Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46340 del 04/07/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46340 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Stefani Sergio Maria, nato a Roma 1’08/05/1982

avverso l’ordinanza emessa 1’08/02/2013 dal Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Caterina Calia, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di Sergio Maria Stefani ricorre avverso l’ordinanza emessa
1’08/02/2013 dal Tribunale di Milano, con la quale è stata rigettata una richiesta
di riesame avanzata nell’interesse dello stesso Stefani in relazione all’ordinanza

Data Udienza: 04/07/2013

applicativa della custodia in carcere disposta nei suoi confronti dal G.i.p. dello
stesso Tribunale in data 09/01/2013 (ai sensi dell’art. 27 del codice di rito, dopo
una prima ordinanza restrittiva emessa dalla A.G. di Perugia): il ricorrente risulta
sottoposto a indagini per i delitti di cui agli artt.

270-bis e 302 cod. pen.

(nell’ipotesi della istigazione, come riqualificato l’addebito, inizialmente formulato
come concorso diretto in una serie di attentati rilevanti ex art. 280 cod. pen.,
dalla stessa decisione impugnata), aggravati ai sensi dell’art. 4 della legge n.
146 del 2006. In particolare, si assume che lo Stefani sia membro di una

“Federazione Anarchica Informale / Fronte Rivoluzionario Internazionale”, avente
carattere di transnazionalità, connotata da iniziative propagandistiche (anche via
web) e dal ricorso ad attentati ed azioni violente con uso di armi e materie
esplodenti, sia in Italia che all’estero.
L’assunto della difesa, già a proposito della valutazione delle caratteristiche
obiettive della struttura all’interno della quale il prevenuto avrebbe operato, è
tuttavia nel senso dell’impossibilità di considerare la F.A.I. dotata di una stabile
organizzazione, requisito imprescindibile per potersi affermare la sussistenza del
reato sanzionato dall’art.

270-bis cod. pen.: infatti, richiamando gli stessi

riferimenti giurisprudenziali citati nel provvedimento impugnato, il ricorrente
lamenta che se è vero che questa Corte aveva affermato l’esistenza di gravi
indizi di colpevolezza quanto al delitto de quo decidendo sulle istanze de libertate
presentate da alcuni soggetti che si assumevano aderenti alla F.A.I. in un
procedimento già pendente presso la A.G. di Terni, va considerato che in quello
stesso procedimento il giudizio di merito è stato definito nel febbraio 2013 dalla
Corte di assise di appello di Perugia con la totale riforma della sentenza di primo
grado, escludendosi la sussistenza del reato anzidetto. A tale proposito, il
difensore dello Stefani segnala fra l’altro come non possa condividersi la tesi
accusatoria – già esposta in quel giudizio – secondo cui basterebbe utilizzare la
sigla di un’associazione che si sappia esistente, per esserne ritenuti partecipi (sul
presupposto dell’assenza di figure apicali all’interno di quella struttura, preposte
a valutare se taluno abbia i requisiti per esservi ammesso).

2. Nello specifico della attuale posizione dello Stefani, si lamenta che il
Tribunale di Milano avrebbe cercato di dimostrare sia l’attribuibilità alla F.A.I. di
una struttura idonea a ritenere configurabili i reati ipotizzati, sia il ruolo di vertice
che l’indagato vi avrebbe rivestito: ciò, tuttavia, sarebbe stato esposto nella
decisione impugnata riproducendo una serie di documenti del tutto disparati,
riferibili ad un lungo lasso temporale e di incerta riferibilità a soggetti
determinati. Al contrario, numerose altre pronunce, il cui contenuto viene

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presunta associazione sovversiva di matrice anarco-insurrezionalista denominata

riportato per ampi stralci nei motivi di ricorso (fra le altre, del Tribunale di
Bologna in data 11/06/2005 e della Corte di assise di Roma in data 28/02/2006,
quest’ultima in una vicenda che vedeva imputato lo stesso Stefani e che la difesa
reputa sostanzialmente sovrapponibile a quella odierna), sono pervenute ad
opposte conclusioni, fermandosi già alla presa d’atto dell’insussistenza di una
dimensione strutturata ed organizzata del presunto sodalizio.
La stessa conclusione fatta propria dal Tribunale di Milano, nel senso della
derubricazione del secondo addebito in quello di istigazione al compimento di

terroristica denominata “Eat the rich”, culminata in due attentati con esplosione
di ordigni presso il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo e
presso l’università “Luigi Bocconi” di Milano, nel dicembre 2009) confermerebbe
l’impossibilità di ravvisare una struttura propulsiva e volta all’adozione
organizzata di condotte di carattere sovversivo: lo Stefani, redigendo alcuni
comunicati resi pubblici attraverso la rete intemet, avrebbe adottato iniziative
del tutto personali ed estemporanee, peraltro realizzando – al più, secondo il di
lui difensore – una istigazione da qualificare ex art. 414 cod. pen.
A riguardo, la difesa rileva che gli scambi di comunicazioni fra vari soggetti
all’epoca detenuti (come lo Stefani, in relazione ad alcune delle vicende
pregresse già ricordate) non miravano a concertare attentati, ma solo l’adozione
di iniziative di protesta come il ricorso ad uno sciopero della fame nelle ultime
settimane del 2009, tendenzialmente nei carceri di tutto il mondo: va peraltro
considerato che quella corrispondenza era oggetto di visti di censura, circostanza
ampiamente nota all’indagato. In definitiva, nella ricostruzione difensiva si
sostiene che il ricorrente sarebbe stato sottoposto a privazione della libertà per
le idee da lui espresse (indubbiamente di matrice anarchica, ma senza reali
finalità sovversive) e non per il concreto coinvolgimento del medesimo in fatti
costituenti reato: anche in punto di esigenze cautelari e di valutazione della
personalità, gli elementi esposti dal Tribunale avrebbero taglio assolutamente
generico e non individualizzante.
La circostanza che il prevenuto fosse già in stato di custodia cautelare per la
sua presunta partecipazione ad associazioni sovversive imporrebbe peraltro una
retrodatazione dei termini di restrizione quanto all’ordinanza oggetto di ricorso,
dal momento che «la condotta fattuale ascritta allo Stefani (attribuita sulla base
delle lettere scritte in corso di carcerazione nel periodo novembre 2009 febbraio 2010) rientra totalmente nel periodo in cui si ritiene abbia operato come
partecipe della associazione contestata nel proc. n. 3546/08 N.R. Perugia (fino al
16/04/2010). La seconda misura cautelare è stata peraltro richiesta dal
medesimo ufficio (Procura di Perugia) sulla base di atti acquisiti nel corso

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azioni violente, e non già di concorso diretto nelle stesse (una campagna

dell’esecuzione della prima misura, e verte su fatti che erano già noti all’ufficio
procedente al momento della chiusura delle indagini».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso merita accoglimento, nei termini appresso evidenziati.

