Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45716 del 06/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 45716 Anno 2015
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
• GUARDA Giuliana, nata a Desio (Mi) il giorno 02/05/1966
avverso la sentenza n. 7173 in data 19.11.2013 della Corte di Appello di Milano
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Giovanni Diotallevi
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario Maria Stefano Pinelli, che ha concluso chiedendo la declaratoria
d’inammissibilità dei ricorsi;
udito il difensore dell’imputata Avv. Raffaella Scutieri del foro di Roma, in
sostituzione dell’avv. Ambrosio Rodolfo del foro di Cosenza, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11.11.2013 la Corte di Appello di Milano confermava la
sentenza emessa il 15.03.2013 a seguito di giudizio abbreviato dal giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza di condanna di Guarda Giuliana previo riconoscimento di circostanze attenuanti equivalenti alla aggravanti ed
alla contestata recidiva – alla pena di due anni di reclusione ed euro 2.000 di
multa perchè dichiarata responsabile del reato di cui agli artt. 110 e 628, primo
comma cod. pen. (l’imputata era accusata di essersi impossessata di merce
sottratta dai banchi dell’esercizio commerciale MEC in Cesano Moderno, in
concorso con due complici rimasti ignoti – due donne – che avevano oltrepassato

Data Udienza: 06/11/2015

le casse facendo azionare i dispositivi antitaccheggio e che avevano tentato la
fuga a bordo di una vettura dove l’imputata stessa le attendeva al posto di
guida; quest’ultima, utilizzando il veicolo, aveva adoperato minacce e violenza
nei confronti della responsabile dell’esercizio, Nadia Marini Idri, che tentava di
bloccare l’auto, effettuando manovre pericolose e puntando il mezzo verso la Idri
nel tentativo di investirla) .

2. La corte territoriale richiamava integralmente la ricostruzione in fatto ed in

a carico dell’imputata, evidenziando che i fatti risultavano provati dalla denuncia
della parte offesa, che aveva consentito l’identificazione della Guarda attraverso
un riconoscimento fotografico e l’annotazione del numero di targa dell’auto,
risultata di sua proprietà.

3. Avverso la predetta sentenza Guarda Giuliana ha proposto ricorso per
Cassazione, con un unico motivo deducendo la carenza di motivazione ai sensi
delle lettere b) ed e) dell’art.606, primo comma cod. proc. pen. Ha lamentato al
riguardo la mancata applicazione dell’art.192 cod. proc. pen. per non avere la
corte di appello dato conto nella motivazione dei risultati acquisiti sotto il profilo
probatorio e dei criteri adottati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Con unico motivo – proposto ai sensi delle lettera b) ed e) dell’art.606 cod.
proc. pen. – la ricorrente lamenta la carenza della motivazione, sostenendo che
la corte territoriale avrebbe acriticamente recepito le argomentazioni del primo
giudice senza dare adeguata risposta ai motivi di appello ed effettuare una
valutazione adeguata delle prove acquisite.

2.1
In tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606 cod. proc. pen.,
comma 1, lett. e), si deve ribadire che, nell’apprezzamento delle fonti di prova, il
compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria valutazione a
quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi ultimi: a)

2

diritto della fattispecie effettuata dal primo giudice ed il giudizio di responsabilità

abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; b) abbiano fornito una
corretta interpretazione di essi; c) abbiano dato esaustiva e convincente risposta
alle deduzioni delle parti; d) abbiano esattamente applicato le regole della logica
nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di
determinate conclusioni a preferenza di altre (v. Cass. Sez. U, sent. n. 930 del
13/12/1995; Sez. 1, sent. n. 1507 del 17/12/1998, dep. 05/02/1999, Rv.
212278; Sez. 6, sent. n. 863 del 10/03/1999, Rv. 212997).
Ciò premesso il giudizio di legittimità riguarda la verifica dell'”iter” argomentativo

adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione
(Cass. Sez. 6, 14.4.1998 n. 1354);
— offf

può costituire motivo di ricorso sotto il profilo della contraddittorietà della

motivazione l’illogico riferimento a dati probatori acquisiti, là dove la
contraddittorietà faccia crollare in radice il ragionamento dei giudici di merito;
anche per la mancanza al riferimento a regole di esperienza che mel caso in
esame dovevano essere applicate.
Passando al più specifico tema del “vizio di manifesta illogicità” della
motivazione, va osservato che il controllo di legittimità viene esercitato sul fronte
della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa
il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, con la dimostrazione che
il testo del provvedimento impugnato è manifestamente carente di motivazione
e/o di logica, previa verifica se la giustificazione dedotta sia compatibile con il
senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass.
Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999, dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Sez. 4,
sent. n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Rv. 229369).
Nel caso di specie , peraltro, la contraddittorietà “genetica” della motivazione
della sentenza di primo grado è stata fatta propria dai giudici d’appello, dando
per acquisite conclusioni che in realtà non posseggono quel grado di auto
evidenza probatorio che è stato loro riconosciuto.
2.2 Ciò premesso deve innanzitutto evidenziarsi che le censure della ricorrente
costituiscono:
– una censura che lamenta l’erronea valutazione dei motivi di appello con i quali
si criticava la valutazione delle prove da parte del tribunale;
– una versione alternativa dei fatti supportata dalla mancata individuazione da
parte delle telecamere delle persone che avrebbero commesso il furto e dalla
mancata individuazione della merce sottratta.

