Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45936 del 22/10/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 45936 Anno 2015
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania
avverso la ordinanza del 28/06/2015 del Tribunale di Catania
nel procedimento contro
Leonardi Daniel Salvatore, nato a Catania il 22/04/1983
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catania, in accoglimento
dell’appello ex art. 310 cod. proc. pen. presentato nell’interesse di Daniel
Salvatore Leonardi, sostituiva la misura cautelare della custodia in carcere,
applicata a quest’ultimo in ordine ai reati di cui agli artt. 74 e 73 D.P.R. 309/90,
con quella degli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica, subordinata
alla prosecuzione del programma terapeutico, e ordinando il trasferimento del
prevenuto per ragioni di cautela a mezzo scorta.

Data Udienza: 22/10/2015

In data 18 maggio 2015/ il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di
Catania, pendente il rito abbreviato, aveva rigettato l’istanza di sostituzione della
misura, ritenendo sussistenti esigenze cautelari di eccezionale rilevanza
desumibili, oltre che dal tipo di reato ascritto (la partecipazione ad
un’organizzazione dedita al narcotraffico), dalle specifiche modalità di esecuzione
delle condotte contestategli, dal ruolo dallo stesso rivestito nel consorzio

dell’aggravante di cui all’art. 7 I. 203/91 e dalla pendenza di diversi procedimenti
giudiziari per reati contro il patrimonio e anche in tema di stupefacenti. Il Giudice
evidenziava altresì che per il reato associativo contestato vigeva, tenuto conto
della novella introdotta dalla legge 47/2015, la presunzione di pericolosità sociale
e di adeguatezza della misura intramuraria, superabile solo con la acquisizione di
elementi dai quali risultino non sussistenti le esigenze cautelari o, in relazione al
caso concreto, non fronteggiabili con altre misure.
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale osservava come il ruolo del Leonardi
all’interno dell’organizzazione criminale, se pur rilevante per l’attività criminosa
del contesto associativo, dovesse ritenersi in realtà di mera esecutività, non
avendo svolto costui funzioni direttive ed essendo sottoposto al controllo dei
consociati posti in posizione gerarchica più elevata, e che era stata provata dalla
difesa la assenza di ulteriori pendenze penali.
Secondo il Tribunale, in questo mutato quadro cautelare, la innegabile
gravità dei fatti in contestazione all’imputato – con connotazioni di abitualità e
professionalità – e la biografia del medesimo, integrando esclusivamente
“particolari esigenze cautelari”, non potevano ritenersi ostative alla concessione
degli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 89 D.P.R. 309/90.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Catania, chiedendone l’annullamento per la
violazione di legge e per l’incoerenza e la contraddittorietà della motivazione.
Lamenta la Procura ricorrente che il Tribunale, per un’erronea
interpretazione della legge, pur avendo ritenuto la sussistenza di “particolari
esigenze cautelari” (a suo avviso, ostative alla concessione degli arresti
domiciliari ai sensi dell’art. 89 D.P.R. 309/90), avrebbe egualmente concesso la
misura. Inoltre, in modo contraddittorio, avrebbe previsto il trasferimento del
Leonardi in comunità a mezzo scorta per particolari ragioni di cautela, rivelative
della pericolosità del prevenuto.
Secondo il ricorrente, il Tribunale non avrebbe al contrario tenuto in debito
conto la circostanza ad esso nota della condanna nel frattempo intervenuta a
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criminale (responsabile di una piazza di spaccio), dalla contestazione

carico del Leonardi alla pena di 20 anni di reclusione per i reati a lui ascritti,
aggravati dalla circostanza di cui all’art. 7 I. 203/91. Il Leonardi sarebbe stato
riconosciuto facente parte, con ruolo di organizzatore, di un’articolata
associazione criminale finalizzata al narcotraffico, posta in essere per agevolare
la gestione di una piazza di spaccio di un clan mafioso catanese.
Il Tribunale inoltre non avrebbe fatto alcun cenno al superamento del limite

all’art. 74 D.P.R. cit.
Il ricorrente lamenta inoltre la violazione dell’art. 299 cod. proc. pen. in
ordine alla valutazione delle esigenze cautelari, in quanto risulterebbe accertato
in sede di giudizio di merito lo stabile inserimento dell’imputato in una fattispecie
associativa con collegamenti con la criminalità organizzata di stampo mafioso,
indicativo della sussistenza di legami con ambienti criminali e di cointeressenze
che prescindono dal mero dato temporale e che dovevano essere valutati
necessariamente ai fini del giudizio sulla concretezza e attualità del pericolo di
reiterazione di reati della stessa specie.
Ai fini della pericolosità del Leonardi il Tribunale avrebbe infine dovuto
valutare la personalità altamente negativa e proclive al crimine dell’imputato,
desunta dalla precedente condanna irrevocabile per il reato di cui all’art. 73
D.P.R. 309/90, commesso dopo i fatti contestati in questa sede.
Il 13 ottobre 2015 il difensore di Daniel Salvatore Leonardi ha depositato
una memoria, con cui contrasta le argomentazioni della Procura ricorrente,
evidenziando che non sussistono le “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”
prospettate nel ricorso, che finiscono per identificarsi nella sola gravità del fatto,
senza valutare la personalità dell’indagato, soggetto assolutamente incensurato
e che aveva svolto in epoca prossima all’arresto attività di guardia giurata. Ha
rilevato inoltre che il Leonardi, collocato in comunità, non potrebbe reiterare la
condotta criminosa e che lo stesso dal 29 giugno 2015 sta puntualmente
seguendo, come da allegata certificazione, il programma terapeutico la cui
interruzione potrebbe comportare un grave pregiudizio al suo recupero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato.