Sezione di questa Corte con la sentenza n. 49892 del 20/12/2012, nel momento
in cui veniva affermata la competenza della A.G. milanese a conoscere dei fatti
qui contestati allo Stefani (nonché alla di lui moglie): in detta pronuncia si
rilevava che dalla valutazione in unicum dei provvedimenti restrittivi emessi a
carico – anche – del prevenuto dal G.i.p. e dal Tribunale del riesame di Perugia
era certamente possibile «rintracciare la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, come emergenti dalla documentazione e dalla corrispondenza
acquisite, nonché dalle conversazioni intercettate: da tali elementi il Tribunale ha
ritenuto di poter qualificare la Federazione Anarchica Informale come
organizzazione eversiva in quanto, sebbene non gerarchicamente strutturata e
contraria a forme di sottoposizione a figure autoritative e verticistiche, la stessa
risulta articolata in una pluralità di cellule autonome in posizione paritaria ed in
grado di agire direttamente, accomunate dallo stesso credo ideologico e dalla
condivisione delle forme di lotta violenta contro i simboli del potere costituito,
non veicolati da direttive o indicazioni impartite da esponenti con funzioni
dirigenziali, in quanto tali ripudiati dall’anarchismo, ma dal dibattito interno tra
partecipanti e dagli indirizzi ideologici dati dai militanti, spesso detenuti, autori di
comunicati e rivendicazioni divulgati anche in via telematica, costituenti soltanto
delle linee-guida per le azioni di lotta, tradotte in pratica poi dai singoli organismi
in piena autonomia quanto al “come specifico” e “quando agire”. Ha quindi
riscontrato l’efficacia esecutiva delle campagne di lotta, indette dagli ideologi
della F.A.I. e realizzate con sincronia di tempi ed analogia di modi ed obiettivi
dalle varie cellule attive sul territorio, anche di paesi esteri, caratterizzate da
costanza di azioni aggressive nell’ultimo decennio, delocalizzazione e variabilità
degli obiettivi colpiti e trasversalità delle finalità ideologiche perseguite onde
estendere la visibilità del contributo al dibattito rivoluzionario, agito direttamente
mediante gli attacchi compiuti con modalità violente. Per quanto contestato dalla
difesa, che ha richiamato provvedimenti resi da giudici di merito, che hanno
negato la configurabilità della F.A.I. quale associazione con finalità di terrorismo

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2. Deve innanzi tutto prendersi atto di quanto evidenziato dalla Prima

ed eversione, in senso contrario sono note pronunce di legittimità 4i segno
;contrario[..].
Dalle emergenze probatorie acquisite il Tribunale ha altresì ricavato il quadro
indiziario per ipotizzare come altamente probabile l’adesione dello Stefani
all’associazione terroristica ed eversiva F.A.I., la promozione ed organizzazione
da parte dello stesso in sintonia di intenti con i coindagati nel corso del periodo
di detenzione presso la Casa Circondariale di Alessandria nel 2009 della
campagna di lotta “Eat the rich” ed il compimento di atti propulsivi e di stimolo di

l’Università Bocconi di Milano, preceduta da scambio di comunicati e missive con
altri militanti ed ideologi, in specie col Pombo da Silva e col Camenisch, alcune
delle quali tradotte dallo spagnolo dal Settepani per renderle comprensibili anche
allo Stefani e ad altri aderenti all’organizzazione e divulgate mediante
immissione nel blog “culmine”, gestito dai coindagati Fosco e Di Bernardo, grazie
ad una rete di comunicazioni personali ed a distanza, che aveva consentito di
mantenere inalterati ed effettivi i contatti tra associati detenuti e liberi […]. In
particolare, sono stati analizzati la sequenza cronologica dei contatti, il contenuto
delle missive, la reiterata sollecitazione da esse ricavabile rivolta dallo Stefani ai
compagni liberi alla solidarietà con i detenuti mediante l’azione di distruzione
violenta, che è molto più rilevante e deve venire “prima delle carte” e ad
emulare l’esempio di Mauricio Morales, l’apprezzamento per le lettere inviategli
dal Fosco, nelle quali aveva dichiarato di avvertire “profumo della prima neve, di
benzina e di rivolta” per esprimere in tal modo la propria approvazione
preventiva per i manifestati propositi di guerra contro il sistema e per la scelta di
“qualcosa di rumoroso”. L’ordinanza impugnata contiene poi la disamina di altre
circostanze, ritenute di rilievo, quali la diffusione, dopo entrambi gli episodi
avvenuti in danno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca
d’Isonzo e presso l’Università degli Studi Luigi Bocconi di Milano, dei documenti
di rivendicazione, firmati da “Sorelle in armi / Nucleo Mauricio Morales / FAI”,
con i quali era stata lanciata l’operazione “Eat the rich – Fuoco ai Cie” a sostegno
degli immigrati e contro ogni forma, anche culturale ed attuata mediante il
sistema carcerario, di sfruttamento e dominio, attentati dichiarati dallo Stefani e
dal Settepani come coincidenti con la seconda settimana di sciopero della fame
attuata dal Pombo da Silva, dal Camenisch e da altri militanti […].

