Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46301 del 30/10/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 46301 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo
nel procedimento nei confronti di
Castelluccio Gaetano, nato a Palermo il 07/10/1979

nonché sui ricorsi presentati da
1. Corso Gioacchino, nato a Palermo il 16/03/1967
2. Di Giulio Gaetano, nato a Caltanissetta iI22/11/1975
3. Lo Bocchiaro Giuseppe, nato a Palermo il 30/04/1950
4. Pilo Pietro, nato a Palermo il 05/05/1961
5. Porpora Santo, nato a Monreale il 02/01/1958
6. Rao Girolamo, nato a Palermo il 30/09/1972

avverso la sentenza del 09/10/2012 della Corte di appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Oscar
Cedrangolo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso del P.G. e dei

Data Udienza: 30/10/2013

ricorsi degli imputati Porpora e Pilo, ed il rigetto dei ricorsi degli imputati Corso,
Di Giulio, Lo Bocchiaro e Rao;
uditi per gli imputati l’avv. Antonino Gattuso, in sostituzione dell’avv. Antonino
Zanchì per il Castelluccio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità o il rigetto
del ricorso del P.G.; l’avv. Vincenzo Nico D’Ascola e l’avv. Salvino MondeM per il
Corso, l’avv. Dino Giovanni Milazzo per il Di Giulio, l’avv. Mina Rizzo per il Lo
Bocchiaro, l’avv. Francesco Marasà per il Pilo, l’avv. Antonino Gattuso per il
Porpora e, in sostituzione dell’avv. Girolamo D’Azzo, per il Rao, che hanno

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Palermo riformava
parzialmente la pronuncia di primo grado del 14/07/2011 del Tribunale della
medesima città, assolvendo Gaetano Castelluccio dal reato di cui agli artt. 416,
624, 625 n. 2, 629, 648 bis cod. pen., 7 d.l. n. 152 del 1991, convertito nella
legge n. 203 del 1991, ascrittogli al capo F); e Giuseppe Lo Bocchiaro dal reato
di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ascrittogli al capo B),
pure derubricando, per tale imputato, il reato ascrittogli al capo A) in quello di
cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. cit., ed escludendo l’aggravante di cui all’art. 7
d.l. cit. in relazione al menzionato capo d’imputazione F) ed a quello del capo L),
con rideterminazione della pena finale; riconoscendo a Gaetano Di Giulio le
circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata
recidiva, con rideterminazione della pena finale;
e confermava nel resto la stessa pronuncia con la quale quel Tribunale aveva
rispettivamente condannato alle pene di giustizia:
– Gioacchino Corso in relazione ai reati di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. cit., per
avere organizzato e diretto un’associazione per delinquere finalizzata all’acquisto,
importazione, detenzione, commercio, trasporto e distribuzione di sostanze
stupefacenti del tipo cocaina ed hashish, operante in provincia di Palermo ed altri
luoghi dal giugno 2009 al febbraio 2010 (capo A); agli artt. 110 cod. pen. e 73
d.P.R. cit., per avere, in Palermo il 31/08 ed il 01/09/2009, in concorso con altri,
acquistato da soggetti non identificati e da Roberto Ascolesi, al fine di cederla ad
altri, sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso di 988 grammi (capo B);
agli artt. 110, 624, 625 n. 2 e 7 cod. pen., per essersi impossessato, in Palermo
il 16/12/2009, in concorso con il Lo Bocchiaro ed altri, al fine di trarne profitto,
della vettura VW Polo sottratta a Vincenza D’Antoni, che l’aveva parcheggiata
nella pubblica via e così esposta alla pubblica fede (capo G);

2

concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

- Gaetano Di Giulio in relazione ai reati di cui agli artt. 74, comma 2, d.P.R. cit.,
per avere fatto parte, con i compiti di importazione e di cessione nel territorio
nisseno, dell’associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti sopra
richiamata (capo A); agli artt. 81 cpv. e 110 cod. pen., 73 d.P.R. cit., per avere,
in Palermo, dal novembre 2009 al gennaio 2010, acquistato dal Lo Bocchiaro e
dal Rao numerosi quantitativi di sostanza stupefacente del tipo hashish (capo E);
– Giuseppe Lo Bocchiaro, in relazione ai reati sopra menzionati di cui all’art. 74,
comma 2, d.P.R. cit., per avere fatto parte, con compiti di coordinamento,

richiamata (capo A); agli artt. 416, 624, 625 n. 2, 629, 648 bis cod. pen., per
avere fatto parte, in Palermo fino al 20/01/2010, di un’associazione per
delinquere finalizzata alla consumazione di più delitti di estorsione, furto,
riciclaggio di autovetture e mezzi commerciali (capo F); e agli artt. 110 cod.
pen., 2 e 7 legge n. 895 del 1967, per avere, in concorso con altri, in Palermo, in
data antecedente e prossima al 10/03/2010, illegalmente detenuto un revolver
trade mark cal. 38 a cinque colpi ed un revolver cal. 32 a sette colpi, entrambi
privi di dati identificativi (capo L); nonché in relazione ai reati di cui agli artt.
110 cod. pen., 73 d.P.R. cit., per avere concorso nell’acquisto di 988 grammi di
cocaina, delitto già sopra considerato (capo B); agli artt. 110 cod. pen. e 73
d.P.R. cit., per avere, in Palermo il 17/11/2009, in concorso al altri, acquistato
sostanza stupefacente del tipo hashish che in parte, nella misura di dieci panetti,
erano stati ceduti a tale Davide Campo (capo C); agli artt. 110 cod. pen., 73 e
80 comma 2 d.P.R. cit., per avere, in Palermo il 10/10/2009, in concorso con il
Rao e con altro soggetto, ceduto a persona non identificata un quantitativo
ingente di sostanza stupefacente del tipo hashish, divisa in sessantaquattro
panetti (capo D); agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. cit., per avere ceduto la
partita di hashish al Di Giulio, già sopra menzionata (capo E); agli artt. 110, 624
e 625 n. 2 e 7 cod. pen., per avere concorso con il Corso nella commissione del
furto aggravato, pure sopra considerato (capo G); e agli artt. 110 cod. pen., 697
e 699 cod. pen., per avere, in Palermo in epoca anteriore e prossima al
10/03/2010, in concorso con altro, detenuto illegalmente e portato fuori
dall’abitazione, senza averne fatto denuncia all’autorità, 37 cartucce cal. 38 e 46
cartucce cal. 9×21 (capo O);
– Pietro Pilo in relazione al reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. cit., per
avere, dal giugno 2009 al 01/09/2009, fatto parte dell’associazione per
delinquere dedita al traffico di droghe, sopra già considerata (capo A);
– Santo Porpora, con l’attenuante dell’art. 114, comma 1, cod. pen., in relazione
al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. cit., per avere concorso
nell’acquisto dei 988 grammi di cocaina, sopra già menzionati (capo B);

3

dell’associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti più volte

- Girolamo Rao, con l’attenuante dell’art. 114, comma 1, cod. pen., in relazione
ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 e 80 comma 2 d.P.R. cit., per avere
concorso con il Lo Bocchiaro ed altri nella cessione dell’ingente quantitativo di
hashish sopra tratteggiato (capo D); e agli artt. 81 cpv. e 110 cod. pen., 73
d.P.R. cit., per avere, in concorso con il Lo Bocchiaro, ceduto l’hashish al Di
Giulio, condotte anch’esse già delineate (capo E).
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali, in specie quelle
desumibili dalle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia

telefoniche ed ambientali, e dagli esiti delle ulteriori attività di polizia giudiziaria
svolte dal personale della squadra mobile della questura di Palermo (di cui ai
verbali di osservazione, arresto, perquisizione e sequestro), avessero dimostrato
la colpevolezza dei sei suddetti imputati in ordine ai delitti loro rispettivamente
addebitati, avendo comprovato, in particolare, l’esistenza di due distinte (pure in
parte soggettivamente collegabili) associazioni per delinquere, una finalizzata al
traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti, attiva nel territorio della borgata
di Santa Maria del Gesù in Palermo, facente capo al Corso, l’altra finalizzata alla
commissione di reati contro il patrimonio in relazione al commercio di auto e altri
veicoli, anche destinata alla commissione di estorsioni in danno dei proprietari di
vetture rubate cui veniva proposto il pagamento di una somma di denaro per
tornare in possesso del mezzo loro in precedenza sottratto (c.d. “ribordo”); e
come da tale secondo reato associativo dovesse essere assolto, invece, il
Castelluccio, atteso che il contenuto delle poche intercettazioni telefoniche che lo
avevano visto protagonista non era qualificato da quel grado di certezza
necessario per poter sostenere che lo stesso avesse stabilmente aderito a tale
sodalizio criminale.

Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso, da un lato, il Procuratore
generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo con riferimento
alla sola posizione del Castelluccio, dall’altro gli imputati Corso, Di Giulio, Lo
Bocchiaro, Pilo, Porpora e Rao, con atti sottoscritti dai loro rispettivi difensori.

2. Con il proprio ricorso il Procuratore generale ha dedotto la violazione di
legge, in relazione all’art. 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., ed il vizio di
motivazione, per mancanza o manifesta illogicità, per avere la Corte di appello
erroneamente valutato il compendio probatorio a carico di Gaetano Castelluccio costituito essenzialmente dal tenore di alcune conversazioni telefoniche captate
dagli inquirenti tra il dicembre del 2009 ed il gennaio del 2010 – che il Giudice di
prime cure aveva già reputato idoneo a dimostrare la diretta e stabile adesione
4

Manuel Pasta e Giuseppe Di Maio, nonché dal contenuto delle intercettazioni

del prevenuto all’associazione per delinquere oggetto di addebito al capo F)
dell’imputazione.

3. Con due distinti ricorsi presentati nell’interesse di Gioacchino Corso, il primo
a firma dell’avv. Vincenzo Nico D’Ascola, il secondo dell’avv. Salvino Mondello,
sono stati dedotti i seguenti sei motivi, in parte comuni ad entrambi gli atti.
3.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, commi 1 e
2, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., 74 d.P.R. cit. (capo A), e vizio di

prova, per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di condanna di
primo grado sulla base di un’erronea ed incompleta lettura delle emergenze
processuali e senza dare un’adeguata risposta alle specifiche doglianze formulate
con l’atto di appello: in particolare, per avere i Giudici di secondo grado ritenuto
di valorizzare, ai fini del riconoscimento della sussistenza degli elementi
costitutivi della fattispecie associativa prevista dal suddetto art. 74, dati
informativi riferibili, invece, alla supposta partecipazione del Corso
all’associazione per delinquere di stampo mafioso operante nella borgata di S.
Maria del Gesù di Palermo, laddove l’adesione a tale secondo sodalizio (sì
accertata giudizialmente, ma senza alcun riferimento alla commercializzazione
illecita di droghe) sarebbe insufficiente a provare la partecipazione
dell’interessato anche all’associazione dedita al traffico di stupefacenti,
mancando la prova dell’esistenza di una reale struttura gerarchica in tale ultima
organizzazione, ed essendo stato impropriamente sopravvalutato il concorso
dell’imputato nella consumazione di singoli episodi di detenzione illegale di
droga; difettando la dimostrazione di un’autonoma esistenza dell’associazione
prevista dalla legge in materia di stupefacenti rispetto alla menzionata
associazione di tipo mafioso, gruppi apparsi soggettivamente assimilabili, aventi
la medesima sede operativa, le stesse forme di comunicazione riservata tra i
partecipi, garantita dall’approvvigionamento di schede telefoniche intestate ad
ignari soggetti extracomunitari, nonché le stesse modalità di assistenza
economica degli affiliati detenuti in carcere; essendo risultato contraddetto
l’assunto accusatorio secondo il quale il Corso, pur dirigendo il sodalizio criminale
in esame, non aveva intrattenuto rapporti diretti con gli associati cui erano stati
affidati compiti meramente esecutivi (Corso che, peraltro, era risultato
asseritamente coinvolto nella commissione di uno solo dei reati fine oggetto di
contestazione, ed al quale non erano attribuibili altre concrete iniziative
sintomatiche di una effettiva affectio societatis); ed essendo stato dato ampio
risalto ad una circostanza, quella della “fibrillazione” nella vita dell’associazione
dovuta all’intervenuto arresto del coimputato Pilo, incaricato della ten ta della
5

motivazione, per mancanza, contraddittorietà ovvero per travisamento della

contabilità, riferibile all’altra associazione, quella di stampo mafioso, delle cui
molteplici attività criminali il Pilo aveva curato la rendicontazione dei proventi.
3.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 74, comma 1, d.P.R. cit., e
mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di spiegare le
ragioni per le quali il Corso dovesse essere condannato in relazione all’ipotesi
contestata di organizzazione e direzione dell’associazione per delinquere in
argomento, non potendo essere mutuato il ruolo direttivo astrattamente
attribuibile all’imputato nell’ambito della diversa associazione mafiosa, e non

3.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, commi 1 e
2, 546, comma 1, lett. e), 649 cod. proc. pen., 73 d.P.R. cit. (capo B), e vizio di
motivazione, per contraddittorietà, manifesta illogicità ovvero per travisamento
della prova, per avere la Corte distrettuale ribadito la colpevolezza del Corso in
ordine al reato di cui al predetto capo d’imputazione, benché non fosse stato
provato che il prevenuto aveva offerto un proprio contributo causale alla
consumazione del delitto (atteso che le intercettazioni telefoniche hanno escluso
che il Corso fosse consapevole delle ragioni del viaggio che il coimputato Pilo
stava effettuando in Calabria, e che le dichiarazioni accusatorie del collaboratore
Di Maio erano risultate inconferenti); e considerato, comunque, che al ricorrente
era stato addebitato un concorso morale nella imprescindibile condotta
materialmente riferibile al Pilo che, da quello stesso reato, era stato, invece,
assolto, determinando così per il Corso una violazione del divieto di bis in idem
ovvero un accertamento incompatibile con i fatti oggetto del presente processo.
3.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, 546,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte
siciliana ingiustificatamente ritenuto l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie
rese dai due collaboratori di giustizia Pasta e Di Maio, dal tenore generico ed
essenzialmente de relato, non conciliabili tra loro e, in ogni caso, rimaste prive di
adeguati riscontri estrinseci; e per avere dato un’erronea lettura del contenuto
delle intercettazioni telefoniche acquisite, invero riferibili a condotte ed iniziative
del tutto lecite, ovvero aventi un significato tutt’altro che univoco, non essendo
riconoscibile alcun preciso riferimento al commercio di sostanze stupefacenti.
3.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, commi 1 e
2, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., 624 e 625 n. 2 e 7 cod. pen. (capo G),
e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito illogicamente attribuito al
Corso il mandato per l’esecuzione del furto aggravato della vettura indicata in
quel capo d’imputazione, nonostante gli elementi di prova raccolti fossero molto
ambigui, comunque inidonei a provare l’esistenza di un contributo causale del

6

anche con riferimento a quella meno grave di mera partecipazione al sodalizio.

prevenuto alla commissione di quel reato, dati in parte pure smentiti dalla
deposizione del teste Montalbano.
3.6. Violazione di legge, in relazione agli artt. 133 e 62 bis cod. pen., e vizio di
motivazione, per avere la Corte palermitana ingiustificatamente negato al Corso
il sollecitato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, posto che la
gravità dei reati è già insita nella determinazione della pena per ciascuno di
quegli illeciti, ed avendo i Giudici di merito utilizzato mere clausole di stile per
asserire la negatività della personalità dell’imputato; e per avere la stessa Corte

contenimento nel minimo della pena base e degli aumenti per la continuazione.

Con memoria del 11/10/2013, nel riprendere anche argomenti già esposti nei
due atti di ricorso, innanzi delineati, i difensori del Corso hanno formulato,
formalmente con un unico punto, i seguenti tre nuovi motivi.
3.7. Violazione di legge, in relazione all’art. 238 bis cod. proc. pen., e vizio di
motivazione, per avere la Corte di appello affermato la sussistenza della
collegata associazione per delinquere di stampo mafioso più volte richiamata, e
del ruolo direttivo nella stessa rivestito dal corso, benchè non fosse stata mai
acquisita una sentenza irrevocabile di accertamento di quei fatti di reato.
3.8. Violazione di legge, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., e vizio di
motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la sussistenza del reato
associativo di cui all’art. 74 d.P.R. cit. in relazione alla posizione di venditori ed
acquirenti delle sostanze stupefacenti, e con specifico riferimento alla posizione
del coimputato Gaetano Di Giulio, nonostante non fossero stati accertati i
presupposti – affectio societatis e perseguimento di un interesse comune,
eventualmente concorrente con quelli personali dei singoli – comunemente
richiesti dalla giurisprudenza per la configurabilità del delitto in argomento.
3.9. Violazione di legge, in relazione all’art. 192 e 649 cod. proc. pen., e vizio
di motivazione, per non avere la Corte di appello di Palermo considerato che, con
sentenza della Corte di appello di Palermo n. 3228/12 del 12/07/2012, divenuta
irrevocabile – di cui con nota del 15/10/2013 è stata prodotta copia – il
coimputato Andrea Casamento era stato mandato assolto dalla medesima
imputazione associativa oggi ascritta al Corso, sicché l’accertamento contenuto
in quella pronuncia si poneva in insanabile contrasto con quanto sostenuto nella
motivazione della sentenza in questa sede gravata.

