Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45642 del 27/10/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 45642 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• UNICREDIT S.p.a., con sede legale in Roma, via Alessandro Specchi 16;
avverso l’ordinanza n. 500063/2015 (alla quale sono stati riuniti i procedimenti
500064 e 500065) in data 21/4/2015 del Tribunale di Torino in funzione di
giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Antonio GIALANELLA, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso ed il
conseguente annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata in relazione al
primo ed al secondo motivo di ricorso;
udito il difensore della ricorrente, Avv. Nicola APA, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 21/4/2015, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di
Torino nell’ambito di procedimento penale iscritto nei confronti di legali
rappresentanti a vario titolo di UNICREDIT S.p.a. per i reati di usura aggravata ai
danni delle società G.D. S.r.l., Nodotto S.r.l. e B.B. s.a.s di BESSON Giuliano ha
confermato i decreti di sequestro preventivo emessi nei confronti di UNICREDIT
dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino in data

Data Udienza: 27/10/2015

21/2/2015 (per la somma di C 27.200), in data 26/2/2015 (per la somma di C
729,43) ed in data 20/2/2015 (per la somma di C 47.402,70), mentre ha
annullato il menzionato decreto di sequestro preventivo del 20/2/2015
limitatamente alla somma di C 37.777,88 della quale ha disposto la restituzione
all’avente diritto.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore di UNICREDIT
S.p.a., deducendo:

in relazione all’art. 606, lett. b), cod. proc. pen.
Contesta, innanzitutto, la difesa di parte ricorrente il fatto – sostenuto dal
Tribunale del riesame – che il profitto del reato di usura sottoponibile a confisca
ex art. 644, ultimo comma, cod. pen. possa essere individuato anche in una
diminuzione dell’esposizione debitoria e ciò perché il creditore che si limita a
ridurre il proprio credito senza, quindi, aver ricevuto l’intero capitale dato a
prestito e gli interessi maturati sullo stesso non conseguirebbe un effettivo
arricchimento patrimoniale.
In sostanza secondo la tesi difensiva la confisca prevista dalla norma citata – e
prima ancora il sequestro alla stessa finalizzato – potrebbero essere disposti solo
nel caso in cui il debitore abbia effettivamente rimborsato il capitale erogatogli e
corrisposto sia gli interessi legittimi che quelli oltre soglia.
Decidendo diversamente rispetto ai rilievi di cui sopra il Tribunale sarebbe quindi
incorso in una violazione di legge.
2. Inesistenza o mera apparenza della motivazione ex art. 606, lett. c), cod.
proc. pen. in relazione all’art. 125 comma 3, cod. proc. pen.
Si duole, al riguardo, parte ricorrente del fatto che il Tribunale non si sarebbe
attenuto allo stringente onere motivazionale che gli competeva. In particolare:
a)

per alcuni conti correnti su cui sarebbero stati applicati interessi usurari

l’ordinanza non ha indicato se via siano stati dei rimborsi;
b) in altri casi il Tribunale non avrebbe quantificato detti rimborsi;
c) il Tribunale avrebbe lasciato intendere che i rimborsi idonei a pagare il profitto
del reato possano essere anche quelli precedenti ai trimestri nei quali sarebbero
stati applicati interessi usurari ma non avrebbe poi spiegato quale sarebbe il
collegamento sinallagnnatico degli stessi con il profitto del reato;
d)

il Tribunale non avrebbe spiegato nella motivazione del provvedimento

impugnato perché ha ritenuto che la riduzione dell’esposizione debitoria idonea a

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1. Inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 644, ultimo comma, cod. pen.

far conseguire il profitto del reato sia anche quella relativa a rapporti di credito
diversi da quelli sui quali sarebbero stati applicati gli interessi usurari.
3. Inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 644, ultimo comma, cod. pen.
in relazione agli artt. 606, lett. b), e 321, comma 2, ex art. 606, lett. c), cod.
proc. pen.
Si duole parte ricorrente del fatto che il Tribunale ha ritenuto che la valutazione
sui diritti della persona offesa ex art. 644, ultimo comma, cod. pen. (prevalenti