Il Tribunale ha poi ricondotto all’attuazione del programma criminoso
dell’associazione terroristica ed alle iniziative promosse anche dallo Stefani le
azioni di attentato, contestate al capo B), sulla scorta di plurimi elementi
indiziari, rappresentati: a) dalla lettera che il Pombo da Silva aveva inviato allo
Stefani il 3 gennaio 2010, nella quale aveva mostrato compiacimento per l’azione

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specifiche azioni dinamitarde contro i C.I.E. e le istituzioni culturali, quali

in danno del C.I.E. di Gradisca e l’Università Bocconi di Milano, intese quali
risposta al loro precedente appello alla mobilitazione, veicolato al blog “culmine”
ai militanti liberi; b) dai volantini di rivendicazione ove era stato dichiarato che i
due attacchi avevano costituito la risposta agli inviti di Pombo da Silva alla
solidarietà internazionale con lotte attuate all’interno delle carceri dai detenuti
anarchici; c) dall’indicazione del nome di Mauricio Morales quale comune punto
di riferimento ed esempio da emulare, non già da commemorare con iniziative
ideali, ma vissute; d) dalle forti analogie semantiche tra il comunicato dei

messaggi di rivendicazione e il c.d. “messaggio nella bottiglia” fatto recapitare
dallo Stefani tramite la compagna Katia Di Stefano a Stefano Gabriele Fosco
mediante consegna alla stessa durante un colloquio avvenuto presso il carcere di
Alessandria ove il primo era ristretto, nel quale documento si era sollecitata ai
compagni liberi l’azione diretta, si era manifestata l’intenzione di sommare la
propria forza a quella dei destinatari per scagliarsi contro il nemico comune
nell’azione di guerra totale al sistema, si era richiamato il sacrificio di Morales,
deceduto il 22 maggio mentre stava realizzando un attentato dinamitardo in Cile
contro una stazione di polizia; e) dal resoconto, inviato dal Fosco allo Stefani,
delle varie azioni di lotta verificatesi in vari paesi in quanto lo sciopero della fame
aveva dato il “via alla miccia insurrezionale con azioni sempre più potenti.. tutti i
compagni sentono il bisogno di non far spegnere la fiamma” […]. Inoltre, è
stata riportata parte di una missiva inviata dallo Stefani a tale Gabriele Onofri,
nella quale egli aveva fornito espresse e chiare indicazioni circa altri possibili
obiettivi della lotta anticarceraria, ritenendo i presidi di protesta fuori dalle
carceri insufficienti, necessario abbandonare l’attendismo e suggerire una
gamma più ampia possibile di strumenti di lotta, di rendere noti gli indirizzi dei
nemici, in qualche modo collegati agli istituti di pena, di colpire la scuola di
formazione, situata vicino alla sua abitazione, e gli alloggi del personale di polizia
penitenziaria in concomitanza con i concorsi per le assunzioni […].
Parimenti dimostrata è anche l’urgenza di imporre il provvedimento
custodiate al fine di prevenire il pericolo di recidivazione: correttamente il
Tribunale ha posto in luce, proprio con riferimento alla posizione dello Stefani,
come i suoi propositi criminosi e le sue attività non fossero cessate, né frenate
nemmeno dallo stato di detenzione, che anzi gli aveva suggerito di intensificare
l’azione di lotta contro il sistema carcerario e di individuare nuovi obiettivi per
azioni dirette, che la gravità delle condotte attuate dal F.A.I., la natura del suo
programma di abbattimento del sistema di potere costituito, intrinsecamente
proiettato verso il futuro, la periodicità delle campagne di lotta con modalità
violente, il ruolo svoltovi dal ricorrente, imponessero con urgenza di impedire la

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prigionieri di guerra pubblicato in rete, il cui contenuto era stato trasfuso nei

commissione di altre analoghe condotte criminose, esigenza tutelabile soltanto
con la misura applicata».
Nella medesima decisione si perveniva invece a diverse conclusioni quanto
alla posizione di Katia Di Stefano, che risultava soltanto essersi prestata a
trasmettere all’esterno dal carcere un messaggio, ricevuto dallo Stefani, ed a
consegnarlo al Fosco perché fosse diramato via web: un intervento che doveva
considerarsi unico ed isolato, senza che né dalla corrispondenza, né da altra
fonte fosse emerso il coinvolgimento della donna, anche nel periodo successivo,

3. Le argomentazioni sviluppate nella sentenza appena richiamata non
possono vincolare questo collegio, giacché la disamina in ordine alla gravità
indiziaria ed alla sussistenza di esigenze cautelari era ivi compiuta nel tracciato
dell’ordinanza in quella sede impugnata, richiamandosi le indicazioni di questa
Corte secondo cui «in caso di incompetenza per territorio del giudice che ha
emesso il provvedimento cautelare, l’ordinanza del Tribunale del riesame deve
essere annullata, con conseguente liberazione dell’indagato, se ad un preliminare
esame dell’ordinanza impugnata e del provvedimento cautelare non si rilevi la
necessaria specificazione dei gravi indizi di colpevolezza e l’indicazione delle
esigenze cautelari connesse con l’urgenza di adottare la misura; nel caso,
invece, di riscontro positivo di questi requisiti, il provvedimento, seppur affetto
da vizio di motivazione, non va annullato, ferma restando la trasmissione degli
atti al giudice ritenuto competente, perché alla Corte non è dato rilevare detto
vizio a fronte dell’incompetenza per territorio del giudice della cautela, sempre
che esso non sia di consistenza tale da travolgere anche il provvedimento
impositivo della misura, a sua volta difettoso nella motivazione» (Cass., Sez. IL
n. 26286 del 27/06/2007, Rossini, Rv 237268).
Nel corpo della sentenza n. 49892/2012, la Sezione Prima spiegava infatti
che «quando la valutazione dei provvedimenti del G.i.p. e del Tribunale del
riesame consenta di rintracciare il requisito della gravità indiziaria e dell’urgenza,
la Corte di Cassazione dovrà limitarsi ad individuare il giudice competente ed a
disporre la trasmissione degli atti a quest’ultimo, mentre nel caso opposto dovrà
rilevare la violazione di legge insita nella sottoposizione a misura coercitiva in
assenza delle condizioni di legge e disporre la remissione in libertà dell’indagato.
Resta, invece, estranea al perimetro cognitivo del giudice di legittimità in tali
situazioni la verifica circa la congruità e logicità della motivazione dell’ordinanza
del Tribunale, conducibile soltanto nei confronti del provvedimento emesso in
sede di rinvio, frutto di un rinnovato apprezzamento della vicenda cautelare in
tutti i suoi aspetti».