4. L’imputato Gaetano Di Giulio, con atto sottoscritto dai suoi difensori avv.
Dino Giovanni Milazzo e avv. Sergio Iacona, ha dedotto, formalmente con due
punti, i seguenti tre motivi.
7

disatteso la richiesta ad una rideterminazione della pena finale attraverso un

4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale
omesso di valutare che, con sentenza definitiva della Corte di appello di Palermo
del 12/07/2012, il coimputato Andrea Casamento era stato mandato assolto
dalla medesima imputazione associativa oggi ascritta al Di Giulio, sicché
l’accertamento contenuto in quella pronuncia si poneva in insanabile contrasto
con quanto sostenuto nella motivazione della sentenza in questa sede gravata.
4.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 74 d.P.R. cit., e vizio di
motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere i Giudici di

appello, con le quali era stato evidenziato come l’associazione per delinquere,
oggetto di addebito, si fosse in pratica identificata con l’associazione di stampo
mafioso operante nella zona di S. Maria del Gesù a Palermo, sodalizio al quale il
nisseno Di Giulio era stato del tutto estraneo; come questi avesse al più concorso
nella commissione di singoli reati in materia di droga, per giunta per un breve
arco temporale, agendo per soddisfare un interesse personale, senza aderire ad
alcuna compagine associativa, senza frequentare il luogo di abituale riunione dei
sodali e senza utilizzare la scheda telefonica assegnata dal gruppo, avendo avuto
solo sporadici contatti con altri coimputati.
4.3. Mancanza di motivazione, per avere la Corte siciliana ingiustificatamente
negato all’imputato il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art.
74, comma 6, d.P.R. cit., senza argomentare tale determinazione, benché fosse
stato esiguo in numero di contatti tra il Di Giulio ed i suoi coimputati, e non vi
fosse stata una prova sicura in ordine all’entità ponderale della sostanza
stupefacente oggetto di transazione.

5. L’imputato Giuseppe Lo Bocchiaro, con atto sottoscritto dal suo difensore
avv. Mina Rizzo, ha dedotto, formalmente con nove distinti punti, i seguenti otto
motivi (potendo essere trattati congiuntamente quelli riportati nei punti 7 ed 8
del ricorso).
5.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 74 d.P.R. cit., di cui al capo A)
dell’imputazione, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello
erroneamente ritenuto di poter desumere la prova dell’esistenza dell’associazione
per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti da quegli elementi
fattuali che sarebbe stati, invece, valorizzabili ai fini della dimostrazione della
sussistenza della diversa associazione di stampo mafioso, di cui solo taluni degli
odierni imputati facevano parte; e per avere omesso di considerare che le
emergenze processuali avevano al più provato l’esistenza del concorso nel reato
di cui all’art. 73 dello stesso d.P.R., anziché del reato associativo de quo, come
pure comprovato dalle dichiarazioni del collaboratore Di Maio, peraltro

8

merito omesso di rispondere alle doglianze formulate dalla difesa con l’atto di

scarsamente attendibili perché mancanti di riscontri e perché ispirate da quei
sentimenti di contrapposizione che avevano caratterizzato i rapporti del
medesimo con il Lo Bocchiaro, avendo il primo persino manifestato l’intenzione di
uccidere il secondo.
5.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 73 d.P.R. cit., di cui al capo C)
dell’imputazione, e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale
riproposto gli argomenti già valorizzati nella sentenza di prime cure, senza
rispondere alle censure formulate dalla difesa con l’atto di appello, in ordine alla

delitto.
5.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 73 e 80 d.P.R. cit., di cui al capo
D) dell’imputazione, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso
di illustrare le ragioni per le quali il Lo Bocchiaro dovesse essere condannato per
il delitto in questione, senza tenere conto che i pacchetti riposti nella vettura, di
cui ad una videoregistrazione eseguita dagli inquirenti, ben potevano contenere
non panetti di hashish bensì cialde di caffè che il prevenuto commerciava ‘a
nero’, senza che fosse stata neppure dimostrata la sussistenza dell’ingente
quantitativo che avrebbe legittimato il riconoscimento della circostanza
aggravante prevista dal menzionato art. 80.
5.4. Violazione di legge, in relazione all’art. 73 d.P.R. cit., di cui al capo E)
dell’imputazione, e vizio di motivazione, per avere la Corte palermitana
confermato la condanna dell’imputato per tale delitto, benché le intercettazioni
avessero escluso un concorso del Lo Bocchiaro nella vendita di stupefacente al
coimputato Di Giulio, non fosse stata sequestrata alcuna partita di droga né fosse
stato provato uno spostamento del ricorrente nella zona nissena ove viveva
l’acquirente della sostanza.
5.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 416, 624, 625 n. 2, 629 e 648
bis cod. pen., di cui al capo F) dell’imputazione, e vizio di motivazione, per avere
la Corte siciliana omesso di illustrare le ragioni dell’affermata esistenza
dell’associazione per delinquere finalizzata alla commissione degli indicati delitti
contro il patrimonio, della condanna del Lo Bocchiaro come dirigente di quel
sodalizio criminale e come concorrente nella commissione di singoli reati fine.
5.6. Violazione di legge, in relazione agli artt. 624 e 627 n. 2 e 7 cod. pen., di
cui al capo G) dell’imputazione, e vizio di motivazione, per avere la Corte
territoriale omesso di rispondere alle censure formulate con l’atto di appello, con
le quali la difesa aveva evidenziato l’assenza di prova sicura di un concorso del
Lo Bocchiaro nella consumazione dello specifico furto oggetto di addebito.
5.7. Violazione di legge, in relazione agli artt. 2 e 7 della legge n. 895 del
1967, 697 e 699 cod. pen., di cui rispettivamente ai capi L) ed O)
9

mancanza di prova del concorso del Lo Bocchiaro nella commissione di quel

dell’imputazione, e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale
erroneamente confermato la condanna del Lo Bocchiaro in ordine ai reati in
questione, nonostante lo stesso fosse stato accusato dal solo collaboratore di
giustizia Di Maio con dichiarazioni inattendibili, rimaste prive di riscontri, non
essendo state ritrovate le pistole e le munizioni in un luogo nella disponibilità del
ricorrente.
5.8. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62 bis, 99 e 133 cod. pen., e
vizio di motivazione, per avere la Corte argomentato in forma apparente le

finalizzate al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla non
applicazione della recidiva ed alla determinazione della pena in maniera più
prossima al minimo edittale, istanze giustificate, in particolare, dalla necessità di
tenere conto del comportamento processuale dell’imputato.

6. L’imputato Pietro Pilo, con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Francesco
Marasà, ha dedotto i seguenti due motivi.
6.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per
avere la Corte territoriale confermato la sentenza di condanna di prime cure
senza avere chiarito quali fossero gli elementi di prova a carico del Pilo in ordine
ad una sua adesione all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di
stupefacenti, tenuto conto che il prevenuto era risultato coinvolto solo in uno
specifico episodio di acquisto di droga dal quale era stato pure assolto, che le
dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia Manuel Pasta erano
risultate generiche, mentre quelle del collaboratore di giustizia Di Maio,
comunque scarsamente attendibili, sarebbero state al più idonee a dimostrare
l’esistenza di singole condotte poste in essere in violazione della disciplina in
materia di stupefacenti.
6.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen., e
mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello ingiustificatamente
rigettato la richiesta di contenimento della pena inflitta, che la difesa aveva
avanzato in ragione del periodo di tempo limitato di adesione del Pilo
all’associazione de qua.

7. L’imputato Santo Porpora, con atto sottoscritto dal suo difensore avv.
Vincenzo Giambruno, ha dedotto, con un unico punto, la violazione di legge, in
relazione all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione, per
manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la sentenza di
condanna di primo grado, benché non fosse stato provato con certezza che, il
31/08/2009, il Porpora aveva accompagnato il Pilo in Calabria con la

10

ragioni poste a base della decisione di disattendere le richieste della difesa

consapevolezza della finalità dell’acquisto della cocaina ed aveva, perciò, fornito
un contributo causale nella commissione dell’illecito; che l’incontro tra il Porpora
ed il Pilo sul traghetto sullo stretto di Messina non fosse stato casuale, tenuto
anche conto che il teste Marinari aveva riferito di circostanze osservate da altro
agente di polizia giudiziaria; che il collaboratore di giustizia Di Maio, che aveva
narrato di quell’episodio, non aveva menzionato il Porpora tra i partecipanti
all’operazione; e che il collaboratore di giustizia Pasta aveva escluso che il Pilo,
asserito concorrente nel reato (dal quale, peraltro, è stato assolto), si fidasse di

