Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45909 del 14/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 45909 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cascini Antonio, nato a Craco (Mt) il 17/1/1973

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Modena in data
30/4-5/5/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. P. Rovatti in
sostituzione dell’Avv. E. Margani, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 30/4-5/5/2015, il Tribunale del riesame di Modena
rigettava il ricorso proposto da Antonio Cascini e, per l’effetto, confermava il
decreto emesso il 5/3/2015 dal Giudice per le indagini preliminari in sede, con il
quale era stato disposto il sequestro preventivo della somma di 23.000,27 euro,
presente su conti correnti, ed il sequestro preventivo – finalizzato alla confisca

Data Udienza: 14/10/2015

per equivalente – di immobili di proprietà del Cascini; allo stesso, nella qualità di
legale rappresentante della Ducale società cooperativa, era contestato il delitto
di cui all’art. 10-ter, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, per non aver versato l’i.v.a.
per l’anno di imposta 2011, per l’ammontare di 690.482 euro.
2. Propone diffuso ricorso per cassazione il Cascini, a mezzo del proprio
difensore, deducendo sei motivi:
– violazione degli art. 321, 322 cod. proc. pen. Il pubblico ministero, dopo
aver disposto sequestro preventivo d’urgenza sui conti correnti intestati alla

immobili nella disponibilità di questo, formulando apposita istanza al G.i.p.; tale
mutamento dell’originario sequestro sarebbe inammissibile o quantomeno
invalido, dal momento che in tal modo l’originaria domanda sarebbe stata
modificata in corso di procedura. Il provvedimento di estensione del vincolo
inoltre, non sarebbe stato mai notificato all’interessato, né si conoscerebbe la
data della relativa istanza del pubblico ministero;
– violazione di plurime norme del codice di rito. La procedura illegittima di
cui al precedente punto avrebbe comportato, inoltre, la palese violazione degli
artt. 356 cod. proc. pen., 114 disp. att. cod. proc. pen.; con riguardo al
sequestro degli immobili, infatti, nessuno avrebbe avvisato l’indagato né il già
nominato difensore di fiducia, con l’effetto paradossale che gli stessi avrebbero
avuto conoscenza solo dalla stampa dell’avvenuta estensione del vincolo;
– violazione di legge per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Il Tribunale del riesame non avrebbe provveduto a decidere in ordine alla
proposta – avanzata dal Cascini in sede di udienza – di prestazione di cauzione ai
sensi dell’art. 85 disp. att. cod. proc. pen., rinviando genericamente al prosieguo
del procedimento (e ad una successiva istanza che i ricorrente dovrebbe
presentare, non è dato sapere a quale autorità); tale mancata pronuncia
costituirebbe violazione di legge;
– violazione del divieto di bis in idem. Il ricorrente sarebbe indagato, in
ordine alle medesime condotte, anche in altro procedimento (n. 6566/2013), per
il quale sarebbe stata già fissata la prima udienza dibattimentale; al riguardo oltre a segnalare l’anomalia per cui il pubblico ministero di questo diverso
procedimento non avrebbe mai richiesto misure cautelari di sorta – si invoca
l’art. 649 cod. proc. pen., in forza del quale il secondo procedimento (n.
6567/2014), che ha generato i vincoli reali, non avrebbe mai potuto esser
iniziato;
– violazione degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen. per difetto del requisito
dell’urgenza. Alla luce di quanto appena riportato, e considerato che sarebbero
trascorsi oltre sei mesi dall’acquisizione della notizia di reato prima che il

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società ed al ricorrente, avrebbe indebitamente esteso la misura anche agli

pubblico ministero intraprendesse l’iniziativa in oggetto, mancherebbe il
necessario periculum. Il ricorrente, a conoscenza sin dal 2013 dell’altro (ma
identico) procedimento, peraltro, non avrebbe mai posto in essere manovre
distrattive del patrimonio, ma anzi avrebbe anche accettato la donazione di un
immobile di provenienza genitoriale poi oggetto del sequestro qui impugnato;
– violazione di legge per intangibilità del bene sottoposto a vincolo. Il
Tribunale avrebbe confermato la misura pur a fronte di ipotesi di reato relative
ad una cooperativa con prevalente funzione sociale, soggetto strutturalmente e

vincolo anche al Cascini sarebbe irrazionale (specie in ordine a beni pervenuti a
lui in linea ereditaria), così come la possibilità stessa di imporre la misura per
equivalente quanto ai reati di cui al d. Igs. n. 74 del 2000. La misura, inoltre,
non avrebbe indagato in ordine al tempo del commesso reato, al fine di
individuare un ipotetico intento dissipatorio in capo al Cascini.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato; al riguardo, il quarto motivo deve essere accolto, con
effetto assorbente rispetto agli altri.
La documentazione allegata al gravame evidenzia che la condotta per la
quale è stato disposto il vincolo – violazione dell’art. 10 ter, d. Igs. n. 74 del