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in altre attività riconducibili alla F.A.I.

Ed è appunto questa la sede propria per la verifica da ultimo evidenziata,
essendo stata avanzata richiesta di riesame, poi qui impugnata ex art. 311 cod.
proc. pen., avverso l’ordinanza custodiale finalmente emessa dal giudice ritenuto
competente.

4. Tanto premesso sul piano formale, rileva la Corte che gli elementi
evidenziati dal Tribunale di Milano appaiono congruenti e logici in punto di
affermazione della gravità indiziaria circa la possibilità di qualificare la

anche internazionale, e di eversione dell’ordine democratico; non invece a
proposito:
– della ritenuta (attuale) intraneità dello Stefani al sodalizio medesimo,
considerando che la contestazione del reato sub A) si riferisce al periodo a
decorrere dal maggio 2009 e se ne ravvisa la permanenza;
– della riferibilità allo stesso Stefani delle condotte contestategli al capo B), sia
pure riqualificate ex art. 302 cod. pen.

5. Con riguardo al delitto previsto dall’art. 270-bis, questa stessa Sezione,
con la sentenza n. 12252 del 23/02/2012 (ric. Bortolato), ha avuto modo di
affermare che la più risalente elaborazione giurisprudenziale individuava la
differenza tra le fattispecie di cui agli artt. 270 e 270-bis cod. pen. nel fatto che
la prima sarebbe stata a forma specifica, la seconda […] a forma generica (in tal
senso ASN 198300302 – RV 160960). Altra pronunzia (ASN 198806952 – RV
178588) sottolineava che l’art. 270 cod. pen. mira ad impedire la “soppressione”
degli ordinamenti politici e giuridici della società, mentre l’art. 270-bis cod. pen.
è volto ad impedire la “eversione” dell’ordine democratico, così finalizzandosi ad
obiettività giuridiche rispettivamente diverse, relativamente alle quali il principio
di specialità ex art. 15 cod. pen. impedisce, comunque, pluralità di sanzioni.
Naturalmente, si deve fare riferimento all’assetto normativo dell’epoca: l’art. 270
cod. pen. reprimeva le condotte di quelle strutture associatile costituite per
stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sull’altra, ovvero a
sopprimere violentemente una classe sociale, ovvero ancora a sovvertire,
sempre violentemente, gli ordinamenti economici e sociali, giuridici, politici dello
Stato, o meglio, come si esprimeva la lettera della legge “ogni ordinamento”. La
specificità della norma, dunque, discendeva dalla specificità dell’obiettivo che si
proponevano gli agenti, atteso che l’art.

270-bis,

viceversa, puniva chi,

costituendosi in associazione, mirava alla eversione – genericamente, appunto dell’ordine democratico. Le distinzioni intraviste dalle due ricordate sentenze […]
devono comunque ritenersi “superate” alla luce delle modifiche legislative

R

Federazione Anarchica Informale quale associazione con finalità di terrorismo,

intervenute, che hanno completamente ridisegnato entrambi gli articoli: il d.l. n.
374 del 2001, conv. in legge n. 438 del 2001: “Disposizioni urgenti per
contrastare il terrorismo internazionale”, la legge n. 85 del 2006: “Modifiche al
codice penale in materia di reati di opinione”, ma – principalmente – ad opera
del d.l. n. 144 del 2005, conv. in legge n. 155 del 2005, che, introducendo l’art.
270-sexies cod. pen., ha definito le “condotte con finalità di terrorismo”.
In realtà la “finalità di terrorismo” aveva già fatto la sua comparsa nell’art.
280 cod. pen. […], così come era stato introdotto nell’ordinamento lo “scopo di

codicistica (anno 2005), tuttavia (art. 270-sexies, appunto), che recepisce, sul
punto, le indicazioni emerse in sede sovrannazionale […], è inequivoca,
stabilendo che devono intendersi connotate dalla finalità di terrorismo quelle
condotte: 1) che “per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a
un paese o a una organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di
intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici, o un’organizzazione
internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto”; 2) che
possono “destabilizzare, o distruggere le strutture politiche fondamentali,
costituzionali, economiche e sociali di un paese o di un’organizzazione
internazionale; 3) che siano “definite terroristiche o commesse con finalità di
terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per
l’Italia”. Dunque, la condotta terroristica ha rilevanza penale in sé; tuttavia,
quando è tenuta allo scopo di raggiungere gli obiettivi sopra indicati al n. 2
(destabilizzazione/distruzione dei fondamenti politico-costituzionali e/o socioeconomici di uno Stato), fa “corpo unico” con tale finalità. Ma tale opera di
destabilizzazione/distruzione, ovviamente, altro non è che la sovversione o
eversione violenta di cui all’art. 270 cod. pen. […]. Invero, tale articolo descrive
la condotta come diretta ad attentare agli ordinamenti economici o sociali del
nostro Stato, ovvero a sopprimere il suo ordinamento politico e giuridico.
Orbene, posto che il mutamento di tali assetti non è – in sé – vietato, a
tanto ostando il dettato dell’art. 49 Cost., ciò che fa “scivolare” la sovversione
nel campo del penalmente rilevante è la violenza (“sovvertire violentamente” per
l’art. 270 cod. pen., “compimento di atti di violenza” per l’art. 270-bis cod. pen.),
vale a dire, per usare ancora le parole del Costituente, l’utilizzo di un metodo
non democratico, connotandosi come violenza generica, nel primo caso (art.
270), violenza terroristica, nel secondo (art.

270-bis). A parere di questo

Collegio, invero, quella sopra riportata è l’unica interpretazione che possa
giustificare il permanere nell’ordinamento dell’art. 270 cod. pen., dopo
l’introduzione dell’art. 270-bis e il loro “rimaneggiamento” ulteriore.