8. L’imputato Girolamo Rao, con atto sottoscritto dal suo difensore avv.
Girolamo D’Azzò, ha dedotto, formalmente con sei distinti punti, i seguenti
quattro motivi (potendo essere esaminati congiuntamente quelli riportati nei
punti 4, 5 e 6 del ricorso).
8.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 110 cod. pen., 73 e 80 d.P.R.
cit., e 192 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, anche per travisamento della
prova, per avere la Corte di appello erroneamente applicato le norme sulla
valutazione della prova indiziaria, posto che le emergenze processuali avevano
dimostrato esclusivamente che il Rao aveva gestito un negozio assieme a
Giuseppe Di Maio, senza che fosse provato che i partecipi all’associazione per
delinquere si riunissero proprio all’interno di quell’esercizio commerciale e non
anche al suo esterno, e, soprattutto, che il Rao avesse aderito a quel sodalizio
ovvero che avesse fornito un personale contributo causale alla commissione dei
reati ascrittigli: ciò anche considerato che, con riferimento all’episodio delittuoso
del 10/10/2009 di cui al capo D) dell’imputazione, il collaboratore di giustizia Di
Maio aveva negato il coinvolgimento del Rao, e che il teste Ficano, agente di
polizia giudiziaria, aveva, da un lato, asserito di aver visto il Rao solo armeggiare
nel portabagagli della vettura del Lo Bocchiaro, dall’altro escluso di aver rilevato
il maneggio di alcun pacco; e che, con riferimento al reato di cui al capo E), le
intercettazioni, che avevano visto coinvolto il ricorrente, non aveva affatto fornito
una prova sicura di un suo concorso nella vendita di droga, dell’effettivo
trasporto dello stupefacente a Caltanissetta ovvero delle coincidenza di tale
sostanza con quella che l’accusa aveva asserito fosse stata fornita dal Rao, non
essendo neppure cronologicamente conciliabili l’intervento di questo e lo
spostamento del Lo Bocchiaro nella cittadina nissena.
8.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 80 d.P.R. cit., e vizio di
motivazione, per avere la Corte palermitana omesso di indicare le ragioni per le
quali il quantitativo di sostanza stupefacente oggetto del reato contestato al capo

11

altri nel momento della realizzazione dei suoi propositi delittuosi.

D) dell’imputazione dovesse ritenersi ingente, cioè superiore a 2.000 volte il
valore-soglia determinato, per la relativa sostanza, dal d.m. 11/04/2006.
8.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 442 cod. proc. pen., e vizio di
motivazione, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente negato
all’imputato la riduzione della pena inflitta di un terzo, allo stesso, invece,
spettante in quanto la richiesta di giudizio abbreviato, condizionata dall’esame
del collaboratore Di Maio e dall’effettuazione di una perizia su una specifica
intercettazione, fosse stata tempestivamente formulata nel giudizio di primo

8.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 133, 81, comma 2, e 62 bis cod.
pen., e vizio di motivazione, per avere la Corte isolana confermato la condanna
dell’imputato ad una pena assolutamente sproporzionata rispetto alle
caratteristiche del fatto, anche con riferimento alla pena per il reato satellite
posto in continuazione, e per avere la stessa Corte negato ingiustificatamente al
prevenuto la concessione delle attenuanti generiche, considerato che al Rao era
stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. in
ragione del ruolo marginale nella commissione dei reati ascrittigli.

Con memorie depositate il 24 ed il 29/10/2013 il difensore del Rao è tornato a
sostenere i motivi del suo ricorso originario, in particolare formulando ulteriori
osservazioni in ordine alla erronea valutazione degli elementi di prova a carico
del proprio assistito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso del Procuratore generale della Repubblica,
riguardante la sola posizione dell’imputato Gaetano Castelluccio, sia
inammissibile.
Nonostante, nella parte iniziale del suo atto di impugnazione, abbia rubricato i
motivi di doglianza in termini di violazione della disposizione dettata dall’art.
192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., e di carenza e manifesta illogicità della
motivazione, il P.G. ha sostanzialmente chiesto a questa Corte di operare una
inammissibile diversa valutazione del compendio probatorio acquisito,
sollecitando una differente lettura del contenuto delle tre intercettazioni
telefoniche che avevano visto protagonista l’imputato Gaetano Castelluccio, sulle
quali, secondo il P.G. ricorrente, il Giudice di secondo grado “aveva
infondatamente argomentato” le sue determinazioni: lettura alternativa rispetto
a quella che di tali conversazioni era stata data dalla Corte territoriale che, senza
alcun travisamento, e con una ricostruzione fattuale nella quale non sono
12

grado prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

ravvisabili gli estremi di una manifesta illogicità, dunque non censurabile in
questa sede, aveva ritenuto che la partecipazione del Castelluccio al commento
di una specifica iniziativa di polizia giudiziaria ed

il

suo comprovato

coinvolgimento in due specifici episodi estorsivi, fossero espressione di un
contributo occasionale e limitato nel tempo, e non anche elementi sufficienti a
dimostrare che lo stesso avesse assunto un ruolo stabile all’interno della
organizzazione criminale dedita alla commissione di una pluralità di delitti contro

2. Ritiene la Corte che i ricorsi presentati nell’interesse di Gioacchino Corso
vadano rigettati.

2.1. Il primo motivo di tali ricorsi, nonché il secondo motivo del ricorso del Di
Giulio ed il primo motivo del ricorso del Lo Bocchiaro – formulati in termini
sostanzialmente assimilabili – nella parte in cui è stata lamentata una violazione
di legge in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, sono infondati.
Costituisce oramai ius receptum

nella giurisprudenza di questa Corte il

principio secondo il quale i reati di associazione per delinquere, generica o di
stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al
traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia
finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di
reati diversi. Ciò perché, si è condivisibilmente sottolineato, “i due reati tutelano
beni giuridici in parte diversi, il primo l’ordine pubblico, l’altro, oltre alla tutela
dell’ordine pubblico – finalità tipica di tutti i delitti associativi – mira alla difesa
della salute individuale e collettiva contro l’aggressione della droga e della sua
diffusione. In effetti il delitto di cui all’articolo 74 del DPR 309/90 presenta degli
elementi specializzanti rispetto a quello di cui all’articolo 416c.p., perché a tutti
gli elementi costitutivi della associazione per delinquere – vincolo
tendenzialmente permanente, indeterminatezza del programma criminoso,
esistenza di una struttura adeguata allo scopo – aggiunge quello specializzante
della natura dei reati fine programmati che devono essere quelli previsti dall’art.
73 d.P.R. (cit.). Cosicché se una associazione venga costituita al solo scopo di
operare nel settore del traffico degli stupefacenti, gli agenti non potranno essere
puniti a doppio titolo , ovvero per la violazione dell’art. 416 cod. pen. e dell’art.
74 d.P.R. (cit.), mentre se l’associazione ha lo scopo di commettere traffico di
stupefacenti ed anche altri reati, è ben possibile che gli agenti vengano puniti per
entrambi i reati” (così Sez. U, n. 1149/09 del 25/09/2008, Magistris, Rv.
241883; conf., in seguito, Sez. 2, n. 36692 del 22/05/2012, Abbrescia, Rv.
253892). Ne consegue che è ben possibile la coesistenza di due distinte

13

il patrimonio, di cui al capo d’imputazione F).

organizzazioni criminali, con una parziale coincidenza soggettiva ed oggettiva,
che integrino gli estremi di entrambi i delitti associativi in questione; così come
la totale identità dei soggetti e delle strutture organizzative, messe in comune
tra le due organizzazioni, non preclude affatto il riconoscimento del concorso di
tali due reati, laddove dovesse risultare che la medesima associazione di stampo
mafioso sia finalizzata alla commissione di traffici di sostanze stupefacenti.
Di tale regula iuris la Corte di appello di Palermo ha fato corretta applicazione,
evidenziando come gli elementi di prova acquisiti nel presente processo avessero

dell’associazione di stampo mafioso nota come ‘Cosa Nostra’, attiva nella borgata
di S. Maria del Gesù di Palermo (reato associativo del quale taluni degli imputati
erano stati chiamati a rispondere in altro processo pure pendente), vi erano stati
una serie di soggetti, alcuni dei quali persino non affiliati a quella famiglia
mafiosa, che avevano dato vita ad un’autonoma associazione per delinquere
finalizzata alla commissione di più delitti relativi all’acquisto, alla importazione,
alla detenzione, al commercio, al trasporto ed alla distribuzione di sostanze
stupefacenti del tipo hashish e cocaina (v. pagg. 29-39 sent. impugn.).

