Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46317 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46317 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:

FASULO Vito, nato a Marsala il giorno 23/3/1992;
LICARI Giovanni, nato ad Erice il giorno 4/1/1991

avverso la sentenza n. 4032/2013 in data 5/11/2013 della Corte di Appello di
Palermo;
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo GALLI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di
entrambi i ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 5/11/2013 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la
sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Marsala in
data 24/1/2012 che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato FASULO
Vito e LICARI Giovanni colpevoli (in concorso con LORIA Salvatore e CHIRCO
Emiliano giudicati separatamente) di tentata rapina aggravata ai danni di un
ufficio postale, del furto dell’autovettura utilizzata nell’occasione nonchè per i
reati satellite connessi all’uso ed al porto delle armi utilizzate (capi da A ad F
della originaria rubrica delle imputazioni), così condannandoli a pene ritenute di
giustizia.

Data Udienza: 18/11/2015

Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati,
deducendo:
1. per FASULO Vito:
1.a Nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge
penale in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
Eccepisce la difesa del ricorrente l’illogicità e la contraddittorietà della
motivazione della sentenza impugnata che avrebbe considerato come

coimputati che hanno effettuato le chiamate in correità e che quindi non avrebbe
valutato attentamente la credibilità soggettiva dei dichiaranti.
Dette discrepanze emergerebbero in particolare dalle chiamate di correo in
relazione alla provenienza del fucile utilizzato in occasione della consumazione
dell’azione delittuosa ed in ordine al rapporto intercorrente tra i due dichiaranti.
Non si sarebbe, poi, tenuto in debito conto l’esito negativo della perquisizione a
carico del FASULO od il fatto che sulla base delle dichiarazioni testimoniali al
tentativo di rapina avrebbero preso parte solo tre persone.
Alla luce di ciò i Giudici di merito avrebbero dovuto pronunciare sentenza di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
1.b Nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge
penale in relazione all’art. 529 cod. proc. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che i capi E) ed F) della rubrica delle
imputazioni contengono una mera duplicazione della contestazione e che
nell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. deve ritenersi
assorbita la violazione della legge sulle armi.
1.c

Nullità della sentenza per mancanza e/o manifesta illogicità della

motivazione in relazione all’art. 62-bis cod. pen.
Si duole, al riguardo, la difesa del ricorrente che i Giudici di merito, nel negare il
riconoscimento all’imputato della predetta circostanza attenuante, avrebbero non
correttamente tenuto in esclusivo conto la gravità dei fatti-reato senza prendere
in considerazione altri elementi di rilievo quali la giovane età e l’incensuratezza
dell’imputato.
2. per LICARI Giovanni:
2.a II primo motivo di ricorso consiste in una sostanziale duplicazione del motivo
di ricorso del coimputato FASULO così come sopra riassunto punto 1.a.

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discrepanze marginali le discrasie contenute nelle dichiarazioni dei due

2.b Il secondo motivo di ricorso consiste a sua volta in una sostanziale
duplicazione del motivo di ricorso del coimputato FASULO così come sopra
riassunto punto 1.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di entrambi i ricorsi che in questa‘Jci occupano è
manifestamente infondato.
Non sfugge innanzitutto che trattasi di questioni già poste in sede di gravame

di correo operate dai coimputati LORIA Salvatore e CHIRCO Emiliano e con
motivazione assolutamente adeguata, logica e certamente non contraddittoria
risulta avere correttamente valutato l’attendibilità delle dichiarazioni degli stessi
e la presenza di riscontri esterni alle dichiarazioni medesime.
E’ appena il caso di ricordare al riguardo che secondo l’orientamento di questa
Corte Suprema, che il Collegio condivide, i riscontri esterni possono essere
costituiti anche da altre chiamate in correità purché si accerti che la convergenza
non sia frutto di collusioni o di reciproche influenze tra i dichiaranti. La
convergenza non deve essere assoluta, poiché non può pretendersi che
dichiarazioni provenienti da diversi soggetti, soprattutto se articolate, siano
sovrapponibili, ma deve riguardare gli elementi essenziali del thema probandum
(v. Cass. Sez. 5, sent. n. 9001 del 15.6.2000, dep. 10.8.2000, rv 217729: «I
riscontri esterni della chiamata in correità possono essere ricavati anche da una
pluralità di chiamate convergenti; il requisito della convergenza tuttavia non va
inteso come piena sovrapponibilità delle diverse chiamate (che sarebbe,
oltretutto, sospetta), ma come concordanza dei nuclei essenziali delle
dichiarazioni, in relazione al “thema decidendum”, dovendo piuttosto il giudice
verificare che tale consonanza non sia frutto di condizionamenti, collusioni e
reciproche influenze»).
La Corte di Appello risulta avere rispettato tutti i predetti parametri decisionali ed
avere concluso – con una valutazione di merito insindacabile in questa sede circa la piena attendibilità dei dichiaranti e, quindi, circa la positiva valenza
probatoria delle chiamate di correo nei confronti degli odierni ricorrenti.
Del resto in tema di prove, una volta rispettati i parametri richiesti dalla legge e
dalla giurisprudenza in materia per l’analisi delle chiamate di correo, la
valutazione finale della credibilità dei dichiaranti rappresenta una questione di
fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il
giudice sia incorso in manifeste contraddizioni. Tuttavia, come detto, nessuna
manifesta contraddizione emerge nella motivazione della sentenza impugnata.

