbanistico. Inoltre è dubbio che si tratti di opere non ultimate, perché il concetto di
ultimazione non va ancorato alla sussistenza di tutte le rifiniture della struttura,
ma alla sussistenza di tutti i dati strutturali di un corpo di fabbrica. Nella specie,
la struttura da un punto di vista complessivo è ultimata, ma non rifinita.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato. Il ricorrente non contesta il fumus del reato bensì solo la sussistenza del periculum in mora, sostenendo, da un lato, che l’opera abusiva è ultimata, perché finita nella sua struttura anche se non rifinita, e,
dall’altro lato, che essa non incide sul carico urbanistico essendo strumentale
all’edificio preesistente.
Lo stesso ricorrente, dunque, sostiene che è stata completata la struttura
dell’opera, ma mancano le rifiniture. Ciò comporta che, ai fini che qui interessano, l’opera non può considerarsi ultimata e che il reato non si sia ancora consumato.
Invero, secondo la giurisprudenza: «La cessazione della permanenza del
reato di costruzione abusiva va individuato nel momento della ultimazione
dell’opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di ultimazione, contenuta nell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n.
47, e che anticipa tale momento a quello della ultimazione della struttura, è
funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per
stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di concessione (ora permesso di costruire)» (Sez. III, 3.6.2003, n. 33013,
Sorrentino, m. 225553); «L’uso effettivo dell’immobile, accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere “ultimato” l’immobile abusivamente realizzato, coincidendo l’ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni,
quali gli intonaci e gli infissi» (Sez. III, 18.10.2011, n. 39733, Ventura, m.
251424); «L’esigenza di impedire la prosecuzione dei lavori di edificazione di
un immobile abusivo ancora in corso è, di per sé, condizione suffìciente per disporne e mantenerne il sequestro preventivo, indipendentemente dalla natura
ed entità degli interventi da eseguire per ultimarlo» (Sez. III, 28.9.2011, n.
38216, Mastrantonio, m. 251302).
Nella specie, pertanto, sussiste il periculum in mora, dato dalla necessità di
impedire l’ultimazione delle opere abusive, sicché è irrilevante ogni considera-

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zione sull’incidenza sul carico urbanistico.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual i.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 12
novembre 2013.

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