Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46341 del 04/07/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46341 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PERNICOLA DONATA N. IL 02/02/1987
avverso l’ordinanza n. 8471/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
29/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. 34(kxppe____

4-*Cà– 0

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 04/07/2013

Nell’interesse dell’indagata è stato presentato ricorso per i seguenti motivi :
1. la motivazione dell’ordinanza non esamina la sussistenza di elementi da cui può desumersi
che le esigenze cautelari, nel caso di specie, possono essere soddisfatte con altre misure. Le
circostanze fattuali che conducono a questa conclusione sono le seguenti :l’indagata è stata
sottoposta alla misura cautelare,all’esito dell’ascolto di intercettazioni ambientali effettuate
in occasione dei colloqui intercorsi in carcere con il proprio compagno Di Gioia Isidoro. Gli
atti illeciti sono stati compiuti in base alle indicazioni del predetto, nei cui confronti ha una
sudditanza psicologica.; una volta stabilita una considerevole distanza tra queste due persone
e l’impossibilità di comunicazione ,
sarebbe necessaria la dimostrazione della
inadeguatezza, anche in questa nuova situazione, delle esigenze di prevenzione speciale.
All’origine della condotta illecita della donna vi è quindi l’appartenenza familiare e non la
condivisione degli obiettivi tipici del pactum sceleris del sodale.
2. l’incensuratezza è stata ritenuta insufficiente ai fini di una prognosi favorevole sui futuri
comportamenti , senza tener conto che ,una volta interrotto il canale di comunicazione con il
Di Gioia, anche la misura degli arresti domiciliari renderebbe impossibile il reiterarsi della
condotta generativa del fatto reato.
Il ricorso non merita accoglimento.
E’ del tutto infondato il primo argomento, relativo all’esclusivo carattere affettivo —familiare del
vincolo tra la donna e il capo del clan camorristico, reciso o allentato il quale, verrebbe meno la
pericolosità della Pernicola. Le indagini sin qui svolte hanno dimostrato che la moglie del Di Gioia
Isidoro non solo ha svolto il ruolo di emissaria del detenuto ( portando all’esterno le sue
disposizioni per lo svolgimento delle illecite attività del clan) , ma ha acquistato sul campo la
funzione di recupero, custodia , valutazione commerciale e vendita delle numerose armi del
gruppo. Questo ruolo di protagonista svolto dalla Pernicola nell’associazione criminosa
razionalmente è stato ritenuto dimostrativo della sussistenza non di un personaggio femminile
sottomesso ai voleri del marito e acritico strumento di quest’ultimo,in un ristretto contesto
familiare, ma della sussistenza di un consapevole, attivo e intraprende soggetto cardine,
operativo nell’ampio contesto dell’associazione criminosa. La prognosi sul recupero alla legalità
della ricorrente e sul contestuale venir meno della sua pericolosità , una volta liberata dai contatti
con il marito ,costituisce quindi un’ipotesi difensionale assolutamente priva di agganci a fatti
concreti e a razionali previsioni.
L’argomento della sua incensuratezza perde qualsiasi rilievo alla luce della presunzione di
sussistenza di esigenze cautelari e della inadeguatezza di misure coercitive diverse dalla custodia
in carcere, a norma dell’art. 275 co. 3 c.p.p..
Il ricorso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM

FATTO E DIRITTO
Con ordinanza 29.11.2012, il tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza 18.10.2012 , emessa
dal Gip del medesimo tribunale, applicativa della misura della custodia in carcere a Pernicola
Donata, in ordine al delitto di partecipazione ad associazione di stampo camorristico,
specificamente al clan Di Gioia ,capeggiato da Di Gioia Gaetano, sino al 31.5.09, data della sua
morte , e poi dal figlio Isidoro (capo A) e ai delitti di porto e detenzione illegali di armi da sparo,
aggravati ex art. 7 L. 203/91(capo S). Quanto alle esigenze cautelari ,i1 tribunale, rilevato che il
titolo cautelare di cui al capo A(art. 416 bis c.p.) e l’aggravante relativa al reato di cui al capo S
(art. 7 L.203/91) rendono operativa la presunzione delle esigenze cautelari, sancita dal disposto ex
art. 275 co. 3 cpp, e di inadeguatezza delle misura cautelari diverse da quella carceraria, ha ritenuto
comunque sussistente il pericolo di reiterazione a carico della ricorrente, comprovato dalle
modalità e circostanze delle condotte a lei ascritte.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

Roma 4.7.2013

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