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terrorismo”, con l’art. 289-bis cod. pen. […]. La successiva definizione

L’art. 270-bis cod. pen., infatti, come è noto e come anticipato, trova
applicazione, tanto nella sfera internazionale (tutelando gli Stati esteri e le
organizzazioni internazionali, cfr. comma secondo), quanto nella sfera interna (è
collocato nel libro II, titolo I, “delitti contro la personalità dello Stato”) ed in tale
sfera sembra, ad una prima lettura, sovrapporsi al più antico art. 270, entrambi
delitti contro la personalità internazionale dello Stato. Invero, sempre rimanendo
nella “sfera interna”, a parte l’ampliamento dell’elenco dei soggetti punibili
(viene prevista la figura del finanziatore, che non è presente tra i soggetti di cui

soglia della punibilità e si connota, a sua volta, come delitto di pericolo presunto,
volendo reprimere la condotta di chi costituisca, organizzi ecc. associazioni che si
“propongano” il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o
eversione, mentre l’art. 270 cod. pen. richiede, per la punibilità, che dette
associazioni siano non solo “dirette”, ma anche “idonee” a sovvertire violentemente – l’ordinamento. Si tratta, in ultima analisi, per quel che riguarda
la ipotesi criminosa ex art. 270 cod. pen., dello schema di cui all’art. 56 cod.
pen. (inequivocità e idoneità degli atti); laddove la “nuova” norma incriminatrice
(art. 270-bis cod. pen.) punisce, come si è appena anticipato, il “proposito” (ASN
200624994 – RV 234345), sempre che, si intende, esso non sia stato in mente
retentum (altrimenti ci si avvicinerebbe pericolosamente alla figura del “tipo
d’autore”), ma abbia già dato luogo a una struttura associativa, costituita proprio
allo scopo di attuare detto proposito, con atti di violenza “qualificata” (ASN
200003486 – RV 216253). Ma, appunto, la maggiore ampiezza della previsione
ex art. 270-bis potrebbe determinare, anche per questo verso, la “scomparsa”
della fattispecie ex art. 270 cod. pen., scomparsa, tuttavia, che il Legislatore non
ha decretato, con la conseguenza che compete all’interprete individuare il
confine tra le due disposizioni normative.
Come si diceva, tale díscrimen non può che essere individuato nella natura
della violenza utilizzata: generica o terroristica. Il terrorismo, invero, anche se
qualificato come “finalità” (artt. 270-bis e 280) o come “scopo” (art. 289-bis) nel
codice penale, non costituisce, in genere, un obiettivo in sé, ma, ovviamente,
funge da strumento di pressione, da metodo di lotta, da modus operandi
particolarmente efferato: si diffonde il panico, colpendo anche persone e beni
non direttamente identificabili con l’avversario o riferibili allo stesso, per imporre
a quest’ultimo una soluzione che, in condizioni normali, non avrebbe accettato.
Per tale ragione, non si concorda con quella giurisprudenza (ad es. ASN
198711382 – RV 17694) che, rispettando alla lettera il dato testuale, ritiene
concettualmente distinti e fattualmente sempre distinguibili la “finalità” di
terrorismo e quella di eversione. A ben vedere, infatti, solo la seconda – lo si

in

all’art. 270), si rileva che la fattispecie introdotta posteriormente anticipa la

ribadisce – rappresenta un obiettivo, mentre il primo costituisce un mezzo, o più
correttamente, una strategia, che si caratterizza per l’uso indiscriminato e
polidirezionale della violenza, non solo perché accetta gli “effetti collaterali” della
violenza diretta (ASN 200831389 – RV 2411745), ma anche perché essa può
essere rivolta in incertam personam,

proprio per generare panico, terrore,

diffuso senso di insicurezza, allo scopo di costringere chi ha il potere di prendere
decisioni a fare o tollerare ciò che non avrebbe fatto o tollerato […].
La giurisprudenza (ASN 200839504 – RV 241859) ha chiarito che non

previsto dal codice penale, ma solo quella che miri al sovvertimento dei principi
fondamentali, che formano il nucleo intangibile dell’assetto ordinamentale. La
maggiore dannosità, il più intenso allarme sociale, il più grave pericolo che
rappresenta la violenza terroristica per gli assetti istituzionali giustificano una più
severa repressione della stessa, rispetto alla generica violenza eversiva (ex art.
270 cod. pen.). Il nucleo del problema, dunque, non si identifica con la
contrapposizione tra concretezza e attualità della condotta pericolosa, da un lato,
e mera progettualità o potenzialità della stessa, dall’altro […]; la differenza, si
ripete, consiste, per questo collegio, nella natura della violenza che si intende
esercitare (terroristica o “comune”)».
Applicando alla fattispecie concreta i principi appena evidenziati, occorre
dunque valutare se la supposta associazione avesse, oltre ai consueti requisiti
strutturali per poter ravvisare gli estremi di un sodalizio criminoso, anche
concrete finalità di esercizio della violenza con modalità terroristiche.
L’ordinanza impugnata, a riguardo, rileva all’interno della compagine della F.A.I.,
seppure non un’organizzazione di tipo verticistico, una chiara suddivisione di
ruoli fra ideologi o propulsori, gestori di siti e blog con funzioni di propaganda, ed
infine militanti operativi; la stessa consorteria disponeva di forme di
finanziamento ed agiva sotto l’egida di un simbolo realizzato o quanto meno in
corso di elaborazione. Il Tribunale di Milano evidenzia altresì che il gruppo in
questione aveva «nei suoi effettivi progetti […] il proposito di intimidire
indiscriminatamente la popolazione, oltre all’intenzione di esercitare costrizione
sui pubblici poteri ed alla volontà di distruggere (o quantomeno di destabilizzare)
gli assetti istituzionali dell’ordinamento. Le azioni commesse in esecuzione del
programma associativo […] non appaiono infatti rivolte soltanto verso obiettivi
“di elezione” allo scopo di ottenere un effetto paradigmatico, ma sono
chiaramente mirate a raggiungere risultati di destabilizzazione, accettando anche
il rischio di vittime collaterali, nonché a colpire indiscriminatamente la
popolazione per suscitare terrore e panico».

11

qualsiasi azione politica violenta può farsi rientrare nel concetto di eversione,

Si tratta di elementi che, valutati analizzando il merito delle acquisizioni
istruttorie, appaiono del tutto immuni da censure, e che non possono essere
svalutati dalla presa d’atto che in altri processi talune articolazioni della stessa
struttura o di organizzazioni analoghe non siano state fatte rientrare nella
fattispecie astratta prevista dall’art.

