Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46369 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46369 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Mediterranea Ricerca & Sviluppo s.r.l. ,
avverso la ordinanza 23/4/2013 del Tribunale per il riesame di Cosenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed I ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Luigi Riello , che ha concluso chiedendo il rigetto;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 18/2/2013, Il Tribunale per il riesame di

Cosenza, accogliendo l’appello proposto dal RM. avverso il decreto
18/2/2013 del Gip presso il Tribunale di Cosenza, reiettivo della misura
cautelare interdittiva richiesta, disponeva l’esclusione della società
Mediterranea Ricerca & Sviluppo s.r.l. da agevolazioni, finanziamenti,
contributi e sussidi per la durata di anni uno e la revoca di agevolazioni,
finanziamenti, contributi e sussidi attribuiti alla società a qualsiasi titolo.

1

Data Udienza: 16/10/2013

2.

Il Tribunale riteneva sussistente la presenza di gravi indizi di

responsabilità dell’ente per illecito amministrativo dipendente da reato (art.
640 bis cod. pen.) commesso dai suoi amministratori nell’interesse o a
vantaggio della società. La società Mediterranea Ricerca & Sviluppo s.r.l. si
era aggiudicata un pacchetto di finanziamenti pubblici con l’obiettivo di
«sperimentare e produrre integratori ed ingredienti alimentari ottenuti
attraverso l’utilizzo degli scarti di lavorazione dell’industria lattiero-

appurare numerose incongruenze nelle voci di spesa di corredo ai SAL
presentati per la erogazione della contribuzione pubblica, relative a rapporti
di collaborazione con numerose persone che avrebbero dovuto partecipare
ad una ricerca sulla natura e quantità dei principi attivi estratti da alghe. A
seguito di una perquisizione, avvenuta il 3 luglio 2012 nello stabilimento
della società, la P.G. aveva rinvenuto un complesso aziendale con evidenti
segni di decadimento legato ad incuria e mancato utilizzo, tali da far ritenere
che il processo di lavorazione non aveva mai avuto inizio. Un’ulteriore
incongruenza riguardava una fattura emessa dalla Co. Eco S.a.s. di
Chiappetta Donatella & C. relativa ad una fornitura dell’importo di C.
76.800,00. Quindi il Tribunale osservava che, alla luce del le indagini svolte,
non esistevano le premesse in fatto per la sperimentazione e la produzione
degli integratori ed ingredienti alimentari oggetto di ricerca, essendo
emersa soltanto una mera apparenza di attività economica messa in piedi al
solo fine di lucrare delle erogazioni finanziarie sotto forma di finanziamento a
fondo perduto o a tasso agevolato. Quindi il Tribunale riteneva sussistente il
requisito della rilevante entità del profitto ed il pericolo di reiterazione del
reato da parte dell’ente, essendo irrilevanti le dimissioni dei due
amministratori, Mazza e Garaffa, imputati nel procedimento penale in corso.

3.

Avverso tale ordinanza propone ricorso il difensore della società,

sollevando cinque motivi di gravame.
3.1

Con il primo motivo deduce violazione di norme processuali stabilite a

pena di nullità e si duole che nei confronti dell’ente siano state effettuate
attività istruttorie, perquisizione e sequestro, proroga delle indagini
preliminari e svolgimento dell’udienza di cui all’art. 47 D.Igs 231/2001 per
l’applicazione delle misure cautelari, senza che il P.M. o il Gip nominassero
all’ente il difensore d’ufficio, che veniva nominato solo in sede di riesame.
Eccepiva, quindi, che non avendo avuto il difensore dell’ente la possibilità di

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casearia». Le indagini della Guardia di Finanza avevano permesso di

partecipare all’udienza camerale svoltasi innanzi al Gip, tutti gli atti
successivi dovevano considerarsi nulli, con la conseguenza che il
procedimento doveva regredire allo stato precedente alla pronunzia del
Tribunale per il riesame.
3.2

Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art.

45 D.Igs 231/2001 contestando la sussistenza del pericolo di reiterazione del
reato. Al riguardo si duole della motivazione del Tribunale che aveva escluso

reiterazione, osservando apoditticamente che la società «in seno alla sua
organizzazione complessa può vantare altri ed anche più efficienti cursori del
crimine» ed osserva che, per effetto di sequestro preventivo, eseguito in
data 18/2/2013, sono state vincolate tutte le attività patrimoniali, mobili ed
immobili della società ed affidate ad un custode giudiziario.
3.3

Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 5

D.Igs 231/2001, eccependo che la persona giuridica non aveva ricevuto
alcun vantaggio dai fatti per i quali era stato intravisto un fumus di reato
perchè le somme ipoteticamente locupletate erano solo transitate nei conti
delle società per essere poi accreditate sui conti personali dei vari
collaboratori, i quali le avrebbero restituite in parte in contanti soltanto agli
amministratori indagati dimissionari.
3.4

Con il quarto motivo deduce la mancanza della condizione del profitto

di rilevante entità, richiesto dall’art. 13 del D.Igs 231/2001 per l’applicazione
della sanzione interdittiva
3.5

Con il quinto motivo deduce violazione di norme processuali stabilite

a pena di nullità per l’inosservanza dell’art. 63 cod. proc. pen. Al riguardo
eccepisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Caruso Pier Bartolomeo,
in relazione alla fattura 225 del 30/11/2007.
Al ricorso sono allegati documenti tratti dal procedimento penale in corso e
due consulenze tecniche di parte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è infondato.

2.

Per quanto riguarda il primo motivo, in punto di mancata nomina di

un difensore all’ente per la partecipazione all’udienza camerale di cui all’art.

