Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 46062 del 22/10/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 46062 Anno 2015
Presidente: LA POSTA LUCIA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CLINCA DOMENICO N. IL 28/09/1977
avverso la sentenza n. 777/2011 CORTE APPELLO di BARI, del
06/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Gynerpersona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civ e, l’Avv
Uditi difensor vv.

Data Udienza: 22/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bari

confermava quella del Tribunale di Bari, sezione distaccata di Rutigliano, di
condanna di Clinca Domenico, previa concessione delle attenuanti generiche, alla
pena di mesi otto di reclusione per il delitto di cui all’art. 9, comma 2, legge
1423 del 1956.
Secondo l’imputazione, Clinca, sottoposto alla misura di prevenzione della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, aveva

possesso di un telefono cellulare.
Nell’atto di appello, il difensore dell’imputato aveva sottolineato la mancanza
di prova dell’efficienza dell’apparecchio sequestrato nonché dei contatti di Clinca
con altri soggetti pregiudicati.
La Corte territoriale rilevava che dal verbale di arresto emergeva che il
telefono cellulare sequestrato era funzionante: ciò era sufficiente, risultando
irrilevante che, al momento del sequestro, l’apparecchio fosse spento o,
comunque, non fosse utilizzato dal soggetto, tenuto conto che la prescrizione era
di “non detenere e non portare indosso telefoni cellulari ed altri apparati
radioelettrici di comunicazione”. Il silenzio dell’imputato impediva al Giudice di
valutare ricostruzioni diverse del fatto.
La pena non poteva essere ridotta, essendo stata calcolata nel minimo
edittale e con la concessione delle attenuanti generiche nella loro massima
estensione; veniva, altresì, rigettata l’eccezione di prescrizione del reato,
conteggiando la Corte i periodi di sospensione durante il giudizio di primo grado.

2. Ricorre per cassazione Clinca Domenico, deducendo violazione di legge
penale e processuale.
La Corte aveva confermato la condanna dell’imputato pur in mancanza di
prova sull’efficienza dell’apparecchio cellulare sequestrato; non era esatto quanto
affermato dalla Corte, secondo cui dal verbale di arresto emergeva la
funzionalità dell’apparecchio, con conseguente vizio di motivazione.
In un secondo motivo, il ricorrente eccepisce l’intervenuta prescrizione dei
reati, avendo la Corte erroneamente calcolato la sospensione dei termini di
prescrizione: in effetti, il periodo che doveva essere computato al fine della
sospensione dei termini di prescrizione era solo di novanta giorni dall’udienza di
rinvio.
Il ricorrente conclude per il proscioglimento dell’imputato, per la declaratoria
di nullità della sentenza o per la declaratoria di prescrizione del reato.

2

contravvenuto alle prescrizioni inerenti la misura facendosi sorprendere in

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

Dal verbale di perquisizione redatto nei confronti dell’imputato dalla polizia
giudiziaria emergeva espressamente la circostanza che l’apparecchio sequestrato
era funzionante e conteneva una SIM: quindi, nessun vizio di motivazione può

La censura in punto di decorso della prescrizione, poi, è del tutto generica e
in parte incomprensibile, facendo riferimento ad una sospensione massima di
novanta giorni che non si rinviene nel codice di rito; ciò, per di più, di fronte ad
una motivazione analitica sul punto della sentenza impugnata, con indicazione
delle udienze rinviate dal giudice di primo grado e dei periodi di sospensione.

In ogni caso, la verifica compiuta da questa Corte sulla base della lettura dei
verbali del giudizio di primo grado ha dimostrato che i periodi di sospensione
intervenuti imponevano di non ritenere prescritto il reato alla data della sentenza
di ~grado.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue

ex lege,

in

forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 22 ottobre 2015

Il Consigliere estensore

essere addebitato alla sentenza impugnata.

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