270-bis più volte ricordato: le modalità

operative qui rilevate, allo stato, confermano la sussistenza della gravità
indiziaria in ordine alla riconducibilità della F.A.I. – anche perché operativa in
ambito internazionale, come correttamente segnalato dai giudici di merito – allo

dell’ordine democratico.

6. Secondo il Tribunale di Milano sarebbe altresì sorretta da una adeguata
piattaforma indiziaria anche l’appartenenza dello Stefani a quel contesto
associativo.
A riguardo, vengono riportati una serie di episodi che muovono dal
14/10/2009 al 03/01/2010: per la gran parte, peraltro, si tratta di elementi
istruttori ricavati dalla corrispondenza intercorsa fra l’odierno ricorrente ed altri
soggetti, nel periodo della sua pregressa restrizione in carcere; corrispondenza
che vede lo Stefani più spesso destinatario di missiva che non mittente. Ad ogni
modo, anche esaminando le sole occasioni in cui era appunto l’indagato a
scrivere ad altri, si rileva che (stando alla ricostruzione sviluppata
nell’ordinanza):
– «in data 21 ottobre 2009 Stefani scriveva a Fosco ringraziandolo per l’invio del
materiale da leggere – parte del quale Alessandro Settepani aveva già iniziato a
tradurre dallo spagnolo -, rilanciando l’idea di diffondere uno scritto in ricordo di
Mauricio Morales […] e portando avanti il progetto di una giornata di lotta […];
– in data 19 novembre 2009 Stefani scriveva a Fosco, anticipandogli che la Di
Stefano sarebbe andata a Pisa a trovarlo […], informandolo di avere deciso di
aderire allo sciopero della fame e di avere scritto sia a Pombo che a Camenisch
(“ad entrambi ho comunicato la mia preferenza per il periodo dal 20 dicembre”);
ribadiva quindi l’importanza dello sciopero della fame in relazione soprattutto al
referente che si sceglie (“Sono poi convinto che la validità dello sciopero della
fame stia tutta nel referente che scegli. Ovviamente se sono le istituzioni o i
mass-media, non può che essere una stronzata pietistica, in più spesso gli
scioperi ad oltranza sono estremamente pericolosi quando fuori non c’è nessuno
che fa pressione, perché a volte ci si scorda che il detenuto non ha nessun
potere contrattuale. Tutt’altra storia è quando, come nel prossimo, il referente
sono i/le compagni/e ed il fine ultimo rilanciare l’agire” (sottolineato);

17

schema tipico della associazione con finalità di terrorismo od eversione

- ancora in data 19 novembre 2009 Stefani scriveva a Pombo Da Silva proprio
per coordinarsi sull’iniziativa dello sciopero della fame di dicembre […];
– in data 30 novembre 2009 le attività di captazione video-ambientale
consentivano di accertare che, nel corso del colloquio in carcere intercorso tra
Stefani e la compagna Katia Di Stefano, il primo consegnava di nascosto alla
seconda un documento ripiegato che aveva estratto in modo repentino dalla
scarpa sinistra e che la Di Stefano, prontamente ed in silenzio, nascondeva a sua
volta nelle proprie scarpe;

aspettato un po’ a rispondergli “per vedere se mi arrivava una tua lettera in cui
dicessi di aver ricevuto il comunicato” […];
– in data 7 dicembre 2009, durante un altro colloquio in carcere, la Di Stefano,
alla domanda del ricorrente che le chiedeva se avesse consegnato il documento,
lo rassicurava sul fatto che era stato mandato a Fosco (“l’ho mandato, sì, a
Fosco, a Fosco…”) ma che ancora non sapeva se fosse stato pubblicato in

intemet […];
– in data 26 dicembre 2009 Stefani scriveva ad Onofri Gabriele […]; nel criticare
l’atteggiamento “attendista” che si manifestava in seno al “movimento”, indicava
quali erano le strategie migliori e gli obiettivi da individuare (“Una lotta
anticarceraria organizzata diversamente … un bollettino leggerissimo, gratuito e
di grande tiratura, ma con indirizzi, novità ed i focus aggiornati della lotta.
Gamma più ampia possibile di strumenti di lotta in modo da dare ad ognuno
modo di usare quello che preferisce. I presidi non solo più davanti al carcere, ma
davanti alle ditte private, agli studi medici, alle residenze familiari di chi campa
grazie al carcere in modo da allargare la base, rendere noti gli indirizzi, suggerire
gli obiettivi in accordo a specifiche sotto-campagne definite di volta in volta.
Certo, poi magari qualcuno si rende conto che il tal bastardo è proprio a portata
di mano e magari fa una cazzata, ma ognuno è responsabile delle proprie azioni
ed io suggerisco solo di dare un volto al nemico contro cui inveiamo sempre ed il
più delle volte a vuoto. Altra cosa interessante; potrebbero essere eventi, anche
nazionali, in concomitanza con concorsi di P.P. Vicino casa mia c’è una scuola e
ti assicuro che anche così il caos è immenso e poi poco più in là c’è il villaggio dei
secondini ci credi? Gli hanno fatto tutte villette per le loro famiglie …”)».
Non c’è dubbio che attraverso quelle prese di posizione il prevenuto avesse,
all’epoca, un ruolo propulsivo all’interno del sodalizio: emblematico appare il
riferimento alla prospettiva di concentrare l’attenzione degli aderenti al gruppo
sulla realtà degli istituti di restrizione e sulla lotta “anti-carceraria”, non solo con
iniziative di protesta ma anche paventando (od almeno accettando, come si
evince dall’ultima missiva tra quelle riportate) l’evenienza di ricorrere a condotte

1 ‘3

– in data 6 dicembre 2009 Stefani scriveva a Fosco, riferendogli di avere

violente.