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che le dimissioni degli amministratori indagati incidessero sul pericolo di

47 D.L.vo n. 231/2001, la censura è inammissibile per difetto di interesse
poiché il Gip, all’esito dell’udienza camerale, con decreto 18/2/2013, ha
respinto la richiesta di applicazione nei confronti della società della misura
cautelare interdittiva richiesta dal RM. La ricorrente, pertanto, non può
dolersi di alcun effetto concretamente pregiudizievole per i suoi interessi
derivante dalla mancata nomina e dalla mancata partecipazione di un suo
difensore all’udienza innanzi al Gip. Per quanto riguarda, invece, l’udienza

dell’ente è stato regolarmente avvisato e non ha inteso comparire. Non si
ravvisa, pertanto, alcuna violazione del diritto alla difesa in danno della
società ricorrente.

3.

Per quanto riguarda il secondo motivo, in punto di pericolo di

reiterazione del reato, le censure della società ricorrente sono infondate. La
semplice circostanza, infatti, che gli amministratori indagati, abbiano
dichiarato di dimettersi dalle loro funzioni, senza – peraltro – essere stati
sostituiti, non costituisce, di per sé, sintomo del superamento delle
circostanze che hanno dato origine alle condotte illecite. Ha osservato al
riguardo la giurisprudenza di questa Corte che la valutazione della
sussistenza delle esigenze cautelari che costituiscono, insieme al “fumus
commissi delicti”, il presupposto per l’applicazione delle misure cautelari
interdittive a carico dell’ente, implica l’esame di due tipologie di elementi: la
prima, di carattere oggettivo ed attinente alle specifiche modalità e
circostanze del fatto, può essere evidenziata dalla gravità dell’illecito e dalla
entità del profitto; l’altra ha natura soggettiva ed attiene alla personalità
dell’ente, e per il suo accertamento devono considerarsi la politica di
impresa attuata negli anni, gli eventuali illeciti commessi in precedenza e
soprattutto lo stato di organizzazione dell’ente (Cass. Sez. 6, Sentenza n.
32626 del 23/06/2006 Cc. (dep. 02/10/2006) kv. 235634). Ha precisato la
Corte in motivazione che, nell’ipotesi di responsabilità derivante da condotte
poste in essere dai dirigenti dell’ente, la sostituzione o l’estromissione degli
amministratori coinvolti possono portare a escludere la sussistenza del
“periculum”, purchè ciò rappresenti il sintomo del fatto che l’ente inizia a
muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata nel senso della
prevenzione dei reati.

4.

Nel caso di specie, pertanto, correttamente il Tribunale ha escluso

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e/t-7

svoltasi dinanzi al Tribunale per il riesame di Cosenza, il difensore d’ufficio

che le semplici dimissioni degli amministratori possano portare ad escludere
la sussistenza del “periculum” in assenza di elementi sintomatici di una
svolta nell’organizzazione dell’ente.

5.

Per quanto riguarda il terzo motivo, in punto di sussistenza dei

presupposti per la responsabilità dell’ente, la questione è stata affrontata
dal Tribunale con una motivazione in fatto„ che non può essere rivalutata in

dell’embione investigativo non è mai esistita la pura volontà di avviare la
produzione degli integratori ed ingredienti alimentari oggetto di ricerca:
«E’, invece, esistito il proposito di sottrarre denaro pubblico ai cittadini,
creando una mera apparenza di operazione economica al solo fine di lucrare
delle erogazioni finanziarie, sotto forma di finanziamento a fondo perduto o
a tasso agevolato>>. Tali premesse motivazionali giustificano le conclusioni
assunte in punto di sussistenza della responsabilità dell’ente, ex art. 5
D.L.vo n. 231/2000. Di conseguenza anche il terzo motivo di ricorso deve
essere respinto.

6.

Anche il quarto motivo, in punto di insussistenza del requisito del

profitto di rilevante entità per l’ente, non può trovare accoglimento, ove si
tengano presente i limiti del giudizio per cassazione in ordine alle misure
cautelari reali, che non può estendersi al punto di sindacare i vizi della
motivazione, fatto salvo il caso di motivazione apparente o assente (Cass.
(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43068 del 13/10/2009 Cc. (dep. 11/11/2009 )
Rv. 245093). Nel caso di specie la Corte ha riconosciuto la sussistenza del
requisito della rilevante entità del profitto con una motivazione che non può
ritenersi meramente apparente. Conseguentemente il motivo deve essere
respinto.

7.

Infine deve essere respinto anche il quinto motivo in punto di nullità

e/o inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Caruso Pier Bartolomeo in
ordine alla fattura 225 del 30/11/2007, per inosservanza dell’art. 63 cod.
proc. pen.. Costui ebbe a rendere dichiarazioni auto ed etero indizianti e
venne indicato come indiziato di reato nell’informativa redatta dalla Guardia
di Finanza, depositata in data 27/3/2013. Al riguardo occorre precisare che,
effettuando una prova di resistenza, l’eventuale inutilizzabilità delle
dichiarazioni etero ed autoindizianti rese dal Caruso alla P.G. non

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sede di legittimità. Ha osservato, infatti, il Tribunale che, alla luce

travolgerebbe la compattezza logica dell’impianto argomentativo, essendo
l’episodio relativo al narrato del Caruso soltanto uno dei numerosi elementi
che concorrono a formare il quadro indiziario.

8.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagamento delle spese
processuali.
Così deciso, il 16 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

I

sidente

pagamento delle spese del procedimento.

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