2.2. I primi cinque motivi dei ricorsi del Corso e l’ottavo motivo nuovo
avanzato con la memoria difensiva del 11/10/2013, nella parte in cui sono state
dedotte varie violazioni della legge penale sostanziale e correlati vizi di
motivazione, sono inammissibili perché presentati per fare valere ragioni diverse
da quelle consentite dalla legge.
Al di là del dato enunciativo, il ricorrente solo formalmente ha indicato
inosservanze di norme di diritto penale sostantivo e vizi di manifesta illogicità
della motivazione della decisione gravata, ma non ha prospettato alcuna reale
contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse
dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed
insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né è stata lamentata
una insufficiente descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione,
intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del
procedimento.
Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello
di Palermo aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante
l’istruttoria dibattimentale di primo grado: e, tuttavia, bisogna rilevare come il
ricorso, lungi dal proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una
incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il
contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica
dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi
14

dimostrato che, nell’ambito del contesto di operatività di una fazione

di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile
rivalutazione dell’intero materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta
dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte
territoriale nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed
esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,

della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Discorso, questo, che vale anche con
riferimento alla lettura del contenuto delle conversazioni e comunicazioni captate
durante le indagini, rispetto alle quali è stato tratteggiato nel ricorso un mero
problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti
interessati a quelle intercettazioni, che è questione di fatto, rimessa
all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se
– come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle
massime di esperienza utilizzate (in questo senso Sez. 6, n. 17619 del
08/01/2008, Gionta, Rv. 239724).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede, infatti, una
stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi
di manifesta illogicità, avendo la Corte siciliana analiticamente spiegato, con
valutazioni di fatto non sindacabili in questa sede, come:

2.2.1. le precise dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia (quelle del
Pasta, che, dopo aver ammesso di essere stato uno degli affiliati alla diversa
famiglia mafiosa palermitana capeggiata dal Liga, aveva riferito dell’attività nel
traffico della droga svolta dal Corso e da taluni affiliati alla relativa famiglia
mafiosa con i quali egli aveva avuto rapporti; e quelle del Di Maio, che aveva
riconosciuto di avere fatto parte proprio del gruppo criminale capeg iato dal
15

mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento

Corso, dal quale aveva, in seguito, “preso le distanze”) avessero trovato
numerosi e significativi riscontri nei risultati di varie iniziative di polizia
giudiziaria e negli esiti delle operazioni di intercettazione di comunicazioni
telefoniche ed ambientali, e fossero idonee a comprovare l’esistenza della più
volte richiamata associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di un
numero indeterminato di delitti in materia di droga, diretta dal Corso, della quale
facevano parte, tra gli altri, anche il Lo Bocchiaro ed il Pilo, addetti
all’approvvigionamento all’ingrosso delle sostanze stupefacenti, in specie della

zona di Caltanissetta; ed Andrea Casamento, collaboratore del Lo Bocchiaro
nell’acquisto e nell’ulteriore spaccio di tale secondo tipo di droga; come tale
sodalizio avesse una struttura gerarchica ed organizzativa in parte mutuata da
quella del clan dell’associazione mafiosa in argomento, di cui il Corso pure era
aderente, occupando una posizione apicale; come le numerose conversazioni
captate dagli inquirenti avessero confermato che gli affiliati a tale sodalizio erano
uniti da un comune patto associativo e da una cointeressenza nella gestione del
traffico illecito di quegli stupefacenti; come le singole iniziative delittuose, poste
in essere in attuazione di quel comune progetto criminale, fossero state
realizzate dai soggetti di volta in volta coinvolti, con una ben precisa ripartizione
di compiti e di ruoli; come gli associati a tale consorteria avessero a Palermo una
ben precisa base operativa nella quale incontrarsi, discutere e preparare la
commissione dei vari reati in materia di droga, quale si era scoperto fosse
l’esercizio commerciale “L’angolo della carta” (locale significativamente privo di
autorizzazioni e di contabilità, con una sporadica clientela reale), gestito dal Di
Maio e dal Rao, e nella quale da taluni degli odierni imputati venivano
organizzate altre attività delittuose riferibili direttamente alla operatività
dell’associazione mafiosa di riferimento; come le comunicazioni tra i sodali
fossero state garantite dall’impiego di schede telefoniche riservate, acquistate in
comune presso un compiacente gestore di un negozio di Palermo (che aveva
provveduto ad intestarle ad ignari cittadini stranieri) e distribuite tra i vari
componenti dell’associazione dedita al narcotraffico, i quali avevano provveduto
poi ad utilizzarle per la trasmissione di ordini ed informazioni secondo un comune
linguaggio criptico ed allusivo; come le attività di tale gruppo criminale
rispondessero a ben precise regole di condotta, che gli affiliati con ruoli superiori
si erano impegnati, con atteggiamenti severi, a far rispettare da quelli posti in
posizioni sottordinate; come l’articolato e stabile sistema di approvvigionamento
e di rivendita di quelle sostanze stupefacenti fosse stato pure qualificato
dall’esistenza di un’autonoma contabilità separata inerente a quelle attività,
facente capo al Pilo, circostanza riscontrata dal disagio causato dall’arresto di
16

cocaina; il Di Giulio, stabile acquirente dell’hashish che lo stesso rivendeva nella

questi e dalla necessità, per gli altri associati, di riorganizzare il sistema di
rendicontazione dei ricavi derivanti da quelle iniziative delittuose (v. pagg. 43-55
sent. impugn.); il tutto in coerente conformità con i consolidati indirizzi esegetici
di questa Corte per i quali, per la configurabilità dell’associazione dedita al
narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e articolata
organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente
l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di
mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un

dei singoli associati (così, tra le tante, Sez. 1, n. 30463 del 07/07/2011, Calì, Rv.
251011); l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti
sussiste non solo nel caso di condotte parallele poste in essere da persone
accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto mediante il
commercio di droga, ma anche nell’ipotesi di un vincolo durevole che accomuna
il fornitore di droga agli acquirenti, che in via continuativa la ricevono per
immetterla nel mercato del consumo, non essendo di ostacolo alla costituzione
del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune né la diversità di
scopo personale, né la diversità dell’utile, ovvero il contrasto tra gli interessi
economici che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento
dell’intera attività criminale (così, da ultimo, Sez. 6, Sentenza n. 3509 del
10/01/2012, Ambrosio, Rv. 251574); il vincolo associativo può essere ravvisato
anche tra soggetti che si pongono in posizioni contrattuali contrapposte nella
catena del traffico di stupefacenti (come i fornitori all’ingrosso e i compratori
dediti alla distribuzione), ed anche tra soggetti che agiscono in gruppi separati,
eventualmente in concorrenza tra loro, a condizione che i fatti costituiscano
espressione di un progetto indeterminato volto al fine comune del conseguimento
del lucro da essi derivante (così Sez. 6, n. 20069 del 11/02/2008, Oidih, Rv.
239643); e per i quali, ancora, per la configurabilità dell’associazione dedita al
narcotraffico non è richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati,
essendo sufficiente la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad
almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una
società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (così, ex
plurimis, Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi, Rv. 252232);
;

2.2.2.ril Corso, che pure rivestiva una posizione apicale all’interno della, più
volte menzionata, collegata famiglia mafiosa, avesse svolto una evidente
funzione di organizzazione e direzione del gruppo criminale interessato alla
stabile e perdurante attività di compra-vendita di rilevanti quantitativi di droga,
come comprovato dalle numerose conversazioni intercettate dagli inquirenti che

17

supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo

avevano dimostrato come tutte le iniziative, in specie quelle attribuibili al Lo
Bocchiaro ed al Pilo, che rivestivano compiti di coordinamento e di ‘filtro’ rispetto
al capo del clan, facessero riferimento agli ordini e alle direttive impartite proprio
dal Corso; e come fosse irrilevante che quest’ultimo fosse stato chiamato a
rispondere di uno solo dei delitti fine oggetto di contestazione, trattandosi di
vicenda che aveva confermato

il pieno coinvolgimento del prevenuto nelle

iniziative dell’associazione, già ampiamente provato sulla base di altri elementi

2.2.3. la responsabilità del Corso in ordine allo specifico delitto addebitatogli al
capo B) dell’imputazione, avente ad oggetto l’acquisto in Calabria della partita di
988 grammi di cocaina sequestrati al Pilo il 01/09/2009, fosse stata dimostrata
da un coacervo di emergenze processuali, in specie dalle puntuali dichiarazioni
accusatorie rese dal collaboratore di giustizia Di Maio, che avevano trovato
inequivoco riscontro nel contenuto delle intercettazioni telefoniche idonee a
provare che l’acquisto di quel rilevante quantitativo di stupefacente era stato
ordinato proprio dal Corso, il quale, poi, aveva seguito tutti i momenti di quel
viaggio, venendo informato telefonicamente dal Pilo (che con il Corso aveva
anche cointeressenze di altra natura) di quanto stava accadendo, e manifestando
preoccupazione per il ritardo nell’arrivo a Palermo della droga, che i due, solo in
seguito, avrebbero scoperto essere stato causato dall’intervento degli agenti di
polizia che avevano sequestrato la sostanza ed arrestato il corriere Ascolesi (v.
pagg. 63-67 sent. impugn.);

