Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46320 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 46320 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Comini Anna, nata a Genova il 18/07/1937
2. Cattaneo Mara, nata a Genova il 17/12/1956

avverso la sentenza del 16/02/2011 della Corte di appello di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per
prescrizione;
udito per le imputate l’avv. Silvio Romanelli, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 16 febbraio 2011 la Corte d’Appello di Genova,
confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto Anna

Data Udienza: 09/04/2013

Connini e Mara Cattaneo responsabili dei delitti di concorso morale nella
falsificazione del testamento di Artemisia Valle datato 23 febbraio 2003 e tentata
truffa ai danni della «Provincia religiosa San Benedetto di Don Orione»; ha quindi
tenuto ferma la loro condanna alle pene di legge e, in via solidale, al
risarcimento dei danni in favore del menzionato ente, costituitosi parte civile.
1.1. In base alle risultanze di un perizia grafologica, condotta con l’ausilio
delle scritture di comparazione tratte da un precedente testamento del 5
febbraio 1986, dalla carta d’identità di Artemisia Valle e da un assegno emesso

la data del 23 febbraio 2003 fosse apocrifa; e, sebbene la mano che l’aveva
redatta non appartenesse ad alcuna delle due imputate, ha fondato il giudizio di
colpevolezza sul concorso morale desumibile dal loro comune interesse alla
falsificazione. Ha inoltre ricollegato la responsabilità per la tentata truffa alla
consapevolezza circa la falsità del testamento.

2. Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione le imputate, per il
tramite del comune difensore, affidandolo a tre motivi.
2.1. Col primo motivo le ricorrenti impugnano l’affermazione di loro
responsabilità per il falso testamentario, siccome basata su una non meglio
chiarita applicazione del principio

cui prodest;

osservano che tale linea

argomentativa è contrastata dalla giurisprudenza di legittimità e rilevano che
nessuna prova è stata individuata dalla Corte di merito a dimostrazione del loro
concorso morale nel reato, in qualsiasi forma.
2.2. Col secondo motivo impugnano il giudizio di falsità del testamento,
sottoponendo a critica la perizia grafologica e contestando la valenza delle
scritture di comparazione; lamentano, siccome ingiustificato, il rigetto della
richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
2.3. Col terzo motivo impugnano l’affermazione di responsabilità a titolo di
tentata truffa, evidenziando come la sussistenza del dolo sia stata ricollegata alla
consapevolezza circa la falsità del testamento, già contrastata col primo motivo.
Su altro versante ripropongono la linea difensiva basata sulle modalità delle
trattative intercorse con la «Provincia religiosa San Benedetto di Don Orione»,
intraprese per iniziativa di quest’ultima e interrotte per il rifiuto delle deducenti.

3. Vi è agli atti una memoria depositata nell’interesse della parte civile, con
la quale si chiede il rigetto del ricorso allegando copia di provvedimenti del
giudice civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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da costei nel 2003, ha ritenuto quel collegio che la scheda testamentaria recante

1. Con precedenza su ogni altra considerazione va rilevato che, in presenza
di un ricorso ammissibile in quanto tempestivamente proposto e basato – in gran
parte – su motivi consentiti, corre l’obbligo di rilevare l’intervenuta estinzione dei
reati ascritti alle imputate: è infatti maturato fin dal giorno 1 ottobre 2011 il
termine prescrizionale di sette anni e sei mesi (tenuto conto degli atti
interruttivi) dalla data del fatto, collocata cronologicamente ad epoca anteriore e
prossima al mese di aprile 2004; né consta che nel corso del procedimento si

1.1. In considerazione di ciò la sentenza impugnata deve essere annullata
agli effetti penali, in osservanza dell’obbligo di immediata declaratoria della
causa di estinzione testé rilevata. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione
dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.: è infatti principio di indiscussa
acquisizione quello per cui, in presenza di una causa estintiva del reato, il
proscioglimento nel merito deve essere privilegiato solo quando la prova
dell’insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale o della estraneità
dell’imputato alla sua commissione si stagli in tutta evidenza – vale a dire in
modo incontrovertibile – sulla base degli stessi elementi e delle medesime
valutazioni poste a base della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 33309 del
08/07/2008, Rizzato, Rv. 241961; Sez. 1, n. 8074 del 29/05/1998, Gian, Rv.
211764); a maggior ragione ciò è a dirsi nel giudizio di cassazione, nel quale il
controllo sul provvedimento impugnato incontra i limiti di deducibilità del vizio di
motivazione (Sez. 6, n. 27944 del 12/06/2008, Capuzzo, Rv. 240955).
1.2. Nel caso di cui ci si occupa non può affermarsi che a favore delle
imputate militino ragioni immediatamente rivelatrici dell’esistenza dei
presupposti per l’applicazione del citato art. 129, comma 2, cod. proc. pen.;
tanto non emerge dalla sentenza impugnata (che anzi racchiude un
accertamento di loro responsabilità) né dai motivi dedotti a sostegno del ricorso,
il secondo dei quali sollecita un supplemento istruttorio, mentre il primo e il terzo
si basano su censure inerenti al deficit motivazionale che devono intendersi
recessive rispetto alla declaratoria della prescrizione, non potendo esse che
tendere a un eventuale annullamento con rinvio, non praticabile a fronte
dell’obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato.

