Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46075 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 46075 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUFFO GIUSEPPE N. IL 27/05/1981
avverso la sentenza n. 811/2014 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 14/07/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.44-&. R4-0 fg
che ha concluso per /, 4(2

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 13/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 luglio 2015 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la
sentenza emessa il 18 luglio 2013 dal Tribunale dello stesso capoluogo, che dichiarava Ruffo
Giuseppe colpevéfle del reato di cui agli artt. 99, 385, comma 3, c.p. e lo condannava alla pena
di mesi sei di reclusione, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva
infraquinquennale, perché, essendo detenuto agli arresti domiciliari presso la sua abitazione in

arbitrariamente il 25 aprile 2009.

2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato, deducendo tre motivi di doglianza.

2.1. Violazione dell’art. 385, comma 3, c.p., in ragione della inesistenza sia della
componente oggettiva che di quella soggettiva del delitto di evasione, poiché il ricorrente è
stato trovato a circa quindici metri dal portone di ingresso dello stabile ove si trovava ristretto,
mentre aiutava i propri familiari a scaricare del materiale da un furgone parcheggiato
all’interno dell’area condominiale, senza alcuna intenzione di violare la misura coercitiva.

2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli artt. 62-bis, 69, 99,
co.2, n. 2, c.p., per avere la Corte di merito erroneamente negato il giudizio di prevalenza
delle attenuanti generiche sulla contestata recidiva, che nel caso in esame era facoltativa
nell’an.

2.3. Si deduce, infine, la possibilità di applicare la nuova causa di non punibilità di cui
all’art. 131-bis c.p., trattandosi di un fatto di particolare tenuità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate.

2. Per quel che attiene al primo motivo di ricorso, deve rilevarsi come i Giudici di merito
abbiano compiutamente esaminato e disatteso le obiezioni difensive, ponendo in evidenza, con
argomenti congruamente esposti ed immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede rilevabili: a)
che il ricorrente, sottoposto alla misura coercitiva degli arresti domiciliari presso la sua
abitazione, veniva sorpreso dai militari nel cortile condominiale, a circa quindici metri dal
portone di ingresso dello stabile, mentre era intento a scaricare, unitamente al padre ed al
fratello, del materiale da un furgoncino appartenente al padre ed ivi parcheggiato;

b) che il

fatto che egli sia stato notato in un luogo (area condominiale) prossimo a quello dove si
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virtù di un’ordinanza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Reggio Calabria, se ne allontanava

trovava cautelarmente ristretto non esclude la ricorrenza del reato, in quanto il concetto di
abitazione ricomprende, ai fini della misura coercitiva degli arresti donniciliari, le aree private
di uso esclusivo e non anche, come avvenuto nel caso di specie, le parti comuni.
Al riguardo, invero, è agevole rilevare come l’impugnata sentenza abbia fatto buon
governo del quadro di principii, da tempo stabiliti da questa Suprema Corte (da ultimo, v. Sez.
6, n. 3212 del 18/12/2007, dep. 21/01/2008, Rv. 238413; Sez. 6, n. 4830 del 21/10/2014,
dep. 02/02/2015, Rv. 262155), secondo cui, in tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli

la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree
condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza
dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia
sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non
aleatorietà (in motivazione, la S.C. ha precisato che il fine primario e sostanziale della misura
coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l’esterno ed il libero
movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere
vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni).
Né assumono alcun rilievo, a tal fine, la durata dell’allontanamento, la distanza dello
spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato
custodiale (da ultimo, v. Sez. 6, n. 28118 del 09/06/2015, dep. 02/07/2015, Rv. 263977).

3. Parimenti infondata, inoltre, deve ritenersi la seconda doglianza difensiva, avendo la
Corte d’appello congruamente esposto, con motivazione incensurabile in questa Sede, le
ragioni sottese al giudizio di equivalenza, spiegando come, alla luce dei gravi precedenti penali
del Ruffo, non vi fosse alcuno spazio per l’invocata affermazione di prevalenza.
E’ noto, sul punto, che ai fini del giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti e la
recidiva è sufficiente che il giudice consideri gli elementi ed i criteri direttivi enunciati nell’art.
133 cod. pen., essendo al sindacato di legittimità sottratta la motivazione dell’impugnato
provvedimento se la stessa è aderente, come avvenuto nel caso in esame, ad elementi
logicamente corretti e puntualmente ricavati dalla valutazione delle risultanze processuali (Sez.
2, n. 4969 del 12/01/2012, dep. 09/02/2012, Rv. 251809).
Inammissibile, in quanto formulato in termini del tutto generici ed assertivi, deve infine
ritenersi l’ultimo motivo di ricorso.

4. Conclusivamente, nel caso portato alla cognizione di questa Suprema Corte – in cui due
pronunzie, di primo e di secondo grado, concordano nell’analisi e nella valutazione degli
elementi di prova, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che viene a
saldarsi perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme
e privo di lacune, in considerazione del fatto che entrambe le decisioni hanno offerto una
congrua e ragionevole spiegazione del giudizio di colpevolezza – la congruità delle ragioni
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effetti dell’art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce

giustificative illustrate dai Giudici di merito non è stata validamente censurata dal ricorrente,
limitatosi a riproporre obiezioni già esaustivamente disattese, ovvero a formulare critiche e
rilievi sulle valutazioni espresse in ordine alle risultanze offerte dal materiale probatorio
sottoposto alla loro cognizione, prospettandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura, in
questa Sede, evidentemente, non assoggettabile ad alcun tipo di verifica, per quanto sopra
evidenziato.
Il tessuto motivazionale della sentenza in esame, dunque, non presenta affatto quegli

merito che, alla stregua del consolidato insegnamento giurisprudenziale da questa Suprema
Corte elaborato, potrebbero indurre a ritenere sussistente il vizio di cui alla lett. e) del comma
primo dell’art. 606 c.p.p. (anche nella sua nuova formulazione), nel quale sostanzialmente si
risolvono le censure dal ricorrente articolate.

5. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, ex art. 616 c.p.p. .

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, lì, 13 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

aspetti di carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di

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