2.2.4. il concorso del Corso nella consumazione del furto aggravato della
vettura volkswagen polo sottratta, il 16/12/2009, a tale D’Antoni, che l’aveva
parcheggiata in una via pubblica di Palermo, fosse stato dimostrato dagli
accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria, che aveva verificato che, proprio
in quel periodo, l’auto della convivente dell’odierno ricorrente, Simona Picciotto,
di uguale marca, modello e colore, aveva avuto necessità di riparazioni; dal
contenuto di una conversazione telefonica, intercettata dagli inquirenti il
09/12/2009, nel corso della quale il Lo Bocchiaro aveva ordinato al Casamento il
“reperimento”, entra un settimana, di una vettura grigia per procedere alla
riparazione di altra auto, operazione che doveva essere compiuta nell’interesse di
“Io”, diminutivo del nome dell’odierno imputato Gioacchino Corso; nonché
dall’esito di un ulteriore controllo del personale delle forze dell’ordine che,
eseguito, qualche giorno dopo, un sopralluogo in un deposito nella disponibilità
del Lo Bocchiaro, avevano rinvenuto proprio le targhe della vettura della
D’Antoni; e ciò senza che la valenza di tali elementi indiziari fosse stata inficiata

18

fattuali (v. pagg. 60-62 sent. impugn.);

dalle dichiarazioni testimoniali del carrozziere Montalbano, che aveva sostenuto
che l’auto della Picciotto le era stata consegnata, per la riparazione, dal Corso,
trattandosi di teste inattendibile, avendo gli investigatori rilevato, nel corso di
una operazione di osservazione, che era stato, invece, il Lo Bocchiaro a condurre
quella vettura presso l’autocarrozzeria del Montalbano (v. pagg. 67-68 sent.
impugn.).

2.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo dei ricorsi del Corso nella parte

proc. pen., per essere stato il prevenuto condannato in ordine al reato di
acquisto di una partita di 988 grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina,
contestato al capo B) della rubrica, in concorso con Pietro Pilo, materiale
esecutore dell’acquisto, che dal medesimo delitto è stato, invece, mandato
assolto.
La Corte di appello di Palermo ha fatto corretta applicazione (v. pag. 62-63
sent. impugn.) del pacifico principio di diritto per il quale il divieto di un secondo
giudizio nei confronti dell’imputato prosciolto o condannato con sentenza o
decreto penale divenuti irrevocabili posto dall’art. 649 cod. proc. pen. non
vincola il giudice chiamato a rivalutare il medesimo fatto in relazione alla
posizione di altri soggetti imputati quali concorrenti nello stesso reato (così Sez.
2, n. 16649 del 31/03/2008, Arcodia, Rv. 239778): ben potendo il giudice del
separato procedimento instaurato a carico del concorrente nel medesimo reato
sottoporre a rivalutazione il comportamento dell’assolto all’unico fine – fermo il
divieto del “ne bis in idem” a tutela della posizione di costui – di accertare la
sussistenza ed il grado di responsabilità dell’imputato da giudicare (Sez. 2, n.
21998 del 03/05/2005, Tringali ed altri, Rv. 231924).
Ad uguali conclusioni deve pervenirsi con riferimento al nono motivo formulato,
nell’interesse del Corso, con la memoria difensiva del 11/10/2013, con il quale
sono state denunciate la violazione di legge ed il vizio di motivazione per non
avere la Corte di appello considerato che, con sentenza emessa in altro
procedimento, il coimputato Andrea Casamento era stato mandato assolto
dall’imputazione associativa di cui al capo A) di questo processo. Va, dunque,
disattesa la sollecitazione del ricorrente ad esaminare il contenuto della
motivazione di tale sentenza assolutoria del 12/07/2012, prodotta in copia dalla
difesa con nota del 15/10/2013, trattandosi di valutazione di merito che è
preclun sede di legittimità; mentre il pure prospettato contrasto di fatti
accertati nei due provvedimenti potrà essere eventualmente fatto valere in sede
di revisione.

19

in cui è stata prospettata una violazione di legge, in relazione all’art. 649 cod.

2.4. Il quarto motivo dei ricorsi del Corso, nella parte in cui sono state
lamentate la violazione di legge ed il connesso vizio di motivazione in relazione
alla valutazioni sulla attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dai due
collaboratori di giustizia Pasta e Di Maio, è inammissibile perché generico.
Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire
che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre
le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e

consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare
il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini,
Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n.
8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma molto
indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte
territoriale, senza specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della
decisione, cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della
sentenza gravata nella parte concernente la valutazione della credibilità dei due
indicati chiamanti in reità.

2.5. Il settimo nuovo motivo formulato dalla difesa del Corso con la memoria
del 11/10/2013, con il quale è stata dedotta una violazione dell’art. 238 bis cod.
proc. pen. (in essa rimanendo assorbito il pure prospettato vizio di motivazione),
è inammissibile perché avente ad oggetto una violazione di legge non dedotta
con l’atto di appello.
L’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, espressamente come
causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di
questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale
si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del
provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto
alla cognizione del giudice di appello.

2.6. Il sesto motivo dei ricorsi, originari presentati nell’interesse del Corso, è
manifestamente infondato.
Il ricorrente ha preteso che, in questa sede di legittimità, si proceda ad una
rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha
esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini del
riconoscimento o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, ed alla
quantificazione della pena inflitta. Esercizio che deve essere motivato nei soli
20

preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di

limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine
all’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla
personalità del reo.
Nella specie del tutto legittimamente e con motivazione completa, la Corte di
merito ha ritenuto di negare al Corso le suddette circostanze attenuanti
generiche ed ha reputato congrua la pena finale irrogata (anche per effetto della
continuazione tra i più reati oggetto di condanna) in ragione dei plurimi
precedenti penali di cui il prevenuto è gravato e della obiettiva gravità dei fatti

controbilanciati da alcun dato favorevole di valutazione (v. pag. 68 sent.
impugn.).

3. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato Gaetano Di Giulio va
rigettato.

3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato per le medesime ragioni già
innanzi esposte nel punto 2.3. – con riferimento all’analogo motivo dedotto
nell’interesse del coimputato Corso – al cui contenuto è sufficiente fare rinvio.

3.2. Il secondo motivo del ricorso del Di Giulio è infondato per le ragioni già
tratteggiate nei sopra indicati punti 2.2. e 2.2.1., il cui contenuto deve intendersi
qui integralmente riportato.
Va aggiunto che la Corte di appello di Palermo, con motivazione completa e
priva di vizi di manifesta illogicità, ha spiegato come la colpevolezza del Di Giulio
in ordine al reato associativo contestatogli al capo A) dell’imputazione fosse stata
dimostrata, oltre che dall’accertata disponibilità dallo stesso offerta a
rappresentare lo stabile “terminale” nella zona di Caltanissetta per lo spaccio di
ingenti quantitativi della sostanza stupefacente acquistata nell’interesse comune
degli appartenenti a quella organizzazione criminale diretta dal coimputato
Corso, dal fatto che gli affiliati a tale sodalizio, in specie il Lo Bocchiaro, nel
distribuire le schede telefoniche riservate che gli associati avrebbero dovuto
utilizzare per le comunicazioni tra di loro, avevano destinato una di quelle schede
proprio al Di Giulio, a conferma della perdurante disponibilità dello stesso a
coadiuvare la realizzazione dei progetti delittuosi del gruppo. Ciò senza neppure
trascurare, come sottolineato dai Giudici di merito, che la consapevolezza e
volontà di partecipare alle iniziative di quella organizzazione criminale era stata
desunta sia dal fatto che il Di Giulio venisse costantemente messo a conoscenza
dei canali di approvvigionamento e delle dinamiche operative di quel gruppo
delinquenziale, che dal fatto che il prevenuto avesse sostituito altro associato nel
21

da lui commessi, elementi, questi, previsti dall’art. 133 cod. pen., non

frattempo arrestato, tale Davide Campo, che aveva assolto per l’associazione ai
medesimi compiti di distribuzione e spaccio della droga nel territorio nisseno (v.
pagg. 95-97 sent. impugn.).

3.3. Manifestamente infondata è il terzo motivo del ricorso del Di Giulio.
Il diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità è stato motivato
dalla Corte di merito in maniera congrua ed in forma esente da qualsivoglia
censura di illogicità, sottolineando come l’imputato fosse stato protagonista di

concretizzatasi nella importazione di rilevanti quantitativi di droga del tipo
hashish e nella relativa redistribuzione nel territorio della provincia di
Caltannissetta (v. pag. 97 sent. impugn.). Giudizio, questo, implicante una
valutazione di non scarsa offensività ovvero di non ridotto allarme sociale,
incensurabile in questa sede di legittimità.
Al riguardo, oltre a non essere configurabile alcuna violazione di legge, non è
neppure ravvisabile un vizio di mancanza di motivazione, in quanto, secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento impugnato non è
tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti ed a
prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento,
dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi
considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata (così Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv. 250900; Sez. 2, n.
13151 del 10/11/2000, Gianfreda, Rv. 218590).