2. Erronea è la prospettiva da cui muove il ricorrente circa il limite
preclusivo previsto dall’art. 89, comma quarto/D.P.R. 309/90.
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preclusivo previsto dall’art. 89, comma quarto D.P.R. 309/90 per il delitto di cui

Come ha di recente rammentato la Corte costituzionale (sent. 45 del 2014 e
ord. 165 del 2015), l’art. 89 del D.P.R. n. 309 del 1990 reca una speciale
disciplina di favore per le persone tossicodipendenti e alcooldipendenti
gravemente indiziate di reato, derogatoria rispetto ai criteri generali di scelta
delle misure cautelari personali delineati dal codice di procedura penale, volta al
miglior contemperamento tra le esigenze, potenzialmente in conflitto, di difesa

opportuni programmi terapeutici, che richiedono, di regola, un trattamento
“extramurario”.
Tale regime derogatorio si sostanzia nell’imporre l’applicazione degli arresti
domiciliari di cui all’art. 89 cit., ove ricorrano tutti i presupposti “ordinari” della
custodia cautelare in carcere, salvo il limite della ricorrenza di “esigenze cautelari
di eccezionale rilevanza”. Nella evidenziata prospettiva del contemperamento tra
i valori in potenziale conflitto, peraltro, il legislatore ha ritenuto di dover
escludere l’applicabilità del regime cautelare di favore allorché si proceda per
determinati delitti, di particolare gravità e allarme sociale, richiamati dal quarto
comma dell’art. 89 cit..
La non applicazione di detto trattamento non significa peraltro che sia
preclusa al tossicodipendente imputato per uno dei suddetti delitti la possibilità
di usufruire degli arresti domiciliari per sottoporsi ad un programma di recupero,
ma soltanto che per tali delitti resta applicabile la disciplina generale del codice
di rito.
Pertanto, in tali casi, il giudice deve valutare l’esistenza delle esigenze
cautelari secondo gli ordinari criteri di cui agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. e
non limitarsi a considerare come ostative soltanto le esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza (Sez. 1, n. 34939 del 06/03/2012 – dep. 12/09/2012, De
Simone, Rv. 253439).
Con la conseguenza che, con riferimento ai reati contestati al Leonardi (il
delitto di cui all’art. 74 Dpr. 309/90, aggravato ex art. 7 I. 203/91), il
tossicodipendente imputato del delitto in questione può fruire di misure meno
gravose della custodia in carcere e che agevolino la riabilitazione, sulla base di
una valutazione “individualizzata” della singola vicenda: il giudice può, infatti,
ritenere del tutto insussistenti le esigenze cautelari (la contraria presunzione,
posta anche con riguardo al reato in questione dall’art. 275, comma 3, del codice
di procedura penale, è, infatti, solo relativa e, dunque, superabile ove siano
acquisiti elementi che la smentiscano); ovvero, il giudice può ravvisare nei
confronti del suddetto soggetto esigenze cautelari suscettibili di essere
soddisfatte, alla stregua dei criteri ordinari, con misure diverse e meno gravose
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sociale e di disintossicazione e riabilitazione dei soggetti in questione attraverso

della custodia carceraria, ivi compresi gli arresti domiciliari presso una struttura
diretta al recupero dei tossicodipendenti.
Come attenta dottrina ha chiarito, il titolo del reato determina il passaggio
da un raro caso di «automatismo in favon> ad una logica di apprezzamento del
caso concreto, giustificato dalla gravità del reato in contestazione.
Inquadrata la decisione impugnata in questo quadro giuridico, la stessa si

Il Tribunale nell’ordinanza impugnata ha infatti ritenuto che, se la gravità dei
fatti contestati al Leonardi e la biografia penale del medesimo costituissero indici
di pericolosità sociale dell’imputato, vi erano per contro elementi specifici, in
relazione al caso concreto, idonei a superare la presunzione di adeguatezza della
misura cautelare carceraria, quali la assenza di pendenze penali e il ruolo
meramente esecutivo rivestito dal Leonardi all’interno del sodalizio criminale.
Il giudizio del Tribunale, essendo adeguatamente motivato e privo di
contraddittorietà, anche con riferimento alle modalità esecutive del trasferimento
dell’imputato, non è censurabile in questa sede di legittimità, e non possono
essere apprezzati in questa sede i motivi, sostanzialmente in fatto, con i quali il
ricorrente ha sostenuto il mancato affievolimento delle esigenze cautelari.
Né può essere valutata – ai fini della impugnazione oggi proposta – la
sentenza di condanna medio tempore intervenuta, posto che di essa non vi è
traccia nel provvedimento impugnato (il quale dà solo atto della definizione del
rito abbreviato).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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sottrae ai vizi denunciati dal ricorrente.

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