Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46149 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46149 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Boscolo Sesillo Paolo, nato a Chioggia il 25/06/1968;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 12/05/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’indagato l’Avv. Pietro Chianese, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

A seguito di perquisizione disposta dal P.M. ed effettuata presso

l’abitazione di Boscolo Sesillo Paolo indagato per i reati di estorsione, riciclaggio
e reimpiego il 19.3.2015 la polizia giudiziaria procedette a sequestro probatorio
di un computer, documentazione varia e della somma di C 5.140,00.
L’indagato chiedeva quindi la restituzione della somma di C 5.140,00, ma il
P.M. rigettò l’istanza e dispose il sequestro preventivo d’urgenza di tale somma,
che, con decreto del 16.4.2015 il G.I.P. del Tribunale di Venezia convalidò.

2. A seguito di richiesta di riesame il Tribunale di Venezia, con ordinanza
12.5.2015 confermò il provvedimento impugnato.

Data Udienza: 11/11/2015

3. Ricorre per cassazione l’indagato, tramite i difensori, deducendo assenza
di motivazione in ordine al fumus commissi delícti, al periculum in mora ed al
rapporto di pertinenza di beni di cui è stato disposto il sequestro ed i reati
contestati.
Non vi sono elementi a sostegno della sussistenza dei reati contestati,
manca la motivazione a sostegno della derivazione dei beni dai reati contestati,

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi
consentiti.
Il Tribunale ha motivato la sussistenza del fumus commissí delícti in ragione
del fatto che l’indagato si sarebbe fatto consegnare da più soggetti denaro con
larvate minacce, subordinando al pagamento la permanenza nel rapporto di
lavoro, richiamando anche le fonti di prova (p. 2, 3, 4, 6, 7 e 8 ordinanza
impugnata).
Il Tribunale ha poi rilevato che il sequestro era finalizzato alla confisca e che
ciò era sufficiente ai fini delle esigenze cautelari.
Infine ha ritenuto che le somme sequestrate provenissero da reato per la
loro modalità di conservazione e che non vi fosse prova che il denaro avesse la
provenienza lecita allegata dal ricorrente.
Tale motivazione non può ritenersi mancante ai sensi dell’art. 125 cod. proc.
pen. e quindi il ricorso è proposto, a ben vedere, per vizio di motivazione, non
consentito in materia di misure cautelari reali ed anzi sconfina in valutazioni di
merito.

2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

P.Q.M.

2

di cui il ricorrente ha indicato la lecita provenienza (vendita di autovettura).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 11/11/2015.

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