3

di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto

Punti centrali della vicenda -evidenziati dai giudici di merito – sono costituiti
infatti: a) dalla denuncia della parte offesa che ha ricostruito le fasi della rapina,
riconoscendo nell’imputata la persona che, alla guida dell’auto ed al fine di
assicurarsi la fuga, <51:u dopo aver preso a bordo i complici, poneva in essere manovre pericolose (veicolo è risultato essere intestato alla stessa Guarda come da verifiche effettuate sulla base del numero di targa rilevato dalla Idri); b) dalle dichiarazioni delle persone presenti che hanno riferito, in particolare, che quando le complici, rimaste ignote, passarono dalle casse, entrò in azione il sistema A fronte di tali elementi di fatto - in sé non contestati, non dubitandosi neanche dell'attendibilità della parte offesa - le argomentazioni della ricorrente, riproposte anche in questa sede si sono rivelate , a parere della Corte, idonee a ritenere che la responsabilità della ricorrente non sia stata dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio. Era infatti rilevante - al contrario del giudizio espresso dalla corte milanese e ancor prima dal tribunale - acquisire ulteriori prove circa l'impossessamento della merce da parte delle tre complici (già in sede dì merito la difesa aveva sostenuto "l'insussistenza della prova del commesso furto, la mancanza di prova dell'ascrivibilità del fatto all'imputata, la inverosimiglianza di questa condotta soprattutto in relazione alla dinamica della fuga"). La mancata individuazione della merce sottratta, sebbene si trattasse di prodotti inventariati, diversamente da quanto hanno ritenuto i giudici di merito, poteva portare a ritenere l'insussistenza del furto consumato, e ciò anche sulla base dei criteri di valutazione adottati per l'allarme scattato con le barriere antitaccheggio, che si azionarono al passaggio delle due donne durante la loro precipitosa fuga, prima di entrare nell'auto dove vi era alla guida la ricorrente. La mancata individuazione della merce asseritamente sottratta, infatti, non può portare a ritenere il furto come consumato, al di là di ogni ragionevole dubbio, con riferimento all'allarme azionato dalle barriere antitaccheggio. E' notorio , infatti, come non sia assolutamente raro che le barriere antitaccheggio azionino il loro segnale acustico, pur in assenza di prodotti rubati e di merce priva ormai del dispositivo antitaccheggio. Nè appare condivisibile l'affermazione che il periodo natalizio, durante il quale il presunto furto sarebbe stato commesso, giustificherebbe l'impossibilità di accertare specificatamente quale merce fosse stata sottratta. Da un lato non viene indicata infatti neppure la tipologia della merce venduta nel supermercato e d'altra parte la circostanza che le telecamere installate all'interno non ripresero il furto è un ulteriore importante elemento che 4 antitaccheggio. costituisce aggiuntivo indizio concreto e grave idoneo ad incrinare dalle fondamenta il ragionamento del giudice di merito, che, a questo punto, a parere della Corte, risulta basato su una ricostruzione dei fatti in realtà meramente congetturale e personalistica, neppure superata dalla considerazione del comportamento delle donne che scapparono precipitosamente dal supermercato; proprio perché consapevoli di trovarsi in compagnia della Guarda, che si era resa responsabile di un furto in precedenza ai danni dello stesso esercizio,e pur ammettendo l'idea di un progetto delittuoso, che però è abortito sul nascere, e della desistenza,appare logico ritenere che le stesse abbiano poi assunto un comportamento dettato piuttosto dalla paura e dal timore di essere incolpate di un fatto in realtà non commesso. E, a parere della Corte, non è irrilevante nella valutazione complessiva dei dati fattuali, la considerazione del tempo trascorso fra la rapina e la denuncia (dieci giorni), elementi non secondari e trascurabili nell'esame del quadro probatorio, proprio perché testimoniano della profonda incertezza sulla reale valutazione del fatto da parte delle stesse parti offese. In definitiva, la motivazione contenuta nella sentenza impugnata appare inadeguata, e non coerente sotto il profilo logico giuridico, tanto da non consentire l'affermazione di una pronuncia di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio. 3. Per le considerazioni ora esposte, dunque, il ricorso appare fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso in Roma il giorno 3 novembre 2016 che non ha comunque in base agli elementi di fatto acquisiti, travalicato i limiti

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