4. Anche il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato Giuseppe Lo
Bocchiaro va rigettato.

4.1. Il primo motivo del ricorso è infondato per le ragioni già analiticamente
delineate nei sopra indicati punti 2.2. e 2.2.1., il cui contenuto deve intendersi
qui integralmente riportato.
Va ulteriormente evidenziato che la Corte distrettuale, con motivazione
congrua ed esente da vizi di manifesta illogicità, ha spiegato come la
colpevolezza del Lo Bocchiaro in ordine al reato associativo contestatogli al capo
A) dell’imputazione, fosse stata dimostrata anche sulla base delle dichiarazioni
del collaboratore di giustizia Di Maio, il quale aveva offerto una narrazione
sufficientemente attendibile, e comunque ampiamente riscontrata da altre
22

un’attività criminosa svolta in Sicilia in maniera associativamente organizzata e

emergenze oggettive estrinseche, benché fosse risultato che lo stesso aveva
avuto motivi di contrapposizione con l’odierno ricorrente, senza che tanto avesse
inficiato le sue propalazioni, al contrario avvalorate dalla ammissione,
sintomatica dell’assenza di finalità calunniatrici, che l’unico capo dell’associazione
dedita al narcotraffico era il Corso, il che era valso per il Lo Bocchiaro a
riqualificare il fatto del capo A) ai sensi della meno grave figura criminosa del
comma 2 dell’art. 74 d.P.R. cit. (v. pagg. 72-74 sent. impugn.).

Bocchiaro ha formulato con il terzo e con il quarto motivo del suo ricorso, avendo
la Corte di appello spiegato, con riferimento al delitto del capo D)
dell’imputazione, come le videoriprese eseguite il 10/10/2009 dal personale della
polizia giudiziaria avessero permesso di appurare che i sessantaquattro panetti
celati dal prevenuto all’interno della sua autovettura contenevano senz’altro
sostanza stupefacente del tipo hashish, considerato che, nel corso di una coeva
conversazione intercettata dagli inquirenti, gli interessati avevano indicato la
‘merce’ con il termine convenzionale ‘porsche’, evidentemente non riferibile a
vetture di tale marca, anche perché formula già impiegata da correi, in altre
precedenti telefonate, per parlare di quella sostanza stupefacente: droga che,
per l’elevatissimo numero di panetti, ragionevolmente di un chilogrammo
ciascuno, ben poteva essere qualificata come di ingente quantità, in quanto da
essa si sarebbe potuto ricavare un assai rilevante numero di dosi, certamente
superiore a quel limite delle 2.000 dosi il valore massimo, in milligrammi
(valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11
aprile 2006, il cui superamento vale ad integrare gli estremi della aggravante in
argomento (così Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253150); e, con
riferimento al delitto del capo E), come la reiterata consegna, nel periodo dal
novembre 2009 al gennaio 2010, da parte del Lo Bocchiaro al Di Giulio, di
imprecisati quantitativi della medesima sostanza stupefacente del tipo hashish,
tra gli stessi indicata con il termine convenzionale di “frutta”, fosse stata
comprovata dal fatto che, arrestato il citato Davide Campo, già destinatario di
precedenti cessioni di droga, il Lo Bocchiaro ed il Casamento si erano preoccupati
di fornire al Di Giulio una scheda telefonica riservata, ed avevano effettuato, il
12/12/2009 un viaggio a Caltanissetta dove avevano ceduto alo stesso Di Giulio
un certo quantitativo di hashish, risultato poi di scarsa qualità, come dimostrato
dal tenore di una conversazione tra i due cedenti intercettata in ambientale
all’interno della vettura del Lo Bocchiaro (v. pagg. 76-80 sent. impugn.).

23

4.2. Si traducono in inammissibili censure di fatto quelle che l’imputato Lo

4.3. Il secondo, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso del Lo
Bocchiaro sono inammissibili perché generici.
Come già considerato con riferimento alla posizione di altro ricorrente, questa
Corte ha più volte chiarito che il requisito della specificità dei motivi implica non
soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione
ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in
modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime,
al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed

Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586;
Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma molto
indeterminata, il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte siciliana,
senza specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della decisione,
cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza
gravata nella parte concernente l’affermazione della penale responsabilità del
prevenuto in ordine ai delitti contestatigli nei capi C), F), G), L) ed O) (v. pagg.
75-76, 80-84 sent. impugn.).

4.4. Manifestamente infondato è l’ottavo motivo del ricorso del Lo Bocchiaro.
Il ricorrente ha criticato i punti della sentenza impugnata concernenti sia il
diniego delle circostanze attenuanti generiche, che la quantificazione della pena
finale anche in ragione della riconosciuta recidiva aggravata oggetto di
contestazione.
Nella giurisprudenza di questa Corte è stato puntualizzato che, nel concedere o
nel negare le circostanze attenuanti generiche, il giudice di merito è investito di
un ampio potere discrezionale, nel cui esercizio egli deve fare riferimento sia ai
criteri enunciati dall’articolo 133 c.p., concernente le possibili situazioni influenti
sul trattamento sanzionatorio, sia ad altri elementi e situazioni di fatto, diversi
da quelli legislativamente prefigurati, aventi valore significante ai fini
dell’adeguamento della pena alla natura ed all’entità del reato nonché alla
personalità del reo. Analoghi criteri di discrezionalità governano l’esercizio del
potere del giudice di merito in ordine al riconoscimento della recidiva ed alla
dosimetria della pena finale da irrogare, sulla base di scelte che non possono
essere censurate dalla Cassazione se motivate in maniera adeguata e logica.
Nella sentenza impugnata è stata fatta corretta applicazione di tali regole,
avendo la Corte palermitana sottolineato come il Lo Bocchiaro, gravato da
plurimi precedenti penali anche specifici ed autore di condotte delittuose di
notevole gravità obiettiva, fosse soggetto altamente pericoloso per la società e
24

esercitare il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009,

non fosse meritevole di alcun giudizio di benevolenza, pure in assenza di spunti
fattuali per una diversa valutazione a lui favorevole; e come la pena finale,
diminuita rispetto a quella del primo grado per effetto delle statuizione derivanti
dall’accoglimento di taluni motivi di appello, fosse congrua alla luce dei numerosi
elementi soggettivi ed oggettivi innanzi elencati (v. pag. 85 sent. impugn.).

5. Il ricorso presentato nell’interesse di Pietro Pilo è inammissibile.

ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione
esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze
processuali e, in particolare, alle credibili dichiarazioni dei due collaboratori di
giustizia, al contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, ed ai
risultati delle ulteriori indagini compiute dal personale della squadra mobile della
questura di Palermo, sicché può ritenersi definitivamente acclarato che il Pilo,
lungi dall’aver concorso nella commissione di un solo specifico episodio di
acquisto di cocaina (quello del capo B), qui addebitato ad altri coimputati, dal
quale lo stesso Pilo era stato assolto in altro processo – senza che ciò
evidentemente precluda il giudizio formulato in questo processo per il diverso
reato associativo – aveva aderito al sodalizio criminale dedito al traffico di
stupefacenti, curando la tenuta della contabilità del gruppo, veicolando le
comunicazioni tra il Corso, capo dell’organizzazione, e gli altri affiliati posti in
posizione subordinata, nonché interessandosi del reperimento dei canali di
approvvigionamento della cocaina da acquistare nell’interesse comune del
gruppo (v. pagg. 86-89 sent. impugn.).
I rilievi formulati al riguardo della ricorrente si muovono nella prospettiva di
accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in
non consentite censure in fatto all’iter argomentativo seguito dalla sentenza di
merito, nella quale, per altro, v’è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto
sovrapponibili a quelli già sottoposti all’attenzione della Corte territoriale.

5.2. Il secondo motivo del ricorso del Pilo è manifestamente infondato.
Facendo corretta applicazione della norme che riconoscono loro un potere
discrezionale nella quantificazione della pena finale da irrogare all’imputato, con
motivazione sintetica ma adeguata, i Giudici di merito hanno giustificato la
determinazione della pena inflitta con un rinvio a tutti i criteri previsti dall’art.
133 cod. pen., da reputarsi confacente ad una doglianza difensiva dal tenore
generico, contenente un erroneo richiamo ad una diversa ipotesi delittuosa ed un
25

5.1. Il primo motivo del ricorso del Pilo è stato presentato per fare valere

mero riferimento al periodo di tempo, asseritamente limitato, di partecipazione
dell’imputato all’associazione per delinquere de qua, sostanzialmente ininfluente
rispetto all’accertato, non trascurabile impegno del prevenuto nella ricerca di
fonti di approvvigionamento dello stupefacente per conto del gruppo criminale
(v. pag. 89 sent. impugn.).

6. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato Santo Porpora è
inammissibile, perché avanzato per fare valere ragioni diverse da quelle

Il ricorrente, condannato in relazione allo specifico delitto contestato al capo B)
dell’imputazione, al di là della premessa enunciativa, ha, in sostanza, sollecitato
una – in questa sede non consentita – incursione nella verifica diretta delle
emergenze processuali e la formulazione di una valutazione della loro capacità
dimostrativa diversa da quella espressa, con argomenti logicamente ineccepibili,
dalla Corte di appello.
In particolare, i Giudici di merito, rispondendo con un convincente apparato
motivazionale alle doglianze difensive che sono state poi riproposte con il ricorso
portato all’odierna attenzione di questo Collegio, hanno chiarito – come riferito
dagli agenti di polizia operanti che avevano seguito gli interessati – che il
01/09/2009 il Porpora, verosimilmente anche approfittando dei suoi impegni di
lavoro, alla guida della sua vettura aveva accompagnato il Pilo nel viaggio in
Calabria finalizzato all’effettuazione dell’acquisto di 988 grammi di cocaina,
dando così un concreto contributo causale alla consumazione del delitto in
argomento: e ciò aveva fatto non in maniera casuale ed episodica, come la difesa
aveva cercato di far credere, tenuto conto che – in base a quanto riferito dal
teste Marinali, che all’epoca aveva coordinato le investigazioni – nel giugno
precedente, il Porpora aveva già consegnato al Pilo la sua auto per permettergli
di recarsi in Calabria per concordare con i fornitori l’acquisto di quella partita di
stupefacente, circostanza questa incompatibile con la tesi di un successivo
occasionale viaggio in compagnia dello stesso Pilo finalizzato al prelievo della
droga (v. pagg. 98-100 sent. impugn.). Né va trascurato quanto sottolineato dai
Giudici di primo grado che – con motivazione destinata, in presenza di una
doppia conforme, ad integrare quella della sentenza di appello – avevano
evidenziato come ulteriori elementi di prova a carico fossero desumibili dal fatto
che il Porpora era stato visto dagli inquirenti accompagnare il Pilo fino al
parcheggio di un centro commerciale di Bovalino ed incontrare, sempre con il
Pilo, due persone, che ragionevolmente erano i fornitori della droga, con i quali i
primi si erano allontanati in auto; che, in occasione del viaggio ritorno, quando lo
stupefacente era stato materialmente affidato ad un terzo soggetto, ed il Pilo ed
26

consentite dalla legge.

il Porpora avevano fatto ritorno in Sicilia con due mezzi diversi, quest’ultimo era
stato fermato e l’unità cinofila, chiamata per un controllo, aveva segnalato la
presenza all’interno della sua vettura, nella zona del sedile posteriore, di tracce
di quello stupefacente; ed ancora, che qualche ora dopo, il Porpora aveva
significativamente chiamato il Lo Bocchiaro affinché questi informasse il Pilo del
fermo del suo veicolo e del controllo antidroga cui era stato sottoposto (v. pagg.
90- sent. 10 grado).

inammissibile.

7.1. Il primo motivo del ricorso è in parte aspecifico, in parte inammissibile
perché diretto a fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il ricorrente ha prospettato, con riferimento alla valorizzazione delle
dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia Di Maio e dal teste
Ficano, un vizio di motivazione per travisamento della prova, per avere la Corte
di appello attribuito alle indicazioni dei due propalanti un significato diverso da
quello desumibile dal verbale delle relative deposizioni. E, tuttavia, alla luce
dell’orientamento consolidato di questa Corte, secondo il quale, in forza della
regola della “autosufficienza” del ricorso, il ricorrente che intenda dedurre in sede
di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la
validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale
contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di
alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto (così, tra
le diverse Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023), bisogna prendere
atto come l’odierno ricorrente abbia omesso di assolvere a tale onere, inserendo
nell’atto di impugnazione la sintesi delle affermazioni asseritamente di diverso
tenore provenienti dai due dichiaranti, senza addurre una precisa difformità tra il
contenuto della motivazione della sentenza gravata ed il testo di altri atti del
processo, che questo Collegio non può, in un’ottica meramente esplorativa,
andare a ricercare.
D’altra parte, il Rao ha prospettato una serie di ipotesi – per giunta già
rappresentate con le doglianze contenute nell’appello, cui i Giudici di secondo
grado hanno compiutamente risposto – che vanno correttamente qualificabile in
termini di mero travisamento dei fatti, avendo sollecitato una rivalutazione di
alcune emergenze processuali a suo carico, non consentita in sede di legittimità:
così, con riferimento alla sua gestione del negozio unitamente al Di Maio, alla
frequentazione di tale esercizio commerciale da parte degli affiliati al sodalizio
criminale de quo, al suo coinvolgimento nel carico della droga nella vettura del
27

7. Anche il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato Girolamo Rao è

Lo Bocchiaro ed al concorso nel trasporto a Caltanissetta della droga destinata al
coimputato Di Giulio. Laddove, con la motivazione della sentenza impugnata, la
Corte palermitana aveva fornito una logicamente convincente lettura degli
elementi di prova acquisiti a carico dell’odierno ricorrente, evidenziando come il
suo concorso nella detenzione illegale dei sessantaquattro panetti di hashish
fosse stato provato, oltre che dalle precise dichiarazioni del collaboratore Di
Maio, dal contenuto delle videoregistrazioni eseguite dagli inquirenti, che
avevano confermato come il Rao, pur senza aderire stabilmente all’associazione

portabagagli della vettura del Lo Bocchiaro; nonché dal tenore di una
conversazione intercettata, nella medesima circostanza, in ambientale nel corso
della quale il Rao aveva domandato al Lo Bocchiaro se avesse avuto bisogno di
un aiuto e di un ‘taglierino’; e come il concorso nella cessione di una partita di
cinque chili di hashish fosse stato dimostrato dalla trascrizione di due
intercettazioni telefoniche le quali, nel già considerato contesto dei rapporti tra il
Lo Bocchiaro ed il Di Giulio (per i quali si fa rinvio a quanto sopra esposto nel
punto 4.2.), avevano confermato con certezza che il Lo Bocchiaro aveva
sollecitato il Rao a farsi consegnare con urgenza cinque chili di “frutta” che da lì
a poco, con una compatibilità di orari, doveva essere trasportata a Caltanissetta:
formula criptica con la quale era ragionevole ritenere che gli interessati avessero
fatto riferimento proprio alla sostanza stupefacente che doveva essere ceduta al
nisseno Di Giulio (v. pagg. 89-94 sent. impugn.).

7.2. Il secondo motivo del ricorso del Rao è inammissibile perché non dedotto
espressamente con l’atto di appello e, comunque, manifestamente infondato per
ragioni già sopra esposte nel punto 4.2., al cui contenuto si fa rinvio.

7.3. Il terzo motivo del ricorso del Rao è manifestamente infondato, risultando,
dalla motivazione della sentenza di primo grado (v. pagg. 12-13) e da quella
dell’appello (v. pag. 91 sent. impugn.), come, nel corso del giudizio di primo
grado, riunito il processo a suo carico a quello degli altri coimputati, all’udienza
del 16/12/2010 il prevenuto avesse presentato una richiesta di giudizio
abbreviato condizionato ben dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento e
correttamente fosse stata giudicata tardiva dal Tribunale.

7.4. Anche il quarto motivo del ricorso del Rao è manifestamente infondato.
Il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata
valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il
potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini del diniego delle
28

dedita al narcotraffico, avesse contribuito a sistemare quei pacchetti nel

circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena inflitta,
comprensiva anche di quella determinata per continuazione in relazione al reato
base ed a quello satellite: esercizio che, come si è già avuto modo di
puntualizzare, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta
alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha valorizzato i
parametri dettati dall’art. 133 cod. pen., ritenendo ostativo al riconoscimento

primo grado, il preponderante disvalore rappresentato dalla obiettiva gravità dei
fatti commessi dall’imputato, non controbilanciato da alcun altro spunto
favorevole di valutazione (v. pag. 94 sent. impugn.). E ciò senza che rilevi il fatto
che i Giudici di merito abbiano riconosciuto all’imputato la circostanza attenuante
di cui all’art. 114, comma 1, cod. pen., che ha presupposti applicativi del tutto
differenti (in questo senso Sez. 1, n. 4786 del 12/02/1985, Lucatello, Rv.
169233).

8. Al rigetto o alla inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna dei relativi ricorrenti al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento; gli imputati, il cui ricorso è
stato dichiarato inammissibile, vanno pure condannati al pagamento in favore
della cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo
indicato nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili il ricorso del P.G., nonché quelli di Rao Girolamo, Porpora
Santo e Pilo Pietro, e condanna questi ultimi al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Rigetta i ricorsi di Corso Gioacchino, Lo Bocchiaro Giuseppe e Di Giulio Gaetano,
che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/10/2013

delle attenuanti generiche e ad una riduzione della misura della pena irrogata in

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA