Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46105 del 03/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 46105 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Murolo Annalisa, nata a Molfetta il 28/12/1978
avverso la sentenza 21/5/2013 della Corte d’appello di Bari, III sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Marilia Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 21/5/2013, la Corte di appello di Bari,

confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Trani, in data
14/4/2010, che aveva condannato Murolo Annalisa alla pena di anni due,
mesi quattro di reclusione ed C. 300,00 di multa per i reati di estorsione e
violenza o minaccia per costringere a commettere un reato commessi in
danno dei coniugi Bacci Luisa e Pellegrino Mario.

1

Data Udienza: 03/11/2015

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale
responsabilità dell’imputata in ordine ai reati a lei ascritti ed equa la pena
inflitta.

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputata per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame con i quali deduce:
Violazione dell’art. 606, lett. B, D ed E, con riferimento all’art. 629

cod. pen. deducendo motivazione apparente in quanto il giudice d’appello si
sarebbe riportato alla sentenza di primo grado, integralmente ritrascritta
all’interno del provvedimento, senza riscontrare gli specifici motivi d’appello
dedotti dalla difesa dell’imputata. Deduce, altresì, motivazione illogica,
avendo il Gup riscontrato che la persona offesa, Pellegrino Mario, era
affetta da problemi di carattere psichico, senza trarne le dovute
conseguenze in termini di verifica dell’affidabilità delle dichiarazioni rese
dalla moglie Bucci Luisa, che il Gup avrebbe dovuto assumere d’ufficio
come testimone, avvalendosi dei poteri ex art. 441, comma 5, cod. proc.
pen. Si duole, inoltre, che il giudice d’appello non si sia pronunciato sulla
sua richiesta di precisare che la data dei commessi reati andava collocata
prima del maggio del 2006, facendo rientrare, pertanto, il fatto nell’epoca
coperta dall’indulto, almeno per taluni degli episodi contestati. Infine si
duole che in relazione all’episodio di asportazione di beni ed oggetti presso
il Supermercato di Corato, che la motivazione non abbia dato contezza
alcuna in ordine alla valenza probatoria delle dichiarazioni delle p.o.
rispetto ai dati oggettivi contenuti negli atti di causa.
3.2

Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla

qualificazione giuridica del reato contestato sub b), non sussistendo gli
estremi del costringimento a commettere un reato.
3.3

Motivazione illogica in ordine al diniego dell’attenuante di cui all’art.

62 n. 4 cod. pen. in relazione al furto avvenuto nel supermercato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è fondato nei limiti di quanto segue.

2.

Preliminarmente ed in punto di diritto occorre rilevare che la

2

3.1

sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle
conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto
organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre
fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il
giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può
limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del
fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1,

Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073,
Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non
possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argornentative o
l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad avviso della parte,
avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, sempreché tali
elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di
decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei
a determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non
costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi
di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non
può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma
devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento
che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di
verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se
risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto
argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente
confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000),
Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud.
23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999
(ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di
annullamento la motivazione incompleta ne’ quella implicita quando
l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca
diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno
che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria,
tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da
ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.
3.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di

secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo

Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco;

grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni
aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della
difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi
sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice. Per
questo è infondato il primo motivo di ricorso in punto di motivazione
apparente. Ugualmente infondato è il terzo motivo di ricorso in punto di

quanto la Corte ha specificamente risposto alla censura dell’appellante.

4.

In punto di diritto è fondata, invece, la censura in ordine alla

qualificazione del fatto sub b). Con il capo di imputazione sono stati
contestati a Murolo Annalisa e a Carbone Sebastiano i reati previsti dagli
artt. 110 e 611 cod. pen. <

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