Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46336 del 26/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46336 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 26/06/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Riccio Mario, nato a Mugnano di Napoli il 28.6.1991, avverso l’ordinanza
emessa in data 25.9.2012 dal tribunale del riesame di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Carmine Stabile, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1 Con ordinanza emessa il 25.9.2012 il tribunale del riesame di Napoli,
adito ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le
indagini preliminari di Napoli, in data 14.5.2011, aveva applicato la
misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Riccio Mario, in
relazione ai delitti di cui agli artt. 416 bis, c.p. (capo A) e 74, d.p.r.

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309/90, aggravato ex art. 7, I. 203/91 (capo

B),

oggetto della

contestazione provvisoria.
La pronuncia del tribunale della libertà interveniva dopo l’annullamento
da parte del Supremo Collegio, con sentenza del 19.6.2012,
dell’ordinanza con cui il medesimo tribunale, in data 3.6.2011, aveva

La Corte di Cassazione, in particolare, aveva ritenuto che il giudice della
libertà avesse omesso di esaminare le censure difensive “in punto di
qualificazione giuridica della condotta associativa, ai sensi dell’art. 416
bis, comma secondo, cod. pen. e in punto della ritenuta aggravante di
cui all’art. 7 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152”.
Su tali punti, dunque, si incentrava l’ordinanza oggetto del presente
ricorso.
2. Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per Cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv.
Saverio Senese, il Riccio, articolando un unico motivo di impugnazione,
con cui lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione
agli artt. 125, co. 3; 309, co. 9; 627 e 273, c.p.p., per avere il tribunale
del riesame, in violazione dell’obbligo di uniformarsi al dictum della
sentenza di annullamento del Supremo Collegio innanzi richiamata,
nuovamente omesso di motivare in ordine alla riconducibilità della
condotta del Riccio alla previsione normativa di cui all’art. 416 bis, co. 2,
c.p., limitandosi ad affrontare il tema, sul quale si è già formato il
giudicato proprio in conseguenza delle ragioni dell’annullamento,
dell’appartenenza del ricorrente all’associazione a delinquere di stampo
camorristico di cui al capo A), in qualità di semplice partecipe.
3. Il ricorso appare infondato e, pertanto, non può essere accolto.
4. Premesso che il ricorrente non contesta la ricostruzione dei fatti
fornita dai diversi giudici di merito che si sono occupati della posizione
del Riccio in sede cautelare, delineando la sua appartenenza alle
associazioni a delinquere di cui ai capi A) e B) dell’imputazione
provvisoria, il quesito da risolvere è se il tribunale del riesame abbia

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confermato il menzionato titolo cautelare.

fornito o meno adeguata risposta ai rilievi formulati dal Supremo
Collegio nella sentenza di annullamento.
Il Collegio propende per la soluzione positiva.
4.1 Nel soffermarsi sul ruolo svolto dal Riccio, come emerso dalle
dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, il tribunale del riesame

unitamente ad Amato Raffaele dell’associazione a delinquere di stampo
camorristico, nota come “clan Amato-Pagano”, avesse fornito un
“prezioso e qualificato contributo…alla perpetuazione dell’associazione”,
rappresentando il “clan” in sede di divisione dei proventi della vendita di
sostanze stupefacenti che si svolgeva nella zona nota come “casa dei
puffi”; gestendo sul territorio tutti gli interessi, sia leciti che illeciti, del
suocero Pagano Cesare; associandosi a tutte le attività illecite del “clan”;
partecipando ad episodi significativi della vita dell’associazione criminosa
e prestando diretta assistenza al Pagano nel periodo della latitanza di
quest’ultimo, tanto da essere sorpreso dalle forze dell’ordine con funzioni
di vedetta, nei pressi del nascondiglio del suocero al momento del suo
arresto.
Ciò consente di affermare che il tribunale del riesame, pur non
affermandolo espressamente, ha comunque implicitamente qualificato la
condotta di partecipazione posta in essere dal Riccio nei termini previsti
dall’art. 416 bis, co. 2, c.p., potendo configurarsi a carico del ricorrente,
alla luce del contributo da quest’ultimo fornito al sodalizio come
tratteggiato dal giudice di merito, il ruolo di promotore, dirigente ed
organizzatore del sodalizio in parola, posto che, da un lato per
promotore deve intendersi non solo chi della associazione si sia fatto
iniziatore, ma anche colui che, come l’indagato, abbia agito per
rafforzare la potenzialità pericolosa del gruppo associativo (cfr. Cass.,
sez. VI, 21/9/1995, n. 8, Cassuto, rv. 203854), dall’altro per dirigente
ed organizzatore deve intendersi colui, che, come il Riccio, rispetto ad un
gruppo già costituito, ne sovraintende l’attività complessiva, in qualità di
vero e proprio alter ego del capo-clan Pagano Cesare (cfr. Cass, sez. V,

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ha evidenziato come il ricorrente, genero di Pagano Cesare, capo,

21/12/1998, Barbanera, nonché, nello stesso senso, Cass., sez. V,
22.11.2012, n. 18491, V. e altri, rv. 255431).
4.2 Anche in ordine alla seconda questione la motivazione del tribunale
del riesame appare assolutamente esaustiva, nel desumere la
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7, I. 203 del 1991,

primo piano” assunto nell’associazione “in qualità di soggetto di assoluta
fiducia del capoclan Pagano Cesare”, rappresentando il “clan” nella
spartizione dei proventi illeciti derivanti dalla vendita di droga nella zona
delle “Case dei Puffi”, ha agito al fine di agevolare le attività del sodalizio
camorristico nel particolare settore del commercio di stupefacenti.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse
del Riccio va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26.6.2013

dalla circostanza che il Riccio, anche in considerazione del “ruolo di

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