Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46330 del 21/05/2013
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46330 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: MICHELI PAOLO
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Schembari Giorgio, nato a Modica il 04/11/1945
Modica Ragusa Giuseppe, nato a Modica il 25/07/1947
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania il 09/03/2012
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Giorgio Schembari e di Giuseppe Modica Ragusa ricorre
avverso la sentenza emessa a carico dei suoi assistiti dalla Corte di appello di
Catania il 09/03/2012, recante la conferma della condanna degli imputati alla
Data Udienza: 21/05/2013
pena di anni 1 di reclusione (pronunciata in primo grado dal Tribunale di Modica,
in data 01/06/2010) per il reato di cui agli artt. 110, 476 e 482 cod. pen.; i fatti
si riferiscono alla presunta falsificazione di un documento attestante l’assunzione
di una minore presso la ditta “Altro Stile” facente capo al Modica Ragusa, in cui
la data – a seguito di una visita ispettiva – era stata corretta da 11/03/2005 in
01/03/2005, coerentemente alle dichiarazioni rilasciate dalla lavoratrice che
aveva indicato nel 02/03/2005 la data in cui aveva iniziato a prestare la propria
attività. Dall’esame dell’originale di quel documento emergeva la evidente
prima esibizione di una fotocopia: sia la fotocopia che l’originale erano stati
mostrati agli operanti dal consulente del lavoro Schembari.
Con l’odierno ricorso, nell’interesse degli imputati si lamenta:
1. carenza di motivazione della sentenza impugnata, per non essere stato
affrontato il motivo di gravame che entrambi i prevenuti avevano
sviluppato sostenendo di non aver commesso il reato loro addebitato.
Quanto allo Schembari, era infatti emerso dall’istruttoria dibattimentale
che a curare l’attività di consulenza fiscale e del lavoro per la ditta del
Modica era altro ragioniere, mentre egli si era limitato a depositare
documenti che altri avevano compilato; quanto al Modica, non era
comunque emersa la prova che egli sapesse come ed in che termini fosse
stata curata la comunicazione dell’assunzione della dipendente agli uffici
preposti.
La Corte territoriale, a fronte di tali motivi di appello, risulta
invece essersi limitata a dare atto che l’accertato falso materiale avrebbe
cristallizzato l’accusa sul piano oggettivo, ascrivendo poi in termini
meramente apodittici la responsabilità dell’alterazione ai due imputati
“oltre ogni ragionevole dubbio”;
2. violazione di legge e mancanza di motivazione, con riguardo al
trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, nonché del beneficio della non menzione.
Secondo la difesa, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto, in punto
di dosimetria della pena, della circostanza che il falso materiale in rubrica
doveva intendersi commesso da privati, con conseguente riduzione dei
minimi edittali; la negazione delle ricordate attenuanti e della non
menzione sarebbe poi rimasta sostanzialmente immotivata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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alterazione nei termini anzidetti, non risultata immediatamente all’atto della
1. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento, atteso che le
doglianze sviluppate nell’interesse dei ricorrenti (peraltro afferenti il merito della
vicenda) risultano aver trovato smentita già nella pronuncia del Tribunale di
Modica.
Sul conto del Modica Ragusa, il giudice di prime cure aveva infatti rilevato
che egli era il titolare della ditta, senza che fosse emersa prova alcuna circa
l’affidamento ad altri delle questioni amministrative; inoltre, l’imputato «era
l’unico ad avere interesse a dimostrare ai Carabinieri la regolarità della posizione
piano indiziario, di considerarlo responsabile del fatto descritto in rubrica
«quanto meno a livello di concorso morale […] e anche in difetto di prova diretta
del suo coinvolgimento nell’alterazione del documento».
Sulla posizione dello Schembari, lo stesso Tribunale aveva sottolineato come
egli avesse curato il deposito della dichiarazione di assunzione della dipendente
Ghisica Caruso, e ciò 1’11/03/2005: dal momento che dal corpo della
dichiarazione risultava che la minore aveva iniziato a prestare la propria attività
il 01/03/2005, il consulente del lavoro era
ipso facto
«necessariamente
consapevole del ritardo con cui tale dichiarazione era stata effettuata. Inoltre,
anche a prescindere dal fatto che le affermazioni dell’imputato circa il
coinvolgimento di altri lavoratori del proprio studio per le incombenze legate alle
consulenze in materia di lavoro non hanno trovato alcun riscontro probatorio
oggettivo nel corso del dibattimento, comunque la circostanza che sia stato lui a
portare la documentazione alterata ai Carabinieri lascia intendere che egli ha
avuto la disponibilità materiale del documento anche nel momento in cui era
chiaro che erano state rilevate irregolarità amministrative, con la conseguenza
che egli aveva modo di agire per effettuare l’alterazione della dichiarazione di cui
trattasi».
In vero, la sentenza di appello risulta assai stringata nel ribadire la
correttezza della prima pronuncia e nel disattendere le doglianze difensive, ma,
per consolidata giurisprudenza, «quando non vi è difformità di decisione, le
motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado possono integrarsi a
vicenda in modo da formare un tutto organico ed inscindibile. Il giudice di
appello, pertanto, non ha l’obbligo di procedere ad un riesame degli argomenti
del primo giudice che ritenga convincenti ed esatti purché dimostri, anche
succintamente, di aver tenuto presenti le doglianze dell’appellante e di averle
ritenute prive di fondamento» (Cass., Sez. IV, n. 1198 del 24/11/1992, Pelli, Rv
193013); è stato altresì affermato che «in tema di sentenza penale di appello,
non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo
grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta
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amministrativa dei propri dipendenti», con la conseguente necessità logica, sul
in primo grado, nonché della corrispondente motivazione, seguano le grandi
linee del discorso del primo giudice. Ed invero, le motivazioni della sentenza di
primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione» (Cass., Sez. III, n. 4700 del
14/02/1994, Scauri, Rv 197497; v. anche Sez. II, n. 11220 del 13/11/1997,
Ambrosino).
2. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato.
grado, nell’atto di appello si formulavano istanze assolutamente generiche, ma il
difensore degli imputati aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Modica
anche facendo rilevare che quel giudicante aveva dato atto della determinazione
di applicare la pena ai minimi edittali, senza però tenere conto della riduzione
prevista ex lege dall’art. 482 cod. pen. (che avrebbe imposto l’individuazione del
minimo non già in anni 1 di reclusione, ai sensi del precedente art. 476, bensì in
mesi 8). Tale censura, specifica ed argomentata, non trova risposta nella
decisione della Corte territoriale, che si limita a qualificare la pena inflitta
«congrua alla portata delittuosa».
A fronte del vizio riscontrato, che comporterebbe in parte qua l’annullamento
con rinvio della sentenza impugnata, deve tuttavia prendersi atto della
sopravvenuta prescrizione del reato in rubrica: la causa estintiva risulta
maturata il 06/10/2012, senza che si rilevino sospensioni.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere il reato estinto per
prescrizione.
Così deciso il 21/05/2013.
In ordine alle attenuanti generiche ed alla non menzione, negate in primo