Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46322 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46322 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:






PAPOTTO Alfio, nato a Bronte il giorno 18/7/1981;
PAPOTTO Gianluca, nato a Bronte il giorno 27/5/1985;
LO CASTRO Samuele Rosario, nato a Randazzo il giorno 27/10/1985;
CRASTI’ SADDEO Salvatore, nato a Randazzo il giorno 11/5/1976;
FERRARA Salvatore, nato a Milazzo il giorno 26/1/1975;
LO TURCO Luca, nato a Monki (Polonia) il giorno 11/1/1993;
LO TURCO Andrea, nato a Elk (Polonia) il giorno 1/10/1990;

avverso la sentenza n. 1244/14 in data 26/11/2014 della Corte di Appello di
Messina;
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo GALLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di tutti i
ricorsi;
udito il difensore degli imputati PAPOTTO Alfio e PAPOTTO Gianluca, Avv. Filippo
CUSMANO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore dell’imputato LO CASTRO, Avv. Ludovico DEL CAMPO, che ha
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore degli imputati LO TURCO Luca e LO TURCO Andrea, Avv. Pietro
LUCISANO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 18/11/2015

Con sentenza in data 26/11/2014 la Corte di Appello di Messina, in parziale
riforma della sentenza emessa in data 17/12/2013 dal Giudice per le indagini
preliminari presso il locale Tribunale appellata da PAPOTTO Alfio, PAPOTTO
Gianluca, LO CASTRO Samuele Rosario, CRASTI’ SADDEO Salvatore, FERRARA
Salvatore, LO TURCO Luca e LO TURCO Andrea ha:
– assolto FERRARA Salvatore dal capo C) della rubrica delle imputazioni
limitatamente alla detenzione di una pistola semiautomatica perché il fatto non

detenzione di due cartucce cal. 12 come violazione dell’art. 697 cod. pen.;
– escluso nei confronti di tutti gli imputati l’aggravante di cui all’art. 628, comma
3 n. 2 contestata al capo A) e l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen.
contestata al capo B);
– rideterminato la pena irrogata a FERRARA Salvatore in anni 6, mesi 10 e giorni
10, di reclusione ed C 1.500,00 di multa;
– rideterminato la pena irrogata agli altri imputati in anni 6, mesi 8 di reclusione
ed C 1.400,00 di multa;
– confermato nel resto l’impugnata sentenza.
Agli imputati è contestato di avere, in concorso tra loro, commesso i reati di
rapina pluriaggravata ai danni di CELI Mario, D’AMICO Rosa Santa e CELI
Francesca sia impossessandosi di preziosi custoditi nell’abitazione degli stessi sia
nella gioielleria denominata “Rammi Gioielli di Letojanni (capo A della rubrica
delle imputazioni) nonché di sequestro di persona ai danni di CELI Mario e
D’AMICO Rosa Santa. Al solo FERRARA è inoltre contestato il reato di cui all’art.
697 cod. pen. così derubricata l’originaria contestazione di cui agli artt. 2 e 7
della I. 895/67. I fatti di rapina e di sequestro di persona risalgono al
30/12/2012 mentre il restante reato al 5/1/2013.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati
PAPOTTO Alfio, PAPOTTO Gianluca, LO CASTRO Samuele Rosario, CRASTI’
SADDEO Salvatore, FERRARA Salvatore, nonché personalmente gli imputati LO
TURCO Luca e LO TURCO Andrea, deducendo:
1. per PAPOTTO Alfio e PAPOTTO Gianluca (ricorso congiunto):
1.a Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione
all’art. 62, comma 1, n. 6, cod. pen. per mancanza contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione.
Secondo la difesa dei ricorrenti la Corte di Appello avrebbe errato nel momento
in cui non ha riconosciuto agli imputati l’invocata circostanza attenuante

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sussiste e qualificato giuridicamente il medesimo fatto limitatamente alla

ritenendo che il risarcimento del danno alle persone offese non sia stato
integrale, non tenendo conto del fatto che le persone offese dal reato hanno
recuperato quasi tutti i gioielli trafugati nella gioielleria, con la conseguenza che
la restante somma di denaro di C 34.000,00 accettata dalle persone offese
riguardava esclusivamente la restante parte del danno materiale subito.
Ancora, la sentenza impugnata è – asseritamente – contraddittoria nella parte in
cui si sostiene che gli imputati non avrebbero risarcito anche il danno morale in

danno) non può consistere solo nella sussistenza dell’evento ma deve anche
comprendere la volontà di riparazione.
1.b Violazione dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62-bis
cod. pen. per mancanza di motivazione.
Si duole la difesa dei ricorrenti che la Corte di Appello non ha motivato in ordine
alla invocata concessione agli imputati delle circostanze attenuanti generiche
nonostante che gli stessi fossero incensurati ed abbiano tenuto un
comportamento processuale collaborativo anche al fine del recupero della
refurtiva, oltre che avere provveduto al risarcimento del danno.
2. per LO CASTRO Samuele Rosario:
2.a Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62
n. 6, seconda parte, cod. pen.
Si duole al riguardo la difesa del ricorrente del mancato riconoscimento al
proprio assistito della invocata circostanza attenuante di cui sopra.
La Corte di Appello, nel ritenere che la predetta circostanza attenuante non
sarebbe configurabile per omesso risarcimento anche del danno morale, non ha
però tenuto conto del profilo normativo secondo il quale l’attenuante stessa può
essere riconosciuta allorquando l’imputato si sia attivato per “l’attenuazione delle
conseguenze del danno”, situazione questa espressamente richiesta di
valutazione nei motivi di appello.
2.b Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 62bis cod. pen.
Si duole, al riguardo la difesa del ricorrente della mancata concessione al proprio
assistito delle invocate circostanze attenuanti generiche non avendo la Corte di
Appello adeguatamente motivato il diniego ed avendo la stessa fatto richiamo
esclusivamente alla gravità del fatto senza tenere conto del comportamento
successivo al reato da parte del LO CASTRO in relazione al risarcimento del
danno ed alla positiva condotta processuale nonché in relazione al fatto che

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quanto la locuzione contenuta nell’art. 62 n. 6 cod. pen. “aver riparato” (il

l’unico precedente penale dello stesso risulta per reato (art. 573, comma 2, cod.
pen.) oggi non più punibile.
3. per CRASTI’ SADDEO Salvatore:
3.a Mancanza di motivazione in ordine alle invocate attenuanti generiche:
Si duole al riguardo la difesa del ricorrente del fatto che la Corte di Appello non
ha motivato in ordine alla mancata concessione all’imputato delle circostanze

abbia provveduto al parziale risarcimento del danno, non sia stato l’ideatore e
l’organizzatore del reato, ha reso piena confessione sui fatti, si è dichiarato
pentito per l’azione delittuosa compiuta e, infine, è soggetto incensurato.
3.b Eccessività del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato in relazione
agli elementi sopra evidenziati.
4. per FERRARA Salvatore:
4.a Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 606, lett. b) ed
e) cod. proc. pen.
Si duole la difesa del ricorrente del fatto che i Giudici distrettuali non avrebbero
correttamente ed adeguatamente risposto ai motivi di gravame concernenti:
4.a.1. La richiesta di assorbimento del reato di sequestro di persona in quello di
rapina;
4.a.2. La richiesta di assoluzione in ordine al reato di cui al capo C) della rubrica
delle imputazioni non essendovi alcuna prova della offensività delle cartucce
sequestrate;
4.a.3. La richiesta di contenimento della pena. I Giudici distrettuali, dopo aver
escluso la sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all’art. 628, comma 3,
n. 2 e 61 n. 2 cod. pen. ed assolto il FERRARA dal reato di detenzione della
pistola, con motivazione illogica e contraddittoria, avrebbero rideterminato per il
FERRARA la pena base per il reato di cui al capo A) in anni 9 e mesi 3 di
reclusione, mentre per gli altri imputati sempre per il medesimo reato la pena
base è stata rideterminata in anni 9 di reclusione;
4.a.4. La richiesta di contenimento della pena anche in relazione agli aumenti
per la continuazione ex art. 81 cod. pen.
5. LO TURCO Luca e LO TURCO Andrea (ricorso congiunto):
5.a Violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt.
605 e 628 cod. pen.

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attenuanti generiche nonostante che, come prospettato in sede di gravame, egli

Secondo i ricorrenti i Giudici di merito avrebbero dovuto pronunciare sentenza
assolutoria in relazione al reato di cui all’art. 605 cod. pen. per insussistenza del
fatto avendo la sentenza impugnata stravolto la descrizione dei fatti in relazione
alle dichiarazioni delle persone offese sul punto, non essendosi verificata la totale
privazione della libertà di locomozione e di autodeterminazione delle persone
offese.
A ciò si aggiunge l’asserita insussistenza in capo ai ricorrenti dell’elemento

coniugi CELI sarebbero stati privati della libertà attraverso la decisione del
coimputato LO CASTRO di chiuderli in bagno legandoli a delle sedie, loro si
trovavano lontani e non v’è prova di un preventivo accordo circa il compimento
di tale azione.
In ogni caso la sentenza impugnata sarebbe meritevole di censura nel momento
in cui ha escluso che il reato di sequestro di persona possa ritenersi assorbito in
quello di rapina. La privazione della libertà personale dei coniugi CELI non può
che essere qualificata come modalità di realizzazione della rapina e non già come
una condotta autonomamente rilevante ai sensi dell’art. 605 cod. pen. in quanto
diversamente opinando si verificherebbe una violazione del principio del ne bis in
idem.
5.b Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 110 e 605 cod. pen.
Rilevano al riguardo i ricorrenti che non vi sarebbe prova del loro concorso – né
materiale né morale – nel reato di sequestro di persona atteso che il sequestro
dei coniugi CELI avvenne in un momento in cui loro non erano più fisicamente
presenti all’interno della villa delle persone offese.
5.c Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 62-bis cod. pen.
Rilevano al riguardo i ricorrenti che la mera gravità del fatto, evidenziata nella
sentenza impugnata non può da sola costituire motivo di negazione delle
circostanze attenuanti generiche, non esistendo reati incompatibili
aprioristicamente con le circostanze attenuanti generiche.
Il ravvedimento del soggetto agente avrebbe dovuto essere preso in
considerazione come elemento per il riconoscimento delle predette circostanze
attenuanti essendo tra gli elementi positivi che la giurisprudenza ha ritenuto
debbano essere valutati unitamente alla necessità che la pena irrogata debba
essere finalizzata alla rieducazione del condannato.

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soggettivo del reato di cui all’art. 605 cod. pen. atteso che al momento in cui i

5.d Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 62 n. 6 cod. pen.
Si dolgono i ricorrenti del fatto che non è stata loro riconosciuta la circostanza
attenuante de qua nonostante che in atti sia presente un atto di transazione e
quietanza in cui si dà atto dell’intervento integrale risarcimento dei danni alle
persone offese da parte degli imputati. A ciò si aggiunga che i ricorrenti hanno
anche provveduto alla restituzione di tutta la refurtiva in loro possesso.

(sent. n. 5491/2009) l’attenuante de qua si estende a tutti i concorrenti in caso
di adempimento dell’obbligazione risarcitoria da parte di uno od alcuno di essi.
5.e Violazione dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 133 cod.
pen.
Rilevano i ricorrenti che nella sentenza impugnata non si è tenuto conto dei
criteri di cui all’art. 133 cod. pen. anche alla luce della definizione del processo
con le forme del rito abbreviato.
In data 3/11/2015 è pervenuta nella Cancelleria di questa Corte Suprema una
memoria difensiva a firma dell’Avv. Giovanni VILLARI asseritamente difensore di
fiducia degli imputati LO TURCO Luca e LO TURCO Andrea con la quale sono
state prodotte le sentenze dei due gradi del giudizio di merito, l’atto di denunciaquerela di CELI Mario in data 30/12/2012 e l’atto di transazione e quietanza in
relazione al pagamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni da parte
dei LO TURCO ed in favore delle persone offese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via del tutto preliminare deve evidenziarsi che da ricerche effettuate dal
personale della Cancelleria di questa Corte Suprema non risulta che il
sottoscrittore della “memoria difensiva” sopra menzionata sia iscritto
nell’apposito Albo dei difensori abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di
Cassazione con la conseguenza che la predetta memoria difensiva deve essere
dichiarata inammissibile e la documentazione alla stessa allegata (fatta
ovviamente eccezione per le sentenza già presenti in atti) non sarà presa in
considerazione.
2. Sul presupposto che non sono in contestazione le modalità di consumazione
dei fatti-reato o quelle di coinvolgimento dei singoli imputati nei fatti stessi (fatta
eccezione per quanto si dirà nel prosieguo con riguardo alla questione dei

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Tra l’altro sulla base della decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

ricorrenti LO TURCO Luca e LO TURCO Andrea nei fatti di sequestro di persona),
appare doveroso raggruppare per “temi” le questioni proposte nei vari ricorsi.
Si prenderanno quindi le mosse dalla questione legata al mancato
riconoscimento agli imputati da parte dei Giudici di merito della invocata
circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e di cui principalmente ai
ricorsi di PAPOTTO Alfio e PAPOTTO Gianluca (punto 1.a), LO CASTRO (punto
2.a), CRASTI’ (punto 3.a), LO TURCO Luca e LO TURCO Andrea (punto 5.d).

sottoposte alla Corte di Appello in sede di gravame alle quali è stata data una
risposta adeguata e conforme ai principi di diritto in materia (cfr. pagg. da 8 a 11
della sentenza impugnata).
Al di là del fatto che i ricorrenti, nel mancato rispetto del principio
giurisprudenziale dell'”autosufficienza” del ricorso per cassazione, citano
documenti relativi al risarcimento dei danni alle persone offese che non
producono così di fatto precludendone l’esame all’odierno Collegio che, come è
noto, in sede di giudizio di legittimità essendo giudice della motivazione e non
del fatto, non ha un accesso diretto agli atti, non può non evidenziarsi come la
Corte di Appello ha segnalato plurimi elementi in relazione ai quali non poteva
essere riconosciuta agli imputati l’invocata circostanza attenuante di cui all’art.
62 n. 6 cod. pen. richiamando al riguardo la giurisprudenza di questa Corte
Suprema.
Infatti i Giudici distrettuali hanno chiarito:
a) che solo un piccola parte della refurtiva è stata recuperata e restituita ai
Carabinieri;
b) che con missiva indirizzata dalle persone offese coniugi CELI/D’AMICO ai
difensori degli imputati PAPOTTO Alfio, PAPOTTO Gianluca, CRASTI’ SADDEO
Salvatore e LO CASTRO Samuele gli stessi si sono detti disponibili ad accettare la
somma di C 34.000 a titolo di risarcimento del solo danno materiale;
c) che LO CASTRO ha corrisposto prima dell’udienza del giudizio abbreviato solo
C 4.000,00 riservandosi di versare in seguito altri C 3.000,00 e quindi
complessivamente la somma di C 7.000,00, somma inferiore ala quota parte
inerente il solo danno materiale;
d) che analoga situazione riguarda anche i PAPOTTO che prima dell’udienza
avevano corrisposto solo C 5.000,00 nonché il CRASTI’ che prima dell’udienza ha
risarcito solo C 2.000,00 rilasciando poi 7 effetti cambiari per complessivi C
5.000,00;

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Con i predetti ricorsi risultano riproposte questioni già sostanzialmente

e) che, infine, anche i LO TURCO si sono limitati a produrre solo un atto di
transazione e quietanza in cui si dà atto dell’integrale risarcimento dei danni alle
persone offese ad opera di essi imputati senza che risulti documentata l’entità
della somma corrisposta né le modalità del versamento.
Ora, fermo restando il principio secondo il quale “nel caso in cui il procedimento
venga definito nelle forme del giudizio abbreviato, il risarcimento del danno ai
fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod.

Sez. 3, sent. n. 10490 del 19/11/2014, dep. 12/03/2015, Rv. 262652), va detto
che la decisione della Corte di Appello è conforme ai plurimi principi enunciati da
questa Corte Suprema e condivisi anche dall’odierno Collegio in forza dei quali:
a) è legittima la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod.
pen., qualora manchi qualsiasi indicazione sull’ammontare della somma ricevuta
dalla parte lesa, sicché non sia possibile il giudizio, imposto dalla esigenza che il
risarcimento sia integrale, sull’adeguatezza del ristoro rispetto al danno
cagionato (Cass. Sez. 4, sent. n. 2980 del 06/05/1988, dep. 23/02/1989, Rv.
180628) così come è avvenuto con riguardo all’atto transattivo prodotto
nell’interesse degli imputati LO TURCO;
b) per l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. … è
necessario che la somma offerta sia ritenuta adeguata dal giudice di merito, il cui
giudizio, se congruamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità
(Cass. Sez. 1, sent. n. 923 del 22/06/1982, dep. 03/02/1983, Rv. 157229);
c) ai fini della configurabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 62,
primo comma, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale,
comprensivo non solo di quello patrimoniale, ma anche di quello morale, e la
valutazione della sua congruità è rimessa all’apprezzamento del giudice (Cass.
Sez. 2, sent. n. 9143 del 24/01/2013, dep. 26/02/2013, Rv. 254880);
d) ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62,
comma primo, n. 6 cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale,
comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la
valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al
giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni
dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Cass. Sez. 4, sent. n. 34380 del
14/07/2011, dep. 20/09/2011, Rv. 251508) e ciò in quanto detta valutazione
spetta d’ufficio al giudice, indipendentemente dalle dichiarazioni della parte
offesa (la quale, in ipotesi, potrebbe anche rinunciare al risarcimento) ed
indipendentemente da un eventuale accordo raggiunto fra le parti ove non sia

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pen. deve avere luogo prima dell’inizio della discussione” (cfr. ex ceteris: Cass.

realmente satisfattivo (Cass. 5767/2010 Rv. 246564; Cass. 3897/1983 Rv.
158783), proprio perché la concessione o il diniego delle attenuanti è materia
sottratta alla volontà delle parti ed è soggetta solo ai presupposti indicati dalla
legge (volontarietà ed integrante del risarcimento avvenuto prima del giudizio di
primo grado) la cui verifica, come detto, essendo legata ad elementi di fatto
spetta solo al giudice del merito.
A quanto detto, deve essere poi aggiunto che le questioni (evidenziate nei ricorsi

tener conto ai fini della concessione della invocata circostanza attenuante anche
della volontà risarcitoria degli imputati e che sulla base della decisione delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 5491/2009) l’attenuante de qua
si estende a tutti i concorrenti in caso di adempimento dell’obbligazione
risarcitoria da parte di uno od alcuno di essi, non sono rilevanti per il caso che
qui ci occupa.
Se, infatti, come hanno condivisibilmente chiarito le Sezioni Unite di questa Corte
con la sentenza appena citata, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6
cod. pen. qualora il risarcimento integrale del danno sia stato effettuato da uno
solo dei concorrenti nel reato non si estende automaticamente a tutti i
compartecipi che sono rimasti inerti a meno che essi non manifestino una
concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno, non è questa la
situazione che in questa sede interessa. Nel caso in esame, infatti, pur in
presenza di una manifestazione soggettiva da parte degli imputati di risarcire il
danno difetta tuttavia l’altro elemento fondamentale per il riconoscimento della
circostanza attenuante e cioè che il danno in tutte le sue componenti materiali e
morali sia stato integralmente risarcito.
Del tutto fuor di luogo è, poi, il richiamo contenuto nel ricorso formulato
nell’interesse dell’imputato LO CASTRO al fatto che la Corte di Appello, nel
negare il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod.
pen. non ha tenuto conto del profilo normativo secondo il quale l’attenuante
stessa può essere riconosciuta allorquando l’imputato si sia attivato per
“l’attenuazione delle conseguenze del danno”.
Sembra trascurare, infatti, parte ricorrente gli assunti contenuti in consolidata e
mai mutata giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo i quali “la
circostanza dell’attivo ravvedimento, di cui all’art. 62 c.p., n. 6, seconda ipotesi,
si riferisce solo a quelle conseguenze del reato che non consistono in un danno
patrimoniale o non patrimoniale, economicamente risarcibile ai sensi dell’art. 185
c.p.; ne consegue che siffatta circostanza attenuante non è applicabile ai reati

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PAPOTTO e LO TURCO) legate al fatto che i Giudici di merito avrebbero dovuto

contro il patrimonio o che, comunque, offendano il patrimonio (Cass. Sez. 2,
sent. n. 2970 del 12/10/2010, dep. 27/01/2011, Rv. 249204; Sez. 5, sent. n.
45646 del 26/10/2010, dep. 29/12/2010, Rv. 249144; Sez. 5, sent. n. 36595 del
16/04/2009, dep. 22/09/2009, Rv. 245137; Sez. 5, sent. n. 24326 del
18/05/2005, dep. 28/06/2005, Rv. 232207).
Bene ha fatto quindi la Corte di Appello a non dare seguito motivazionale ad un
rilievo del tutto inappropriato rispetto alla vicenda che in questa sede ci occupa.

del reato ma priva di incidenza in ordine alla elisione o attenuazione delle sue
conseguenze dannose e, quindi, dei suoi effetti non spiega rilevanza ai fini
dell’applicabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n.
6, cod. pen. (Cass. Sez. 5, sent. n. 3404 del 15/12/2004, dep. 02/02/2005, Rv.
231412).
Alla luce di quanto detto deriva l’assoluta correttezza della decisione della Corte
di Appello sul punto e, per l’effetto, la manifesta infondatezza dei motivi di
ricorso de quibus.
3. Degni di trattazione congiunta si presentano anche i motivi di ricorso legati al
mancato riconoscimento agli imputati delle circostanze attenuanti generiche ex
art. 62-bis cod. pen. e di cui alle doglianze contenute nei ricorsi PAPOTTO
(punto 1.b), LO CASTRO (punto 2.b), CRASTI’ (punto 3.a) e LO TURCO
(punto 5.c).
Anche in questo caso ci troviamo in presenza di questioni già poste ai Giudici di
merito i quali vi hanno dato risposta congrua e conforme ai principi di diritto in
materia.
Va innanzitutto ricordato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di
motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con
quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo,
allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte
dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando
frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino
nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della
decisione (Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv.
257595) con l’ulteriore conseguenza che “in tema di sentenza penale di appello,
non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo
grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta
in primo grado, nonché della corrispondente motivazione, seguano le grandi

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Da ultimo deve essere ricordato che la confessione utile ai fini dell’accertamento

linee del discorso del primo giudice. Ed invero, le motivazioni della sentenza di
primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione” (Cass. Sez. 3, sent. n. 4700 del
14.2.1994, dep. 23.4.1994, rv 197497).
Ciò premesso non si può non rilevare che nel caso in esame, anche attraverso un
richiamo testuale alla motivazione del Giudice di prime cure, emerge che le

relazione ad una pluralità di elementi (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza
impugnata) legati alla estrema gravità del fatto (“manifestazione di assoluto
disprezzo per le regole del vivere civile prima ancora che dell’osservanza delle
leggi”), alle modalità di realizzazione dello stesso (“una banda armata di sette
persone che invadono abitazioni, le razziano e privano della libertà personale gli
abitanti per tutto il tempo che loro occorre per portare a compimento il loro
programma criminoso” … “commesso con violenza ai danni di due persone inermi
che facevano rientro presso la loro abitazione”), alla elevatissima capacità
delinquenziale mostrata dagli imputati, alla sostanziale assenza di elementi
positivi per il riconoscimento delle predette circostanze attenuanti essendo anche
– come evidenziato nel caso di LO TURCO Luca – la confessione frutto non di una
spontanea resipiscenza quanto da intenti utilitaristici, nonché alla presenza di
precedenti penali per quanto riguarda LO CASTRO, PAPOTTO Gianluca, FERRARA
e LO TURCO Luca (oltretutto specifici per gli ultimi tre).
Quella adottata dai Giudici di merito è una motivazione più che congrua e logica
alla luce dei principi in materia dettati da questa Corte Suprema secondo i quali:
a) Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere
legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno
positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62 bis, disposta con il D.L.
23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n.
125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più
sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Cass. Sez. 3, sent. n. 44071
del 25/09/2014, dep. 23/10/2014, Rv. 260610);
b) Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli
faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti
gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Cass. Sez. 3, sent. n. 28535 del
19/03/2014, dep. 03/07/2014, Rv. 259899);

11

circostanze attenuanti generiche non sono state riconosciute agli imputati in

c)

La motivazione cumulativa di diniego delle attenuanti generiche a più

coimputati consociati non difetta di genericità ove riferita alla gravità del fatto e
della pericolosità dei soggetti, desunta, quest’ultima, dalla gravità del reato e dal
quadro di ambiente (Cass. Sez. 3, sent. n. 21690 del 20/02/2013, dep.
21/05/2013, Rv. 255773);
d) La concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un
giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve

valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla
personalità del reo (Cass. Sez. 6, sent. n. 41365 del 28/10/2010, dep.
23/11/2010, Rv. 248737).
Quanto detto rende quindi manifestamente infondati anche i motivi di ricorso de
quibus.
4. Meritevoli di trattazione congiunta appaiono anche i motivi di ricorso incidenti
sotto vari profili al trattamento sanzionatorio riservato agli imputati così come
esposti nei ricorsi CRASTI’ (punto 3.b), FERRARA (punti 4.a.3 e 4.a.4) e LO
TURCO (punto 5.e).
Si è già detto della manifesta infondatezza delle questioni riguardanti il mancato
riconoscimento agli imputati delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6 e
62-bis cod. pen. così come si è già avuto modo di chiarire che le sentenze di
primo e di secondo grado si integrano reciprocamente sotto il profili
motivazionali.
Si sono infine evidenziati elementi contenuti nella parte di motivazione della
sentenza impugnata relativa al mancato riconoscimento agli imputati delle
circostanze attenuanti generiche che ben qualificano e danno conto della
valutazione ex art. 133 cod. pen. operata dai Giudici di merito nella
determinazione del trattamento sanzionatorio riservato agli imputati. Del resto è
pacifico che ai fini della determinazione della pena, il giudice può valutare la
gravità del fatto e la personalità dell’imputato, già prese in considerazione ai fini
della valutazione sulla configurabilità o meno delle circostanze attenuanti
generiche, in quanto legittimamente lo stesso elemento può essere rivalutato in
vista di una diversa finalità (Cass. Sez. 2, sent. n. 933 del 11/10/2013, dep.
13/01/2014, Rv. 258011).
Ci troviamo, quindi, anche in questo caso in presenza di una motivazione
congrua, logica e pienamente rispettosa dei principi di diritto in materia delineati
da questa Corte Suprema e condivisi anche dall’odierno Collegio.

12

essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua

Va solo ricordato, per dovere di completezza, che la graduazione della pena,
anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze
aggravanti ed attenuanti (ed il discorso vale anche certamente per la
continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen. -ndr.), rientra nella discrezionalità del
giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza
ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova

mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione
(Cass. Sez. 5, sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 259142).
Per quanto riguarda, infine, la doglianza esposta nel ricorso dell’imputato
FERRARA secondo la quale i Giudici con motivazione asseritamente illogica e
contraddittoria avrebbero rideterminato per il FERRARA la pena base per il reato
di cui al capo A) in anni 9 e mesi 3 di reclusione, mentre per gli altri imputati
sempre per il medesimo reato la pena base è stata rideterminata in anni 9 di
reclusione va detto che la stessa è priva di fondamento avendo la Corte di
Appello chiarito (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata) con motivazione
sintetica ma esaustiva che il diverso trattamento sanzionatorio riservato al
FERRARA è legato ai precedenti penali dello stesso.
Ciò rende manifestamente infondati anche i motivi di ricorso de quibus.
5. Passando, ora, all’esame congiunto delle questioni inerenti la contestazione
agli imputati del reato di cui all’art. 605 cod. pen. sollevate in principalità nei
ricorsi FERRARA (punto 4.a.1) e LO TURCO (punti 5.a e 5.b) va detto che
anche in questo caso ci troviamo in presenza di questioni già poste ai Giudici di
merito ed alle quali è stata data risposta congrua, non manifestamente illogica e
tantomeno contraddittoria, nonché conforme ai principi di diritto che regolano la
materia.
E’ innanzitutto pacifico in quanto definitivamente accertato in fatto (e quindi non
più contestabile in questa sede) che i coniugi CELI Mario e D’AMICO Rosa Santa
furono bloccati allorquando stavano rientrando a casa, alle ore 20.00 del
30/12/2012, da cinque degli odierni imputati i quali li costrinsero ad entrare
nell’immobile e che ivi furono costretti a rimanere bloccati sotto lo stretto
controllo degli imputati nel mentre altri due complici si recavano nell’esercizio
commerciale di gioielleria di proprietà delle persone offese al fine di appropriarsi
dei preziosi ivi contenuti.

13

valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di

Risulta ancora che i malfattori recatisi in gioielleria telefonavano a casa delle
vittime segnalando problemi nell’apertura della cassaforte e che uno di essi si
recò presso l’abitazione delle vittime per ottenere maggiori istruzioni al riguardo.
Risulta, infine, che solo alle ore 22.30 (quindi due ore e mezza dopo l’inizio
dell’azione delittuosa) i malviventi rimasti all’interno dell’abitazione venivano
informati che il colpo alla gioielleria era andato a buon fine.
Prima di allontanarsi dall’immobile il presunto capo dei malviventi prelevava dal

averne accostato gli schienali, vi faceva accomodare i coniugi CELI e li legava
utilizzando del nastro adesivo da imballaggio. Quindi il rapinatore intimava al
CELI, non prima di avere nascosto la carta SIM, il telefono e le chiavi dell’auto
del medesimo, di non muoversi prima di un quarto d’ora e si allontanava.
Circa 10 minuti dopo il CELI riusciva a liberarsi e recuperato il telefono e la carta
SIM avvertiva i Carabinieri dell’accaduto.
Questi i fatti.
Va detto subito che – contrariamente a quanto affermato nel ricorso degli
imputati LO TURCO – nessuno “stravolgimento dei fatti” risulta essere ravvisabile
nella motivazione della sentenza che in questa sede ci occupa.
Al di là del fatto che il ricorso sul punto, come detto, non rispetta il requisito
giurisprudenziale delrautosufficienza” del ricorso per cassazione richiamando
atti che non allega o riproduce integralmente, va detto che ciò non appare
neppure dagli stralci delle dichiarazioni delle persone offesa riportati nel ricorso
stesso.
Né si potrà ipotizzare un travisamento della prova atteso che nel caso di specie
con riguardo alla decisione in ordine agli odierni ricorrenti ci si trova dinanzi ad
una c.d. “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il
vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo
nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento
probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come
oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado,
situazione che nel caso in esame non si è verificata.
E’ invece un dato oggettivo (qui non più contestabile essendo legato ad una
situazione di fatto accertata in entrambi i gradi di giudizio di merito) che i coniugi
CELI/D’AMICO furono legati nella maniera descritta in sentenza e rinchiusi nel
bagno della loro abitazione ove riuscirono a “liberarsi” solo dopo un apprezzabile
lasso di tempo.
Ciò basta a configurare il contestato reato di cui all’art. 605 cod. pen.

14

salone dell’abitazione una sedia ed una poltrona, le portava in bagno e, dopo

Integra, infatti, il reato di sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) la condotta
di colui che, conseguito lo scopo della rapina, protrae lo stato di soggezione della
persona offesa, impedendole la libertà di movimento, sia pure allo scopo di
garantirsi la fuga (Cass. Sez. 2, sent. n. 4986 del 24/11/2011, dep. 09/02/2012,
Rv. 251816).
A ciò si aggiunga che ai fini dell’integrazione del delitto di sequestro di persona è
sufficiente l’impossibilità della vittima di recuperare la propria libertà di

della libertà, che può anche essere breve, a condizione che sia giuridicamente
apprezzabile (Cass. Sez. 5, sent. n. 28509 del 13/04/2010, dep. 20/07/2010,
Rv. 247884) e, ancora, che il delitto di sequestro di persona non presuppone
necessariamente l’interclusione della vittima, ma può consistere in limitazioni
della libertà personale che derivino da costrizione psichica o dalla creazione di
condizioni di sostanziale impossibilità alla locomozione, quali, ad esempio,
l’esposizione ad un pericolo per l’incolumità personale (Cass. Sez. 3, sent. n.
36823 del 15/06/2011, dep. 12/10/2011, Rv. 251084).
Quanto, poi, al rapporto tra il reato di rapina aggravata e quello di sequestro di
persona va ricordato che anche in tempi recenti questa Corte Suprema ha avuto
modo di ribadire, con un assunto condiviso anche dall’odierno Collegio, che il
reato di sequestro di persona è assorbito in quello di rapina aggravata previsto
dall’art. 628, comma terzo, n. 2, cod. pen. soltanto quando la violenza usata per
il sequestro si identifica e si esaurisce col mezzo immediato di esecuzione della
rapina stessa, non quando invece ne preceda l’attuazione con carattere di reato
assolutamente autonomo anche se finalisticannente collegato alla rapina ancora
da porre in esecuzione o ne segua l’attuazione per un tempo non strettamente
necessario alla consumazione. (Fattispecie relativa ad una rapina in banca, nella
quale è stato ritenuto il concorso dei due reati, in ragione del fatto che i
dipendenti della agenzia erano stati costretti con minaccia ad intrattenersi in un
locale e a rimanervi per un tempo apprezzabile anche dopo l’esaurimento della
condotta criminosa e l’allontanamento dei rapinatori) (Cass. Sez. 2, sent. n.
22096 del 19/05/2015, dep. 27/05/2015, Rv. 263788).
Rimane, infine, da esaminare la questione della configurabilità anche in capo ai
due imputati LO TURCO della responsabilità (sotto il profilo oggettivo e
soggettivo) in ordine al reato di cui all’art. 605 cod. pen.
Al riguardo questa Corte ritiene di condividere totalmente quanto in proposito
osservato ed esplicitato con motivazione corretta e logica dai Giudici del merito
(cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata) allorquando hanno sottolineato che

15

movimento anche relativa, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione

”l’espressa adesione ad un’impresa criminosa quale quella per la quale si procede
comporta per sé il consenso da parte di tutti i concorrenti a tutte le fasi: quindi
all’attività programmata quale necessaria al fine di ottenere le chiavi della
gioielleria, le informazioni necessarie per disattivare l’allarme e dunque la
combinazione della cassaforte; alla permanenza nell’abitazione delle vittime per
tutto il tempo necessario per svaligiare la gioielleria; alla segregazione delle
persone offese nel bagno, legandole alle sedie con scotch da imballaggio, al fine