2000, per aver, nella qualità di legale rappresentante della Ducale società
cooperativa, omesso di versare entro il termine di legge (27/12/2012) l’i.v.a.
relativa all’anno di imposta 2011, per l’importo di 690.482 euro – è contestata al
Cascini non solo nel presente procedimento (R.g. 6567/2014), ma anche in altro
(R.g. 6566/2013), istruito dalla medesima Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Modena e giunto ormai alla fase dibattimentale; ed invero, agli atti
vi è il decreto di citazione a giudizio a data 29/3/2014, con prima udienza fissata
per il 29/9/2015.
Vi è stata, pertanto, una duplicazione di procedimenti per il medesimo fatto,
a distanza di circa un anno l’uno dall’altro; duplicazione non consentita, poiché in
contrasto con il principio del divieto di

bis in idem, come interpretato dal

Supremo Consesso di questa Corte con la nota sentenza n. 34655 del
28/6/2005. Nell’occasione, infatti, è stato affermato il principio di diritto per cui
non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una
persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado
diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del
pubblico ministero, di talché nel procedimento eventualmente duplicato
dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata,

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finanziariamente diverso da una società di capitali; l’automatica estensione del

dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non
procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del
potere già esercitato dal pubblico ministero, e riguarda solo le situazioni di
litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente
competenti.
Esattamente come nel caso di specie.
In particolare, le Sezioni unite hanno affermato che

«la figura della

preclusione-consumazione offre la chiave per risolvere la questione relativa

fasi o in gradi diversi, di procedimenti dinanzi ad uffici della stessa
sede giudiziaria. Insuperabili esigenze di ordine logico e sistematico impongono
di ritenere che lo stesso ufficio del pubblico ministero che ha esercitato razione
penale in relazione ad una determinata imputazione non possa successivamente
promuovere un nuovo processo contro la stessa persona per il medesimo fatto,
per la semplice ragione che, restando immutati i termini oggettivi e soggettivi
della regiudicanda, è definitivamente consunto il potere di azione di cui
quell’ufficio è titolare. Di talché, sussistendo tali condizioni, il vincolo di legalità
insito nel carattere di obbligatorietà ex art. 112 della Costituzione rende razione
penale non solo irretrattabile, ma anche non reiterabile, se non nei casi previsti
dalla legge, ad opera del medesimo ufficio della pubblica accusa. Il principio,
espresso dal tradizionale brocardo “bis de eadem re ne sit actio”, rappresenta il
corollario dei connotati di razionalità e di ordine del processo alla cui tutela è
preordinata l’indicata preclusione-consumazione, chiaro essendo che un sistema
processuale che lasciasse alla discrezionalità dello stesso organo della pubblica
accusa la possibilità di reiterare l’esercizio dell’azione penale contro la stessa
persona per il medesimo fatto si muoverebbe lungo linee assolutamente
contraddittorie e dissonanti, asimmetriche rispetto al principio di legalità e non
compatibili con i caratteri salienti del “giusto processo” prefigurato dall’art. 111
della Costituzione. Questo difatti, nella sua impronta tipicamente accusatoria,
richiede non solo la rispondenza alle regole della ragionevole durata del processo
e della parità delle parti, ma sottende altresì, in armonia con le principali fonti
normative internazionali sopra richiamate, il diritto dell’imputato a non essere
perseguito più di una volta per l’identico fatto. È evidente, inoltre, che un
sistema che non riconoscesse al divieto del bis in idem il carattere di principio
generale dell’ordinamento potrebbe dischiudere la via a prassi anomale ed a
condotte qualificabili come vero e proprio “abuso del processo”, perché
idonee a vulnerare la regola dell’immediatezza e della concentrazione della
formazione della prova in contraddittorio, rendendo possibile un uso strumentale
del potere di azione per finalità inconciliabili con la legalità e l’ordine processuali.

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all’applicabilità della regola del ne bis in idem alle situazioni di litispendenza, in

La preclusione conseguente alla consumazione del potere di azione non può non
determinare la dichiarazione di impromovibilità dell’azione penale, quale epilogo
necessitato del secondo processo, restando, così, confermata l’enunciazione del
principio per cui le condizioni di procedibilità non si esauriscono in quelle
espressamente enumerate nel titolo 3^ del libro 5^ del codice di procedura
penale (Corte cost, n. 318 del 2001, cit.). Di talché al secondo giudice non resta
che pronunciare sentenza di non doversi procedere a norma dell’art. 529 o di
non luogo a procedere ex art 425, ovvero, qualora l’azione penale non sia stata

dovendo sottolinearsi, a quest’ultimo riguardo, che risulterebbe certamente
irrazionale imporre al pubblico ministero l’esercizio del potere di azione al solo
fine di instaurare un processo che dovrà necessariamente concludersi con la
decisione che l’imputato non avrebbe dovuto essere sottoposto a nuovo
procedimento penale».
Una misura – quella di cui al presente ricorso – disposta quindi in un
procedimento la cui azione penale non potrà mai essere promossa.
Ne consegue che deve essere annullata senza rinvio l’ordinanza impugnata,
nonché – “a monte” – il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. di
Modena il 4-5/3/2015, con restituzione di quanto sottoposto a vincolo all’avente
diritto

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’impugnata ordinanza nonché il decreto di sequestro
preventivo in data 4 marzo 2015 del G.i.p. del Tribunale di Modena ed ordina la
restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.
Visto l’art. 626 cod. proc. pen., manda alla Cancelleria per i provvedimenti
di sua competenza.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2015

nsigliere estensore

Il Presidente

ancora esercitata, decreto di archiviazione per impromovibilità detrazione stessa,

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