Nella prima fase del periodo considerato dalla rubrica – dopo il

maggio 2009 e sino alla fine di quell’anno – il coinvolgimento dello Stefani
all’interno della F.A.I. appare dunque innegabile.
Non altrettanto è a dirsi, però, con riguardo al triennio successivo, in
relazione al quale è la stessa ordinanza oggetto di ricorso a precisare che lo
Stefani non risulta avere partecipato alle azioni realizzate dal gruppo di affinità
perugino, riaggregato nel 2011 dal Settepani; non di meno, a riguardo, il
Tribunale rappresenta che pur dopo il trasferimento a Roma, successivo alla sua

con i correi, dimostrando una perdurante condivisione del progetto associativo».
Analizzando gli elementi che il Tribunale ha considerato significativi in punto
di attualità e consistenza delle esigenze cautelari, si rileva però che lo Stefani
sarebbe stato protagonista di vicende in sé poco significative, e che non è
sufficientemente motivato – sul piano della stessa tenuta logica del
provvedimento impugnato – per quali ragioni debbano assurgere a conferme
della gravità indiziaria relativamente al perdurare della partecipazione del
ricorrente al sodalizio medesimo. Ciò ove si consideri, fra l’altro, che per
strutture criminali come quelle in esame non valgono i parametri di riferimento,
in ordine alla assoluta inscindibilità del vincolo ed a ragionevoli presunzioni di
attualità dell’appartenenza all’associazione, che invece possono essere
comunemente evocati per realtà affatto diverse (come quelle riconducibili allo
schema disegnato dall’art. 416-bis cod. pen.).
Trattando infatti delle acquisizioni istruttorie che deporrebbero per la
pericolosità sociale del prevenuto, i giudici di merito rilevano che:
– «in data 26 settembre 2010 Stefani, Settepani, Fosco e Di Bernardo si
incontravano ad Arezzo presso un’area adibita allo svolgimento della
manifestazione “Sagra del seitan”: l’occasione conviviale in luogo pubblico, tra
numerosi soggetti di area anarchica ed eco-ambientalista, veniva sfruttata quale
momento d’incontro e confronto a distanza di poche settimane dall’uscita dal
carcere di Stefani e Settepani, come emerge dall’annotazione di servizio allegata
all’informativa 26/03/2012, in cui gli operanti danno atto del completo
disinteresse dei quattro, confluiti sul posto in orari differenti, verso le iniziative
attuate nel corso della manifestazione, trascorrendo lungo tempo a conversare in
maniera appartata tra loro (pur essendo sia la coppia Fosco – Di Bernardo sia
Stefani giunti in compagnia di altre persone), dopo di che tutti ripartivano;
– nel colloquio tra Stefani e Settepani registrato nel pomeriggio del 31 dicembre
2010, i due concordavano un incontro tra tutti gli indagati nel procedimento di
Perugia in vista dello svolgimento dell’udienza preliminare fissata il 10 gennaio
2011: in particolare Settepani riferiva di essere stato chiamato da Mariella e

14

scarcerazione nell’estate 2010, lo Stefani avrebbe «comunque tenuto i rapporti

Stefano che lo avevano ripetutamente invitato ad andare a Firenze (tali soggetti
si identificano negli ideologi rivoluzionari Maria Grazia Scoppetta e Stefano
Moreale, gestori di un noto centro di aggregazione anarchico fiorentino
denominato “Trivio dei Tumultuosi”, ubicato nel capoluogo toscano); nel corso
della conversazione, Stefani affermava di avere ricevuto una loro e man, alla

quale non aveva ancora risposto, mentre Settepani riferiva di avere già fissato
un incontro con loro durante le festività natalizie, poi rimandato;
– venivano registrate altre conversazioni tra i due indagati, finalizzate a definire i

ristorante cinese ubicato nella zona San Paolo, tra Settepani, Stefani e i
compagni Russo Federica e Perbellini Pierfelice;
– il 6 aprile 2011 il Settepani contattava Stefani per informarlo in merito
all’esecuzione di alcune misure cautelari nei confronti di aderenti all’area anarcoinsurrezionalista bolognese, riconducibili allo spazio di documentazione
“Fuoriluogo” di Bologna: “..praticamente hanno fatto un’altra indagine grossa in
tutta Italia … hanno arrestato cinque persone… nei dintorni di Bologna…
insomma il giro là … Nicu” (Romanu Nicusor, detto Nicu) “..Annamaria” (Pistolesi
Anna Maria), “Martino” (Trevisan Martino) “e altri due che non mi ricordo
adesso”; Stefani rispondeva di avere capito e Settepani riferiva che agli indagati
veniva contestato il reato di associazione per delinquere con finalità di eversione;
proseguendo, Stefani chiedeva: “non è che te ricordi … mica per essere brutale
ma visto che c’è qualcuno a cui voglio più bene..”, al che Settepani,
comprendendo a chi si stesse riferendo, affermava: “no.. no … che io sappia de
quelli che so io no”; la conversazione si chiudeva con la domanda di Stefani
relativa alla contestazione di “fatti specifici” e la risposta di Settepani che
affermava “…i fatti dell’ENI a Bologna…”, riferendosi all’attentato esplosivo
perpetrato nella notte del 26 marzo 2011 a Bologna presso la sede della società
IBM e rivendicato dalla sigla anarco-ambientalista “E.L.F.”, al che Stefani
replicava “me lo immaginavo”;
– in una conversazione ambientale del 16 gennaio 2012 Fosco informava Elisa Di
Bernardo che “oggi ho messo quello di Sergio” (Stefani, ndr) “e Ale” (Settepani,
ndr) “in spagnolo. Ti ricordi quella cosa che scrissero?” precisandole “quando
andarono a … a Riotorto” (dove dal 10 al 12 settembre 2010 si era svolto un
convegno sulla liberazione animale e della terra): in tale comunicato […]
Settepani e Stefani precisavano che il testo si proponeva come strumento diretto
ad elevare il dibattito con la finalità di “accrescere e radicalizzare il fronte della
battaglia”, richiamavano i limiti delle campagne sulla liberazione animale,
evidenziando come queste potessero essere utili, pur dovendo essere
costantemente soggetti a revisione critica, e ribadivano di credere che “l’azione

15

dettagli dell’incontro fissato per la serata del 6 gennaio 2011 in Roma, presso un

diretta sia il migliore mezzo di comunicazione per la nostra lotta e per la
realizzazione della sovversione totale”».
In definitiva, ripercorrendo i fatti ora tratteggiati in ordine cronologico, lo
Stefani avrebbe scritto un documento poco dopo essere uscito dal carcere,
parlando di lotte in corso da radicalizzare, ma in un contesto apparentemente
ideologico (visto che si discuteva di temi animalisti); non risulta che egli sia stato
parte attiva dell’iniziativa di divulgare sul web quel documento, un anno e mezzo
più tardi.