2. La suddetta declaratoria di estinzione non esaurisce, tuttavia, il thema
decidendum di cui questa Corte è investita: ed invero, essendo stata emessa in
sede di merito la condanna delle imputate al risarcimento dei danni in favore
della «Provincia religiosa San Benedetto di Don Orione», costituitasi parte civile,
è d’obbligo ora decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili, per disposto

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siano verificate cause di sospensione del predetto termine.

dell’art. 578 cod. proc. pen..
2.1. Nell’attendere a ciò non si può omettere di considerare che il fatto
storico consistito nella materiale falsificazione del testamento apparentemente
redatto da Artemisia Valle è stato accertato dai giudici di primo e di secondo
grado sulla base di un apprezzamento delle emergenze probatorie che, per
essere sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici, si sottrae al
sindacato in sede di legittimità. Ciò rende ragione dell’inammissibilità del
secondo motivo di ricorso nella parte in cui s’indirizza a sollecitare una rinnovata

traducendosi nella richiesta di una diversa decisione sul merito.
Neppure può trovare accoglimento la doglianza, sollevata a chiusura del
motivo, riferita alla mancata acquisizione di una prova assertivamente decisiva
che le ricorrenti indicano nella chiesta rinnovazione della perizia grafologica. A
confutazione basti richiamarsi al principio giurisprudenziale secondo cui non è
sindacabile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 c. 1 lett. d) cod. proc. pen., il
diniego dell’espletamento di una perizia; trattasi, infatti, di atto istruttorio di
carattere «neutro», sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla
discrezionalità del giudice, che non può dunque farsi rientrare nel concetto di
«prova decisiva» (Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, Ritorto, Rv. 253707; Sez. 4,
n. 14130 del 22/01/2007, Pastorelli, Rv. 236191; Sez. 4, n. 4981/04 del
05/12/2003, Ligresti, Rv. 229665); nonché all’altro principio, riguardante
specificamente il giudizio di secondo grado, a tenore del quale il giudice d’appello
ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del
dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di
respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la
sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo
(Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D. S. B., Rv. 247872).
2.2. La accertata falsità materiale del testamento non è, tuttavia, sufficiente
perché possa senz’altro affermarsi la responsabilità della Comini e/o della
Cattaneo per la loro falsificazione. Ed invero, essendosi conclusa con esito
negativo l’indagine peritale sulla riconducibilità o meno della sua redazione alla
mano delle imputate, il reato ex art. 476 cod. pen. può configurarsi a loro carico
soltanto a titolo di concorso morale con l’ignoto autore materiale della falsità
In tale senso si è orientato, per l’appunto, il giudizio della Corte di merito: la
quale, tuttavia, ha motivato il deliberato aderendo a un criterio basato soltanto
sulla valorizzazione del parametro cui prodest, insufficiente ad apprestare un
adeguato sostegno logico-giuridico all’affermazione di colpevolezza.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha già ripetutamente affermato
il principio, qui condiviso, secondo cui «in tema di concorso di persone nel reato,

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valutazione del materiale istruttorio da parte della Corte di Cassazione,

la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa
manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa
(istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua
preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro
concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni
ostacolo alla realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall’obbligo di
motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa
o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata,

concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa
concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria
circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà» (così Sez. U, n. 45276
del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101; v. anche le più recenti Sez. 1, n. 5631
del 17/01/2008, Maccioni, Rv. 238648; Sez. 1, n. 10730 del 18/02/2009, Puoti,
Rv. 242849). Con ciò si appalesa il vizio motivazionale che inficia sul punto la
sentenza impugnata, imponendone l’annullamento con rinvio al giudice civile
competente per valore in grado di appello, giusta il disposto dell’art. 622 cod.
proc. pen..
2.3. Nello stesso senso deve provvedersi in ordine all’affermazione di
responsabilità delle imputate per il delitto di tentata truffa, sul cui presupposto
soggettivo – costituito dalla consapevolezza della falsità del testamento – la
sentenza di merito è del pari carente per le ragioni testé evidenziate.

3. La ripartizione delle spese nei rapporti fra le parti private è riservata al
giudizio rescissorio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, agli effetti penali, per essere i
reati addebitati estinti per prescrizione; annulla agli effetti civili con rinvio al
giudice civile di appello competente per ragioni di valore.
Così deciso il 09/04/2013.

in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri

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