Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4579 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4579 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
IAIA GIUSEPPE N. IL 28/10/1970
avverso la sentenza n. 2059/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
17/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 16/12/2014

R.G. 9872/2014

Considerato che:
Iaia Giuseppe ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce
del 17/10/2013, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi
sez. dist. di Francavilla Fontana del 17/11/2012, riduceva la pena inflitta ad anni
uno e mesi otto di reclusione ed € 600,00 di multa per il reato di cui all’art. 648
cod. pen., chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b)

nonché la violazione di legge con riferimento alla dichiarata responsabilità
dell’imputato per il reato ascritto ed alla ritenuta insussistenza dell’ipotesi
attenuata di cui all’art. 648 cpv. cod. pen.
Il ricorso è inammissibile, perché fondato su motivi manifestamente
infondati. Quanto alla prima doglianza viene prospettata una valutazione delle
prove diversa e più favorevole al ricorrente rispetto a quella accolta nella
sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di appello. In sostanza si
ripropongono questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito
preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da
vizi logici; viceversa dalla lettura della sentenza della Corte territoriale non
emergono, nella valutazione delle prove, evidenti illogicità, risultando, invece,
l’esistenza di un logico apparato argomentativo sulla base del quale si è
pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado con riferimento alla
responsabilità dell’imputato in ordine al fatto ascrittogli. Tutto ciò preclude
qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di legittimità ((Sez. U n. 12 del
31/5/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv.
226074). Segnatamente la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di
primo grado in punto di responsabilità, si è adeguata al costante orientamento
della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del
delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita
del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza
si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di
modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove
indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura
intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza
illecita di quanto ricevuto. Del resto questa Corte ha più volte affermato che la
conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi
elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che
dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero
dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa

ed e) cod. proc. pen.; deduce la mancanza manifesta illogicità della motivazione

ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento *,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del
11/6/2008, Nardino, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv.
248265). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine
alla legittima acquisizione del titolo risultato rubato si pone come coerente e
necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha
recentemente affermato (Sez.U. n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324;
sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, Screti, Rv. 247718) l’elemento psicologico della

presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità
della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio,
non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in
un mero sospetto.
Le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano, poi, viziate da
illogicità manifesta e forniscono esaustiva motivazione in ordine al diniego
dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art.648 cod. pen. di cui al secondo
motivo proposto, facendosi correttamente riferimento ad una valutazione
complessiva del fatto reato effettuata attraverso un contestuale apprezzamento
di tutti quegli elementi che rientrano nella fattispecie delittuosa, quali l’importo
dell’assegno e la personalità dell’imputato già gravato da precedenti penali
specifici.
La pronuncia di inammissibilità del ricorso comporta, per il disposto
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativarnente in C 1000,00.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso

e

• II

e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1000,00 in
favore della Cassa delle ammende.

Roma, 16 dicembre 2014

ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in

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