Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45973 del 22/05/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 45973 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MERLIN MARCO N. IL 06/11/1979
avverso la sentenza n. 1469/2013 GIP TRIBUNALE di IMPERIA, del
13/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA
SAVINO;

Data Udienza: 22/05/2015

in fatto e in diritto

Con sentenza in data 13.6.2014 il GIP del Tribunale di Imperia ha applicato ad Merlifi Marco i
la pena di anni uno giorni giorni sette di reclusione ed euro 2.200 di multa per il reato di cui
illecita coltivazione di 18 piante adulte di cannabis, e per il reato di violazione degli obblighi
inerenti la sorveglianza speciale disposta per la durata di due anni dal Tribunale di Imperia.

motivato la mancata applicazione di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., pur sussistendo le
condizioni, sulla base del materiale probatorio, per giungere ad un proscioglimento dell’imputata,
che non abbia valutato la sussistenza dei presupposti per la determinazione della pena in misura
vicina al minimo edittale.
Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.
Quanto al primo motivo, il ricorso è inammissibile per assoluto difetto di specificità.
Il ricorrente, pur dolendosi della insufficienza delle argomentazioni poste alla base della omessa
pronuncia ex art. 129 c.p.p„ non indica in alcun modo le ragioni per le quali, in presenza di una
richiesta di applicazione della pena da lui proveniente, che presuppone la rinuncia implicita a
qualsiasi questione sulla colpevolezza, il Giudice avrebbe dovuto disattendere tale richiesta e
pervenire ad una decisione di proscioglimento basata sull’evidenza della insussistenza dei fatti,
della loro mancata commissione da parte dell’imputato etc ex art. 129.
Questa Corte ha costantemente affermato che nel giudizio definito ex art. 444 cod proc. pen. è
inammissibile per genericità l’impugnazione nella quale sia stata lamentata la mancata verifica o
comunque l’omissione di motivazione in ordine alla sussistenza di cause di non punibilità, ove la
censura non sia accompagnata dalla indicazione specifica delle ragioni che avrebbero dovuto
imporre al giudice l’assoluzione o il proscioglimento ai sensi dell’ art. 129 cod. proc. ( Cass Sez. 3,
Sentenza n. 1693 del 19/04/2000 Cc. (dep. 01/06/2000 ) Rv. 216583 Sez. 3, Sentenza n. 2932 del
22/09/1997 Cc. (dep. 06/11/1997 ) Rv. 209387)
E difatti è onere del ricorrente indicare l’esistenza di una possibile causa di non punibilità. Qualora
dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, il giudizio negativo sulla ricorrenza di una delle ipotesi previste dall’art.
129 c.p.p.. deve essere accompagnato da una specifica motivazione; diversamente, deve ritenersi
sufficiente una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la
verifica richiesta dalla legge e nella valutazione negativa della non ricorrenza le condizioni per una
pronuncia di proscioglimento.

La presente impugnazione censura il fatto che il giudice che il giudice non abbia adeguatamente

Conclusivamente, in assenza di specifica deduzione sul punto da parte del ricorrente, l’obbligo
motivazionale del giudice è assolto dando atto della effettuata verifica della insussistenza di
condizioni che impongano il proscioglimento dell’imputato e di tale adempimento ben può dare
conto con motivazione sintetica. La Corte Suprema ha ritenuto che tale requisito sia soddisfatto
dalla sentenza che affermi “non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art.129 c.p.p.”. (Sez.

La motivazione del giudice sull’assenza dei presupposti che legittimano l’applicazione dell’art. 129
c.p.p, può essere anche “implicita o meramente enunciativa” considerato che il giudice può
pronunciare sentenza di proscioglimento solo se risultino dagli atti elementi idonei a superare la
presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega alla formulazione di una richiesta di
applicazione della pena, o comunque manchi un quadro probatorio idoneo a definire il fatto come
reato (Cass sez 5 5.1.2006 n. 211 Cortese).
Quanto al secondo motivo, la richiesta di pena patteggiata costituisce un negozio giuridico
processuale recettizio che, pervenuto a conoscenza dell’altra parte, non può essere modificato
unilateralmente né revocato e, una volta che il giudice abbia ratificato l’accordo, non è più
consentito alle parti e, quindi anche al pubblico ministero, prospettare questioni e sollevare
censure con riferimento alla sussistenza del fatto, alla sua soggettiva attribuzione, all’entità e
modalità di applicazione della pena purchè legale, alla qualificazione giuridica del fatto e al
riconoscimento delle circostanze, alla sussistenza di nullità anche assolute quando non inerenti la
stessa richiesta di patteggiamento, fermo restando, per eventuali vizi, che occorre sussista uno
specifico interesse a dedurli onde ottenere un accoglimento del ricorso produttivo di una migliore
condizione per il ricorrente ( su quest’ultimo profilo argomenta da Cass SU n. 4410/2005);
Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi diretti a
porre in discussione i principi in tema di motivazione della sentenza di patteggiamento; peraltro
esso è del tutto generico e non soddisfa l’esigenza di specificità “rafforzata” delle censure che
deve assistere la critica di un patteggiamento ratificante l’accordo tra le parti

P.Q.M

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22.5.015

3, Sentenza n.39952 del 03/10/2006 dep. 05/12/2006 ) Rv. 235495)

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