Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4626 del 14/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4626 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
MORELLO GAAETANO N. IL 04.01.1973
avverso la ordinanza del TRIBUNALE DELLA LIBERTA’ DI CATANZARO in data 05.12.2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, udite le
conclusioni del PG in persona del dott. Paolo Canevelli che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza il Tribunale del riesame di Catanzaro, decidendo
sull’istanza di riesame presentata nell’interesse di Manzi Pierpaolo avverso
l’ordinanza del GIP del Tribunale di Castrovillari in data 23 ottobre 2013, con cui era
stata applicata al Morello, indagato per plurime violazioni dell’art. 73 d.P.R. n.
309/1990, la misura cautelare della custodia in carcere, revocava la misura applicata
limitatamente al reato di cui al capo 51, confermando nel resto la misura in atto
applicata
2. Avverso tale decisione ricorre il Morello a mezzo del proprio difensore, censurando la
impugnata ordinanza per vizio di motivazione e violazione di legge per mancanza di
gravi indizi di colpevolezza ed erronea valutazione degli stessi ex art. 606 comma 1
lett. b) ed e) cod. proc. pen. e deducendo la palese insussistenza delle esigenze
cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorrente deduce genericamente la violazione degli artt. 267, 260 comma 3 e 270
cod. proc. pen. questioni già disattese dal provvedimento impugnato e rispetto al
quale non è mossa alcuna specifica censura. Il Tribunale della libertà ha ritenuto con riferimento aalle resudue imputazioni- che il quadro indiziario a carico del Morello
fosse tale da integrare il requisito di cui all’art. 273 cod. proc. pen., alla luce delle

Data Udienza: 14/05/2014

risultanze di indagine ed in particolare dei verbali di sequestro e delle intercettazioni
telefoniche. Il Morello sostiene che le stesse sarebbero invece di contenuto ambiguo
e che si presterebbero a diverse interpretazioni.
In ordine al contenuto del provvedimento impugnato, osserva il Collegio che in tema
di misure cautelari personali, allorché sia denunciato con ricorso per cassazione il
vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame, spetta a
questa Corte il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di
legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni a sostegno del proprio assunto, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie, alla stregua della previsione normativa contenuta nell’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e), siccome novellato dalla L. n. 46 del 2006, art. 8. E
pertanto il sindacato demandato alla Corte di Cassazione in subiecta materia ha un
orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, al
riscontro dell’esistenza di un logico e coerente apparato argomentativo, verificando:
a) che la motivazione sia effettiva e non meramente apparente, cioè realmente
idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata; b) che non sia manifestamente illogica, in quanto risulti sorretta nei suoi
punti essenziali da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione
delle regole della logica; c) che non sia contraddittoria, cioè sia esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le
affermazioni in essa contenute. Per contro non è consentito al giudice di legittimità la
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si
è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali, a meno che non si ravvisi una assoluta incompatibilità con altri atti del
processo, indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo
ricorso per cassazione; e di conseguenza non è consentito al giudice di legittimità di
procedere ad una “rilettura” degli elementi di fatto posti dal giudicante a fondamento
della sua decisione, atteso che tale valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice
di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle
indagini.
Orbene nel caso di specie non si ravvisa alcuna incompatibilità dell’impianto
argomentativo del provvedimento impugnato con gli elementi acquisiti agli atti del
giudizio, e quindi non si ravvisa alcuna manifesta illogicità della motivazione o
contraddittorietà per l’esistenza di insormontabili incongruenze nell’ambito della
stessa. Ed invero la verifica dell’apparato argonnentativo deve ritenersi nel caso di
specie senz’altro positiva, essendo la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di
merito del tutto coerente con le acquisizioni probatorie esistenti in atti, ove si osservi
che il Tribunale del riesame ha compiutamente posto in rilievo quegli elementi – non
consistenti unicamente nelle disposte intercettazioni telefoniche che evidenziavano la
sussistenza del quadro indiziario.
Va peraltro osservato che è in particolare incontroverso che il significato attribuito al
linguaggio eventualmente criptico utilizzato dagli interlocutori, e la stessa natura
convenzionale conferita ad esso, costituiscono valutazioni di merito insindacabili in
cassazione; mentre la censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave
interpretativa, nel senso che le valutazioni effettuate dal giudice di merito sul
contenuto delle comunicazioni intercettate sono censurabili in sede di legittimità se
ed in quanto si fondino su criteri interpretativi inaccettabili ovvero quando applichino
scorrettamente tali criteri (Sezione IV, 11 marzo 2009, Bilardi). Sotto questo profilo,
non è ammissibile il vaglio in questa sede.
Con riferimento alle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame ha posto in rilievo
come l’unica misura idonea a salvaguardare le esigenze di tutela sociale sia la
custodia in carcere, all’uopo evidenziando la pericolosità della condotta del Morello,
sorvegliato speciale e gravato da diversi precedenti, che appare graave e tale indurre
a ritenere che il comportamento dell’indagato fosse indice di una inclinazione a
delinquere, sintomatica di un habitus operandi che induce a formulare una prognosi

cutelare sfavorevole, di reiterazione di condotte delittuose della stessa specie.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La
Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso nella camera di consiglio del 14 maggio 2014
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Risulta evidente l’esaustività delle argomentazioni del tribunale della libertà, che
basano il giudizio di conferma della misura attraverso un’analitica, affatto
superficiale, disamina con argomenti di fatto immeritevoli di alcuna censura in sede
di legittimità, in ragione anche dei ricordati limiti del giudizio di cassazione in materia
di misure cautelari.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali. Deve, altresì, disporsi che copia del presente
provvedimento sia trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario di competenza
perché provveda a quanto stabilito nell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p.

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