Del resto basti osservare che la privazione della libertà delle persone offese per
un apprezzabile arco temporale era fatto certamente ben noto a tutti i
concorrenti nel reato e, diremmo, certamente funzionale alla programmate
modalità esecutive dell’azione stessa e la circostanza che – a causa della
programmata ripartizione dei ruoli – i LO TURCO non fossero fisicamente presenti
all’interno dell’abitazione delle persone offese nel momento in cui le stesse
furono legate e rinchiuse nel bagno a nulla rileva, non trattandosi certo di
un’azione eccezionale ed imprevedibile rispetto all’intero contesto dell’azione
criminosa e non essendo in alcun modo provata la loro anticipata dissociazione
rispetto alla predetta azione.
Come correttamente ricordato anche dalla Corte di Appello in tema di concorso di
persone nel reato, la responsabilità del compartecipe ex art. 116 cod. pen. può
essere esclusa solo quando il reato diverso e più grave si presenti come un
evento atipico, dovuto a circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, non
collegato in alcun modo al fatto criminoso su cui si è innestato, oppure quando si
verifichi un rapporto di mera occasionalità idoneo ad escludere il nesso di
causalità. (Fattispecie relativa ad una rapina in banca, nella quale l’imputato,
rimasto fuori dall’istituto di credito, è stato ritenuto colpevole a titolo di concorso
ex art. 110 cod. pen. e non ex art. 116 cod. pen. anche per i reati di sequestro
di persona degli impiegati e di detenzione e porto dell’arma utilizzata dai complici
per l’esecuzione del delitto) (Cass. Sez. 2, sent. n. 3167 del 28/10/2013, dep.
23/01/2014, Rv. 258604). Anche in tempi più recenti questa Corte Suprema ha,
poi, ribadito che in tema di concorso di persone nel reato, la responsabilità del
compartecipe ex art. 116 cod. pen. può essere configurata solo quando l’evento
diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto
(indeterminato, alternativo od eventuale) e, dunque, a condizione che non sia
stato considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta
criminosa concordata. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto
configurabile a carico dell’imputato, autore materiale di una rapina impropria, il

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di guadagnare la fuga e sottrarsi alle ricerche dell’autorità”.

concorso ex art. 110 cod. pen. in relazione alle lesioni, che i correi durante la
fuga provocavano alla vittima). (Cass. Sez. 2, sent. n. 49486 del 14/11/2014,
dep. 27/11/2014, Rv. 261003).
6. Infine, risulta inammissibile la questione posta dalla difesa del ricorrente
FERRARA relativa alla richiesta di assoluzione dell’imputato in ordine al reato di
cui al capo C) della rubrica delle imputazioni in quanto vi sarebbe alcuna prova

In realtà non risulta provato che la specifica questione sia stata sollevata anche
con i motivi di appello non essendone fatta menzione nel prospetto riassuntivo
delle questioni oggetto di gravame laddove si menziona esclusivamente una
richiesta di assoluzione dal reato di detenzione di “arma” (cfr. pag. 3 della
sentenza impugnata), non essendo contestato nel ricorso detto prospetto
riassuntivo, né essendo stato altrimenti documentato da parte del ricorrente, in
osservanza del principio dell'”autosufficienza” del ricorso per cassazione, che la
questione era stata sottoposta alla Corte distrettuale.
Il motivo di ricorso sotto questo profilo è, quindi, generico perché parte
ricorrente, tenuto conto di quanto disposto dall’art. 606, comma 3, ultima parte,
c.p.p., ed in virtù dell’onere dì specificità dei motivi di ricorso per cassazione,
imposto dall’art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p., avrebbe avuto il dovere
processuale di contestare specificamente, nell’odierno ricorso, il riepilogo dei
motivi di gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se
ritenuto incompleto o comunque non corretto, poiché la tempestiva deduzione
della violazione di legge come motivo di appello costituisce requisito che
legittima la riproposizione della doglianza in cassazione e, pertanto, di ciò il
ricorso, con la dovuta specificità, deve dar conto.
Invero, questa Corte Suprema ha già avuto modo di affermare il seguente
principio di diritto: «Il ricorso proposto per violazioni di legge asseritamente
verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, per soddisfare l’onere di
specificità dei motivi imposto a pena di inammissibilità dall’art. 581, comma 1,
lett. C), c.p.p., deve contenere la specifica contestazione del riepilogo dei motivi
di appello contenuto nella sentenza impugnata, nel caso in cui lo stesso non dia
conto della deduzione della predetta violazione di legge come motivo di appello;
il ricorso proposto per violazioni di legge verificatesi nel corso del giudizio di
primo grado, ma non dedotte con i motivi di appello, sarebbe, infatti, ai sensi
dell’art. 606, comma 3, ultima parte, c.p.p., inammissibile» (Cass. Sez. 2, sent.
n. 9028 del 05/11/2013, dep. 25/02/2014, Rv. 259066).

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della offensività delle cartucce sequestrate.

Per le considerazioni or ora esposte, dunque, tutti i ricorsi esaminati devono
essere dichiarati inammissibili.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, in solido tra
loro, al pagamento delle spese del procedimento e, quanto a ciascuno di essi, al
pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di € 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione
pecuniaria.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 18 novembre 2015.

P.Q.M.

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