Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46316 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46316 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• CORALIU Bogdan nato a Bacau (Romania) il giorno 23.02.1985

avverso la sentenza n. 3826 in data 23.10.2013 della Corte di Appello di Palermo
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 23.10.2013 la Corte di Appello di Palermo confermava la
sentenza emessa dal Tribunale di Sciacca il 07.04.2012 di condanna di Coraliu
Bogdan – previo riconoscimento di attenuanti generiche e di quella del danno di
speciale tenuità, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante – alla pena di
anni due, mesi tre di reclusione ed euro 1.000 di multa perché ritenuto
responsabile del reato di estorsione aggravata in concorso in danno di Truncali
Salvatore. Con la stessa sentenza l’imputato era condannato al risarcimento dei
danni in favore del Truncali, costituitosi parte civile, liquidati in euro 2.000,00.
Evidenziava la corte territoriale che il Coraliu, in concorso con Lungu Vasile
Razvan (condannato dal giudice di primo grado e non appellante), mediante
minacce aveva costretto il Truncali a consegnargli la somma di euro 500,00, in

Data Udienza: 18/11/2015

contanti, e che le dichiarazioni accusatorie della parte offesa dovevano ritenersi
pienamente attendibili; escludeva altresì la riqualificazione del fatto contestato ai
sensi dell’art.393 cod. pen. attesa l’estrema gravità della minaccia e la forte
sproporzione rispetto al fine dedotto dall’imputato, consistente nell’ottenere la
retribuzione dovuta per il lavoro svolto nella coltivazione dei campi di proprietà
del Truncali.

dell’imputato, deducendo l’illogicità e carenza di motivazione in ordine alla
mancata valutazione dell’attendibilità della persona offesa ed alla mancata
derubricazione del fatto nel reato di cui all’art.393 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.

2. Con un unico motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata sotto il
profilo del vizio motivazionale, con riferimento all’attendibilità della persona
offesa ed alla riqualificazione del fatto contestato in termini di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni.
2.1. Per quanto riguarda la testimonianza della parte lesa trattasi di mera
ripetizione del motivo di appello, al quale la corte territoriale ha fornito adeguata
motivazione, non confutata dal ricorrente.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di
quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito,
dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto
non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto
di ricorso (tra le tante Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012; Sez. 6 n. 22445 del
8 maggio 2009, rv 244181). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di
una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la
pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può
essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla
Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi
dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone la
esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (Cass.
Sez. 6, sent. n. 20377 del 11/03/2009, dep. 14/05/2009, Rv. 243838).

2

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore

Nel caso di specie l’imputato aveva già sostenuto in appello che le dichiarazioni
della persona offesa erano inattendibili, in quanto i rapporti con il Truncali erano
caratterizzati da forte inimicizia, dovuta alla denuncia presentata alle competenti
autorità per averlo assunto come lavoratore dipendente in maniera irregolare;
iniziativa che aveva determinato pesanti sanzioni per la persona offesa.
La corte palermitana evidenziava a riguardo non solo che le dichiarazioni del
Truncali erano caratterizzate da spontaneità (in quanto rese, con apposita

ma anche che non risultavano in atti elementi in forza dei quali poter ritenere in
capo al denunciante un intento calunniatorio nei confronti dell’imputato, non
essendo stata fornita in giudizio alcuna prova del fatto che il Corialu avesse
effettivamente denunciato il Truncali per inosservanza delle norme relative
all’assunzione di lavoratori stranieri così come non era stato allegato alcun
provvedimento a contenuto sanzionatorio adottato in danno di quest’ultimo.
Con il ricorso per cassazione la difesa insiste sul rapporto d’inimicizia basato sulla
denuncia e sulle ripercussioni sul piano amministrativo, senza considerare il
deficit probatorio a riguardo evidenziato dal giudice di appello e confutare tale
argomentazione.
2.2 Per quanto attiene alla riqualificazione del reato di estorsione in esercizio
arbitrario delle proprie ragioni si afferma che “la pretesa era legittima e nasceva
da un fatto lecito: lo svolgimento di un’attività lavorativa che non era stata
retribuita”.. .e che anche sotto il profilo soggettivo l’imputato aveva agito “con la
consapevolezza di aver diritto a richiedere quanto lecitamente dovuto”, in
mancanza in ogni caso di minacce.
Il ricorrente fa riferimento alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il
delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e
quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può
essere identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stata
l’intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie
estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile
davanti all’autorità giudiziaria.
Non considera tuttavia che – a prescindere dall’adesione a tale indirizzo
ermeneutico – non è provata in atti l’esistenza di un diritto azionabile dinanzi
all’autorità giudiziaria; manca cioè la prova di un credito derivante da attività
lavorativa prestata in favore della parte lesa, presupposto per l’applicazione della
fattispecie sub art. 393 cod. pen.

3

denuncia, nella immediatezza dei fatti), precisione e mancanza di contraddizione,

3. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere rigetto.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il giorno 18 novembre 2015

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