Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45737 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 45737 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MANOJLOVIC Velimir, n. Zagabria (HRA) 6.7.1977
avverso la sentenza n. 78/15 della Corte d’Appello di Milano del 07/10/2015

esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere, dott. Orlando Villoni;
sentito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G., d.ssa P. Filippi, che ha concluso
per il rigetto

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano ha disposto la consegna di Manojlovic Velimir all’autorità giudiziaria della Croazia in forza di mandato d’arresto europeo emesso
il 15/09/2014 dal Tribunale Conteale di Zagabria per l’esecuzione della sentenza n. K-213/09
1

Data Udienza: 13/11/2015

del 17/12/2009 emessa dallo stesso Tribunale, divenuta irrevocabile il 20/10/2010, relativa a
condanna del medesimo alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione per il reato di rapina
aggravata, commesso in Zagabria il 9 marzo 2009.
Dato atto della sussistenza delle condizioni previste dall’art. 6 I. n. 69 del 2005, della rilevanza della pena inflitta ai fini della consegna nonché della completezza delle informazioni e
della documentazione trasmessa dall’autorità richiedente, la Corte ha, infine, escluso la
ricorrenza della situazione ostativa di cui all’art. 18, comma 1 lett. r) I. n. 69 del 2005.
In particolare, sono state respinte le allegazioni difensive circa la sussistenza di uno stabile
radicamento del Manojlovic sul territorio nazionale, rilevando l’intervenuta produzione di una

sedicente Onlus attestante l’assolvimento di un programma di recupero dalla tossicodipendenza; permesso di soggiorno del padre scaduto da dodici anni; dichiarazione di ospitalità da
parte di cittadina italiana risalente al 2011).
La Corte milanese ha, inoltre, respinto la richiesta di negare la consegna fondata sull’allegata circostanza che il Manojlovic è di etnia serba e come tale potenzialmente soggetto a
trattamenti e/o a torture rilevanti ai sensi dell’art. 18 lett. h) della stessa I. n. 69 del 2005, a
sostegno della quale è stato prodotto il rapporto di un’organizzazione internazionale non governativa da cui si desume la sussistenza di difficoltà di rientro in Croazia dei cittadini serbi a
seguito della loro forzata espulsione dopo la guerra degli anni 1991 – 1995, ma non anche di
situazioni rilevanti ai predetti fini.
La Corte territoriale ha, infine, giudicato tardiva la richiesta di negare la consegna a motivo
dell’iniziale erronea attivazione della procedura di estradizione in luogo di quella conseguente a
ricezione del mandato di arresto europeo.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Manojlovic, con atto sottoscritto dal proprio
difensore, deducendo in primis violazione di legge in relazione agli artt. 143, 178 lett. c), 179
cod. proc. pen. in combinato disposto con l’art. 17, comma 1 I. n. 69 del 2005.
Il ricorrente ricorda di essere stato arrestato in esecuzione del MAE emesso dall’autorità
giudiziaria croata e condotto in udienza il giorno 19 agosto 2015 per l’identificazione e per
l’eventuale consenso all’estradizione, in quell’occasione venendo debitamente assistito da un
interprete; successivamente in data 7 ottobre 2015, si è svolta l’udienza per la decisione sulla
consegna richiesta con il MAE, ma in tale occasione non era presente alcun interprete, né gli è
stata fatta presente la possibilità di richiedere una traduzione scritta della decisione o gli

è

stato richiesto di rinunciare a tale diritto.
Deduce, inoltre, violazione e falsa applicazione dell’art. 18 lett. r) I. n. 69 del 2005,
allegando che, contrariamente a quanto riportato in sentenza, all’udienza del 7 ottobre 2015
aveva prodotto una tessera sanitaria e un codice fiscale a proprio nome, aveva documentato
l’avvenuto decesso della madre in Croazia e ricostruito il periodo intercorso tra la commissione
del reato e l’insediamento in territorio italiano, dettato dalla volontà di ricongiungersi al padre,
da tempo stabilitosi in Italia perché coniugato con una donna italiana.
2

documentazione del tutto insufficiente allo scopo (dichiarazione priva di data resa da una

