Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4568 del 29/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4568 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
XU MENGWEI N. IL 03/08/1966
avverso la sentenza n. 32/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
12/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZE!;

Data Udienza: 29/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 12 luglio 2012 la Corte di appello di Lecce ha
confermato la sentenza del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano,
emessa il 9 giugno 2011, con la quale Xu Mengwei, cittadino cinese, era stato
condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed euro cinquemila di multa per
il reato previsto dall’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, perché, al fine di

permanenza nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione, di una cittadina cinese che lavorava alle sue
dipendenze, inizialmente indicata come sorella dell’imputato, Xu Mengyue,
munita di regolare permesso di soggiorno, ma in realtà persona diversa rimasta
non identificata; fatto accertato in Casarano, il 26 febbraio 2005.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Xu
tramite il difensore di fiducia, il quale denuncia il vizio di motivazione nel triplice
profilo previsto dall’art. 616, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., poiché i giudici
di merito non avrebbero individuato l’ingiusto profitto addebitato all’imputato ed
essenziale per l’integrazione del fatto delittuoso contestato, non essendo
sufficiente a tal fine la mera assunzione al lavoro di immigrati clandestini, la
quale integrerebbe la più lieve contravvenzione prevista dall’art. 22, comma 12,
d.lgs. n. 286 del 1998.
La Corte di merito, inoltre, sarebbe incorsa in altro errore motivazionale per
non aver qualificato il fatto accertato come reato tentato, poiché la condotta
dell’imputato fu interrotta dal controllo di polizia.
Ulteriore vizio motivazionale sarebbe attinente al trattamento sanzionatorio
per la mancata applicazione della pena nel minimo edittale e l’omessa
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Esso ripropone, innanzitutto, la censura già sollevata con l’atto di appello
senza confutare la puntuale risposta ad essa data dalla Corte di appello, donde
la genericità del motivo in punto di omessa motivazione del fine di trarre un
ingiusto profitto integrante il delitto contestato.
La Corte territoriale, invero, ha esaurientemente spiegato che le condizioni di
vita e di lavoro della cittadina cinese clandestinamente presente in territorio
italiano, come quelle degli altri ventuno lavoratori alle dipendenze dell’imputato,

trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, favoriva la

erano estremamente degradate dal punto di vista igienico-sanitario e, come tali,
esulavano da un normale rapporto sinallagmatico di prestazione d’opera
(l’opificio constava, infatti, di due parti: una superiore adibita a dormitorio
composta da 9 stanze, separate da tramezzature precarie, con 25 posti letto e
soli due servizi igienici sprovvisti di doccia, con impianto di riscaldamento non
funzionante; e una parte inferiore, adibita alla lavorazione, con servizi igienici
del tutto precari e muri che presentavano segni evidenti di umidità, oltre ai locali

conservazione).
Del tutto generica è anche la denuncia di negata qualificazione del reato
contestato in termini di tentativo.
Non consentita, infine, nel giudizio di legittimità deve ritenersi la critica del
trattamento sanzionatorio fondata su apprezzamenti di puro merito, mentre la
Corte di appello ha puntualmente spiegato che i precedenti penali dell’imputato
e la natura stessa del reato, intimamente connesso allo svolgimento di
un’attività imprenditoriale fondata sullo sfruttamento di risorse ottenute da
persone ridotte in condizioni di inferiorità, escludevano sia l’applicazione di una
pena contenuta nei minimi edittali, sia la prognosi favorevole postulata dal
beneficio della sospensione condizionale della pena coerentemente negato.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità, che preclude la rilevanza della
prescrizione del reato compiutasi solo dopo la pronuncia della sentenza
impugnata (conforme: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, De
Luca, Rv. 217266), consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza
di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), anche la condanna al
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che
pare congruo determinare, tra il minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 29 ottobre 2013.

refettorio e cucina nei quali erano presenti alimenti in cattivo stato di

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