notoriamente avevano le sue stesse idee in occasione di una sagra: ma non è
dato sapere di cosa abbiano discusso o quali iniziative avessero elaborato, dal
momento che non si sono poi registrati fatti concreti in ipotesi riconducibili ad un
piano allora ordito.
A Capodanno 2010, si sarebbe accordato con il Settepani per vedersi in
relazione al processo che di lì a poco li avrebbe visti entrambi imputati: si tratta
di un comportamento che rientra nella normalità di quel che accade nella
casistica giudiziaria.
La sera della seguente Epifania, forse si vide al ristorante con altri soggetti
ideologicamente affini, ripetendosi la scena della sagra: ma vi è parimenti
incertezza sulla rilevanza di quell’incontro, mancando ancora una volta
accadimenti successivi che vi si possano ricondurre.
Ad aprile 2011, fu informato dal Settepani sugli arresti di persone che
conosceva, e di cui non sapeva ancora nulla; non manifestò propositi di
partecipazione alle scelte difensive di costoro, né si dispose ad organizzare
alcunché per solidarizzare con compagni in carcere. Del tutto ragionevole fu la
replica “me l’immaginavo” alla precisazione dell’interlocutore che quei soggetti
erano stati arrestati per un attentato avvenuto giorni prima a Bologna, visto che
si trattava appunto di persone che vivevano in quella zona, e che certamente
dell’attentato in questione si erano occupati i mass media.

E’ pertanto doveroso l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per
nuovo esame al Tribunale di Milano, in punto di verifica della sussistenza di gravi
indizi di colpevolezza a carico dello Stefani quanto al capo A), relativamente al
periodo 2010-2012. Detta verifica si impone in via preliminare anche rispetto
alla censura che la difesa muove all’ordinanza impugnata in punto di violazione
dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. rispetto al precedente provvedimento
restrittivo che interessò lo Stefani in relazione al proc. n. 3546/2008: questione
da intendere assorbita, e che potrà essere riproposta dinanzi al giudice del
rinvio.

1S

Si sarebbe poi incontrato a fine settembre 2010 con altre persone che

7. Quanto ai reati sub B), che si collocano tra il 15 e il 16 dicembre 2009, il
Tribunale ha inteso riqualificare gli addebiti – in relazione al contributo dello
Stefani – come ipotesi di istigazione a commettere delitti contro la personalità
internazionale ed interna dello Stato, escludendo invece un concorso diretto del
ricorrente nelle condotte di attentato.
In proposito, viene sottolineato il contenuto di uno scritto riferibile
all’indagato, che secondo i giudici di merito sicuramente mirava, «unitamente ai
correi, a spronare il compimento di azioni terroristiche». Si richiama in

compagna in occasione del colloquio in carcere del 30 novembre 2009, dove si
annuncia una protesta internazionale di detenuti dal 20 dicembre al 1 gennaio,
con il proposito di ricordare il Morales “nella speranza che la nostra forza superi
queste grigie mura e possa accompagnarvi nell’agire rivoluzionario, consci che
solo voi potete colpire dove più nuoce”, e si ricorda che “la solidarietà è un’arma,
ma solo quando si trasforma in benzina da gettare su quei fuochi di rivolta che la
repressione vorrebbe vedere spenti”.
La ricostruzione fatta propria dal Tribunale è dunque che lo Stefani ed altri, il
30 novembre 2009 e già a partire dal mese prima, avessero organizzato per la
fine dell’anno scioperi della fame di detenuti in vari carceri del mondo,
divulgando scritti che avrebbero dovuto costituire per gli affiliati liberi non già
direttive specifiche per attentati determinati (come ritenuto nella formulazione
originaria della rubrica), bensì stimolo per realizzare delitti la cui esecuzione
veniva rimessa all’iniziativa dei militanti. Se però si esamina il solo
contenuto – assai generico, almeno con riguardo al genus dei possibili obiettivi
di azioni delittuose – dello scritto appena richiamato, non sembra se ne possa
cogliere una valenza eccedente i limiti di una istigazione ex art. 414 cod. pen.,
come obiettato dalla difesa del ricorrente.
Gli episodi del 15 e 16 dicembre, del resto, a parte essere stati realizzati
prima di quando era stato programmato, non rientrarono nei commenti che lo
Stefani fece o ricevette nella corrispondenza immediatamente successiva: a
dispetto della verosimile notorietà di quegli attentati, che avevano interessato
obiettivi simbolici e di risalto (un centro di identificazione ed espulsione e un
noto ateneo), non se ne parlò nella lettera del 19 dicembre dal Fosco allo
Stefani, dove l’iniziativa degli scioperi si indicava come ancora da iniziare; né ciò
accadde in quelle – inviate o ricevute – del 22, 24 e 26. Solamente il 3 gennaio
2010, in definitiva, il Pombo Da Silva (e non lo Stefani, che è il destinatario della
missiva) menziona le vicende del C.I.E. di Gradisca d’Isonzo e dell’Università
“Bocconi” come dimostrative del fatto che i “compagni anonimi” avevano capito
la “chiamata”.

17

particolare il documento che sarebbe stato consegnato dallo Stefani alla

E’ il caso di rilevare che la già ricordata missiva del 26 dicembre 2009, che è
lo Stefani a inviare, ha – essa sì – un più chiaro contenuto di potenziale
istigazione rilevante

ex

art. 302 cod. pen., visto che riguarda obiettivi

istituzionali immanenti alla realtà carceraria, ma – oltre ad esserne incerte le
successive, eventuali forme di divulgazione ulteriore – è successiva al periodo cui
si riferisce la contestazione sub B).
Anche sul punto, pertanto, si impone l’annullamento dell’ordinanza

8. Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del ricorrente, dovranno essere curati dalla Cancelleria gli adempimenti di
cui al dispositivo.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo
esame.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 04/07/2013.

impugnata, per un nuovo esame dei profili di gravità indiziaria.

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