Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46322 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46322 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Di Fazio Giuseppe, nato a Leonforte il 1603/1961

avverso la sentenza del 26/06/2012 della Corte di appello di Caltanissetta

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 26 giugno 2012 la Corte d’Appello di Caltanissetta,
confermando la decisione assunta dal Tribunale di Nicosia, ha riconosciuto
Giuseppe Di Fazio responsabile dei delitti di falsità in scrittura privata

ex art..

485 e 491 cod. pen., sostituzione di persona continuata e falsità in scrittura
privata ex art. 485 cod. pen., in continuazione fra loro; ha quindi tenuto ferma la

Data Udienza: 09/04/2013

sua condanna alle pene di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte
civile.
1.1. Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, il Di Fazio
aveva falsamente assunto l’identità del suo ex datore di lavoro Giuseppe Di
Pietro, proseguendo nell’attività commerciale da lui cessata; aveva sottoscritto
un contratto apponendovi la sua falsa firma, per ottenere un finanziamento;
aveva stipulato un contratto di telefonia spacciandosi per il Di Pietro; aveva
formato un falso ordine di bonifico, usandolo per far apparire effettuato il

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore,
affidandolo a quattro motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla
riconducibilità della falsa sottoscrizione alla propria mano; osserva che, sul
punto, il perito grafologo si era espresso in termini di mera probabilità.
Denuncia, altresì, carenza motivazionale in ordine all’aggravante di cui all’art.
491 cod. pen., rilevante anche ai fini della perseguibilità d’ufficio.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente rimprovera alla Corte di merito di aver
illogicamente disatteso il motivo di appello col quale, riferendosi all’imputazione
ex art. 494 cod. pen., egli aveva sostenuto di aver formulato nei confronti della
compagnia telefonica una mera proposta contrattuale, inidonea a trarre in errore
sulla propria identità.
2.3. Col terzo motivo deduce di essere stato illegittimamente condannato
per l’uso del falso bonifico, sebbene l’imputazione riguardasse la falsificazione.
2.4. Col quarto motivo impugna il diniego delle attenuanti generiche, che
assume dovutegli per il suo comportamento processuale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in ambedue le censure nelle
quali si articola.
1.1. La prima di esse, volta a contrastare l’affermazione di responsabilità del
Di Fazio per la falsa sottoscrizione in calce al contratto di finanziamento datato
13 ottobre 2005, sotto il profilo dell’incerta riconducibilità della sottoscrizione alla
sua mano, costituisce nulla più che la reiterazione di argomenti già sottoposti
alla disamina del giudice di appello e da questi confutati, con esauriente
motivazione, attraverso il richiamo alle risultanze della perizia grafologica della
Dott.ssa Cannarozzo e alla conferma tratta dalla deposizione del teste Daniele
Pistolesi; la rinnovata formulazione di ragioni già dedotte nei motivi di appello, e

2

A

pagamento di un debito insoluto.

r

puntualmente disattese, è inammissibile in quanto omette di assolvere la tipica
funzione di una critica argomentata verso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6,
n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 del
08/05/2009, Candita, Rv. 244181).
1.2. L’inammissibilità della seconda censura discende dalla carenza
d’interesse, in capo al Di Fazio, a far valere l’errata menzione dell’aggravante ex
art. 491 cod. pen. nel capo d’imputazione contrassegnato dalla lettera A).
Emerge, invero, in tutta chiarezza come la predetta aggravante, ancorché non

sarebbe stato possibile determinare la pena base in cinque mesi di reclusione,
essendo di un anno il minimo edittale previsto dall’art. 476 cod. pen.,
richiamato, per l’appunto, dall’art. 491 dello stesso codice. Né può sostenersi che
la contestazione della menzionata aggravante abbia spiegato efficacia nel
rendere il reato perseguibile d’ufficio, atteso che la procedibilità dell’azione
penale è stata assicurata dalla querela, sporta dal Di Pietro nei confronti di ignoti
prima che l’odierno imputato fosse identificato come autore degli illeciti per cui si
procede.

2. Anche il secondo motivo di ricorso si traduce nella riproposizione, in
forma più contratta, delle argomentazioni svolte a suo tempo nel secondo motivo
di appello, col sostenere che il documento sottoscritto dall’imputato – col falso
nome di Giuseppe Di Pietro – e rilasciato a Daniele Pistolesi, che agiva per conto
della società BT Italia, fosse soltanto una proposta contrattuale e non avesse,
perciò, l’efficacia di produrre effetti giuridici vincolanti fra le parti. L’assunto è
stato radicalmente confutato dalla Corte d’Appello, che nel tenore del documento
in questione ha riscontrato gli estremi di un vero e proprio contratto e non già di
una mera proposta contrattuale. Siffatta ratio decidendi non è minimamente
contrastata nel ricorso per cassazione, nel quale il Di Fazio si limita a riproporre
– inammissibilmente – la qualificazione giuridica del documento come proposta
contrattuale, senza addurre alcuna specifica ragione atta a contrastare il diverso
convincimento del giudice di merito.

3. La censura che informa il terzo motivo è manifestamente infondata.
Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, l’uso del falso bonifico in favore
della società Soft Way s.r.l. risulta ab origine espressamente contestato nel capo
d’imputazione

sub

C), con l’espressione «facendo poi uso del predetto

documento falso che veniva inviato a quest’ultima società…». Non è, quindi,
seriamente accreditabile la violazione di legge prospettata col motivo in esame,
la cui inammissibilità dipende anche dalla sua novità, rispetto alle questioni

3

esplicitamente esclusa, sia stata di fatto disapplicata: poiché diversamente non

sollevate coi motivi di appello (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.).

4. Il quarto motivo esule dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 cod.
proc. pen., in quanto volto a criticare la mancata applicazione delle attenuanti
generiche. Trattasi, invero, di statuizione che l’ordinamento rimette alla
discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di
legittimità, quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai
canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di

modalità – evidenzianti uno spiccato carattere frodatorio – delle condotte poste
in essere dal Di Fazio, nonché l’esistenza di plurimi precedenti penali per reati
della stessa indole. Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura,
non essendo necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice
prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod.
pen., ma essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel
discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo (Sez. 6, n. 34364
del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 1, n. 1666 del 11/12/1996 – dep.
21/02/1997, Adreveno, Rv. 206936; Sez. 1, n. 866 del 20/10/1994 – dep.
26/01/1995, Candela, Rv. 200204).

5. Alla stregua di quanto fin qui osservato, il ricorso deve essere considerato
inammissibile in ogni sua parte; alla relativa declaratoria conseguono le
statuizioni di cui all’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 09/04/2013.

motivare la propria decisione sul punto, con l’evidenziare la pluralità e le

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