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alla Corte di Appello la quale risulta avere adeguatamente analizzato le chiamate

Per dovere di completezza deve solo essere ancora ricordato che è
giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della sentenza,
il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le
deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze
processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione
globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le
ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto

disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (in questo senso v.
Sez. 6, sent. n. 20092 del 04/05/2011, dep. 20/05/2011, Rv. 250105; Cass.
Sez. 4, sent. n. 1149 del 24.10.2005, dep. 13.1.2006, Rv 233187).
2. Manifestamente infondato in fatto e diritto è, poi, anche il secondo motivo di
ricorso formulato nell’interesse dell’imputato FASULO e sopra riassunto al
superiore punto 1.b.
Già nella sentenza di primo grado il Giudice ritenne assorbito il reato di cui al
capo D) in quello di cui al capo E) mentre nessuna duplicazione di contestazione
è ravvisabile tra i capi E ed F della rubrica delle imputazioni trattandosi di
contestazioni riguardanti il porto illegale in luogo pubblico di armi diverse (nel
primo caso un fucile e nel secondo una pistola).
Quanto poi al rapporto tra la circostanza aggravante di cui al comma 3 n. 1
dell’art. 628 cod. pen. (l’avere commesso la rapina con uso di armi) ed i reati di
porto in luogo pubblico delle armi va ricordato che secondo giurisprudenza di
questa Corte Suprema, condivisa anche dall’odierno Collegio, “l’uso dell’arma,
costituente aggravante della rapina, è fatto oggettivamente distinto dal porto
abusivo di arma, il quale costituisce un reato di mero pericolo, il cui elemento
materiale non può, pertanto, considerarsi assorbito, in base alla normativa del
reato complesso, nell’obiettività del delitto di rapina, tanto più che questo può
essere aggravato, a norma dell’art. 628, primo comma, n. 1 cod. pen., anche
quando l’arma impiegata non risulti detenuta e portata illegalmente” (Cass. Sez.
2, sent. n. 8999 del 18/11/2014, dep. 02/03/2015, Rv. 263229).
3.

Manifestamente infondati sono, infine anche il terzo motivo di ricorso

formulato nell’interesse dell’imputato FASULO ed il secondo e coincidente motivo
di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato LICARI.
La Corte di Appello con motivazione congrua, logica e non contraddittoria ha
chiarito che non sussiste la possibilità di accordare ad entrambi gli imputati le
invocate circostanze attenuanti generiche sia per la gravità dei fatti commessi –

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presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente

consumati con impiego di risorse e mezzi organizzativi che denotano una
pericolosità non indifferente ed un’attitudine non marginale alla consumazione di
reati gravi – sia per la condotta processuale degli stessi che non consente di
riconoscere la presenza di elementi di positiva valutazione.
Quanto detto rispetta gli assunti in materia di questa Corte Suprema che ha più
volte affermato che ai fini dell’applicabilità (o della negazione) delle circostanze
attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri

essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento (Si
veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep.
25/01/2005 – Rv. 230691).
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati
inammissibili.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, in solido tra
loro, al pagamento delle spese del procedimento e, quanto a ciascuno di essi, al
pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di C 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione
pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Ro a il giorno 18 novembre 2015.

di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti,

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