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Con la prima doglianza, il ricorrente eccepisce nullità assoluta per violazione dell’art. 143

va 2010/64/UE del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, dovuta all’omessa assistenza da parte di un interprete all’udienza del 7 ottobre
2015, a differenza di quanto accaduto in quella del 19 agosto 2015 relativa alla procedura di
estradizione erroneamente attivata.
La doglianza è infondata per un duplice ordine di ragioni.
Il primo attiene alla sua genericità, dal momento che avendo il Manojlovic partecipato alla
procedura per la consegna con l’assistenza di un difensore ed avendo esperito il mezzo d’impugnazione previsto avverso la sentenza della corte d’appello ad essa favorevole, non indica quali
elementi ulteriori, ricavabili dalla lettura della decisione in lingua a lui conosciuta, avrebbe
potuto dedurre mediante un ricorso presentato personalmente rispetto a quelli contenuti
nell’atto impugnazione sottoscritto dal difensore di fiducia.
Il secondo motivo d’impugnazione attiene, invece, all’intempestività della censura, atteso
che il vizio eccepito non è riconducibile al novero di quelli di cui agli artt. 178, lett. c) e 179
cod. proc. pen., configurandosi, pertanto, come nullità di ordine generale a regime intermedio
(art. 180 cod. proc. pen.), che deve essere dedotta, quando la parte vi assiste, prima del suo
compimento o se ciò non è possibile, immediatamente dopo ai sensi dell’art. 182, comma 2
cod. proc. pen. (conformi sul punto Sez.1, sent. n. 21669 dell’11/03/2009, Ciucan, Rv.
243790; Sez. 1, sent. n. 2228 del 10/04/1995, Polisi, Rv. 201461 nonché Sez. 3, sent. n.
30891 del 24/06/205, H., Rv. 264330 riferita alla perdurante validità del principio anche dopo
l’attuazione nell’ordinamento italiano della Direttiva 2010/64/UE).
Dal verbale dell’udienza del 7 ottobre 2015 emerge, infatti, che né il ricorrente presente né il
suo difensore hanno eccepito alcunché alla celebrazione dell’udienza in assenza di interprete di
lingua serbo – croata, conseguendone pertanto la decadenza dalla possibilità di eccepirla successivamente e quindi anche mediante ricorso per cassazione.

3. Risulta infondato anche l’altro motivo di ricorso.
Appare, infatti, corretta la valutazione operata dalla Corte d’appello territoriale che, sulla
base della documentazione prodotta e indicata in sentenza, ha tratto argomenti per escludere
la sussistenza di una situazione di stabile radicamento del ricorrente nel territorio nazionale.

3

cod. proc. pen., come modificato dal d. Igs. n. 32 del 4 marzo 2014 in attuazione della Diretti-

Né a diverso esito è possibile pervenire valorizzando il dedotto possesso di una tessera sanitaria e di un codice fiscale a nome del ricorrente, che la Corte territoriale segnala come neppure prodotti in copia.
Allegato al verbale si rinviene, infatti, un documento consistente in un foglio recante quello
che sembra un codice alfanumerico di identificazione dante diritto a prestazioni sanitarie, ma
anche a volerne ammettere la rilevanza, il suo possesso appare al più compatibile con una presenza del ricorrente sul territorio nazionale di una qualche durata ma è ben lungi dal poter
assurgere a prova di uno stabile radicamento.
Si rammenta, infatti che secondo al giurisprudenza di questa Corte di Cassazione neppure il

dimostrazione della sussistenza della condizione ostativa di cui all’art. 18 lett. r) I. n. 69 del
2005 come interpretato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 227 del 2010 (ex pluríbus
v. Sez. 6, sent. n. 20553 del 27/05/2010, Cocu, Rv. 247101; Sez. 6, sent. n. 10042 del
09/03/2010, P.G. in proc. Matei, Rv. 246507),.
Nel caso in esame, oltretutto, non solo difetta tale circostanza, ma anche qualsivoglia
allegazione riferita all’espletamento di una stabile attività lavorativa, talché le altre situazioni
soggettive dedotte (disponibilità di un alloggio, presenza di un congiunto) denotano semmai
l’intenzione del ricorrente di stabilirsi in Italia per l’avvenire, ma nulla di decisivo dimostrano
quanto all’attuale sussistenza di quel ‘radicamento reale e non estemporaneo dello straniero
nello Stato’, che configura la situazione di fatto integrante il dedotto motivo di rifiuto alla
consegna.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q . M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5 I. n. 69 del 2005.

Il Presidente
Giovanni Conti

dato di una residenza anagrafica in Italia costituisce circostanza di per sé sufficiente a fornire

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