Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46338 del 26/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46338 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 26/06/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Del Villano Romolo, nato a San Cipriano d’Aversa il 7.4.1961, avverso
l’ordinanza emessa in data 28.12.2012 dal tribunale del riesame di
Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Carmine Stabile, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con ordinanza emessa il 28.12.2012 il tribunale del riesame di Napoli,
adito ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le
indagini preliminari di Napoli, in data 3.12.2012, aveva applicato la
misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Del Villano

i

Romolo , in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis, c.p., oggetto di
contestazione provvisoria, per avere egli fatto parte dell’associazione a
delinquere di stampo mafioso nota come “clan dei Casalesi”.
2. Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per Cassazione personalmente il Del Villano, articolando un unico

della motivazione, in relazione agli artt. 273 e 192, c.p.p..
3. In particolare il ricorrente contesta il valore di gravità indiziaria
attribuito dal tribunale del riesame alla “chiamata di correità” dei
collaboratori di giustizia Venosa Salvatore, Venosa Umberto e Bianco
Francesco, definita “alquanto generica e priva di riscontro, vaga ed
imprecisa”; la mancanza di ogni rilievo probatorio delle conversazioni
intercettate, il cui contenuto è stato ritenuto dall’organo giudicante
elemento di riscontro esterno delle chiamate di correità; il mero richiamo
alla motivazione dell’ordinanza cautelare; il difetto di motivazione in
ordine “alla identificazione della persona” e la mancanza di ogni prova,
sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, della partecipazione dell’indagato
all’organizzazione a delinquere di stampo mafioso di cui si discute.
4. Il ricorso del Del Villano va dichiarato inammissibile per le seguenti
ragioni.
5. Con i motivi che ne costituiscono il fondamento il ricorrente prospetta
censure del tutto generiche, determinando l’inammissibilità del ricorso
per violazione dell’art. 581, lett. c), c.p.p., che nel dettare, in generale,
quindi anche per il ricorso in Cassazione, le regole cui bisogna attenersi
nel proporre l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto
debbano essere enunciati, tra gli altri,

“i motivi, con l’indicazione

specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’art. 591, co. 1, lett. c),
c.p.p., determina l’inammissibilità dell’impugnazione stessa (cfr. Cass.,
sez. VI, 30.10.2008, n. 47414, Arruzzoli e altri, rv. 242129; Cass., sez.
VI, 21.12.2000, n. 8596, Rappo e altro, rv. 219087).
6. Né va taciuto che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il
tribunale del riesame non si è limitato ad operare un mero richiamo alle

2

motivo di impugnazione, con cui lamenta violazione di legge ed illogicità

valutazioni operate dal giudice procedente nell’ordinanza di custodia
cautelare, ma ha proceduto ad un’autonoma valutazione del materiale
raccolto nella fase delle indagini preliminari, operando un rinvio alla
motivazione del titolo cautelare nelle parti condivise (come gli è
consentito: cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 12/02/2002, n. 11191, S., rv.

sulla vaghezza ed imprecisione delle chiamate di correità dei Venosa e
del Bianco (cfr. pp. 7-13 dell’impugnata ordinanza).
7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse
del Del Villano va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento, nonché in favore della cassa delle ammende di una
somma a titolo di sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in euro
1000,00, tenuto conto della evidente inammissibilità del ricorso,
facilmente evitabile dal ricorrente stesso, che, quindi, non può ritenersi
immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di
inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 ter,
disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma il 26.6.2013

221127), senza trascurare di fornire specifica risposta ai rilievi difensivi

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