19 e 53 del D.L.vo 231/2001) deve essere rinviata alla successiva fase
dibattimentale con l’ulteriore conseguenza che non vi sarebbe stata una
violazione del principio di adeguatezza e proporzionalità tra quanto sequestrato e
quanto confiscabile, così incorrendo anche in questo caso in una violazione di
legge atteso che, secondo costante giurisprudenza in materia, il sequestro deve
essere proporzionato alla successiva eventuale misura di confisca.
Sarebbe, infine, errato, quanto osservato dal Tribunale circa il fatto che il
sequestro sia giustificato dal timore di una dispersione o sottrazione del denaro
posto sotto il vincolo atteso che i sequestri de quibus non sovraintendono ad
esigenze di natura conservativa.
Il Pubblico Ministero di Torino con memoria in data 21/7/2015 ha illustrato le
ragioni della asserita correttezza della decisione del Tribunale del riesame e della
conseguente infondatezza delle doglianze difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Trattasi di questione già posta in sede di gravame ed alla quale il Tribunale del
riesame ha dato una risposta sì corretta in punto di diritto e di risultato ma che
necessita di ulteriori precisazioni.
Ritiene, innanzitutto, il Collegio che corretta sia l’osservazione del Tribunale (che
in questo caso ha mostrato di condividere il rilievo della difesa) che sebbene il
reato di usura possa ritenersi consumato anche con la sola pattuizione degli
interessi oltre soglia, purtuttavia, per integrarsi il “profitto” è necessario il
conseguimento di un profitto patrimoniale da parte dell’autore del fatto.
In tal senso corretto è il richiamo all’assunto di questa Corte Suprema, condiviso
anche dall’odierno Collegio, secondo il quale “in tema di usura, il profitto
confiscabile ai sensi dell’art. 644, ultimo comma, cod. pen., identificandosi
secondo la generale nozione di profitto del reato nell’effettivo arricchimento
patrimoniale già conseguito, ed in rapporto di immediata e diretta derivazione

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rispetto alla confisca rispetto a quanto previsto dal combinato disposto degli artt.

causale dalla condotta illecita concretamente contestata, coincide con gli
interessi usurari concretamente corrisposti …” (Cass. Sez. 6, sent. n. 45090 del
02/10/2014, dep. 30/10/2014, Rv. 260665).
Tuttavia il principio appena citato deve essere completato con quanto emerge
dalla menzionata sentenza e riassunto nella relativa massima secondo la quale
nel concetto di “interessi usurari concretamente corrisposti” debbono essere
intesi anche quelli “eventualmente (corrisposti – ndr.) anche mediante la

stati utilizzati o riscossi, posto che tali documenti, per la loro autonomia rispetto
ai diritti incorporati, possono essere comunque oggetto di misura ablatoria”.
Ora, trasponendo tale principio nei rapporti banca-correntista e partendo dalla
corretta osservazione del Tribunale allorquando ha sottolineato che la banca è in
condizione di apprendere le somme che confluiscono sul conto corrente che
andranno così a ridurre il proprio credito – come di fatto è avvenuto con la
apprensione di somme versate dai denuncianti sui conti correnti ed inglobate
dalla banca a fronte del vantato diritto di credito che è così diminuito – è di tutta
evidenza che gli interessi usurari sono stati effettivamente corrisposti così
determinando per la banca stessa il conseguimento di un profitto.
In sostanza, se come è stato evidenziato nella sentenza sopra citata la “concreta
corresponsione” degli interessi può anche consistere nell’emissione di un titolo di
credito a favore del supposto usuraio ed indipendentemente dal fatto che detto
titolo sia stato poi utilizzato o posto all’incasso, tale situazione è del tutto
assimilabile a quella del rapporto tra correntista ed istituto bancario laddove
attraverso la stipulazione del relativo contratto la banca finisce per contabilizzare
a proprio favore la voce passiva degli interessi (nella specie usurari) a carico del
cliente il quale si vede corrispondentemente ridurre il proprio saldo attivo così di
fatto essendo già posto nella condizione di poter disporre esclusivamente del
saldo del proprio conto corrente decurtato degli interessi stessi.
In tale situazione è indubbio che il profitto della banca debba intendersi già
concretamente conseguito per effetto di diretta derivazione causale della
condotta dell’agente e che non ci si trovi in presenza di un credito meramente
“virtuale”.
2. Manifestamente infondato è, invece, il secondo motivo di ricorso.
E’, innanzitutto, appena il caso di ricordare che il controllo di legittimità che
compete alla Corte di cassazione in materia di ricorsi aventi ad oggetto misure
cautelari reali non si estende all’adeguatezza delle linee argonnentative ed alla
congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, potendosi

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consegna di titoli di credito, irrilevante essendo, invece, che questi ultimi siano

esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o
meramente apparente (cfr. anche Cass., Sez. Un., 28/5/2003 n. 12): quando
essa manchi assolutamente o sia, altresì, del tutto priva dei requisiti minimi di
coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile
l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del
provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che
hanno giustificato il provvedimento. Il vizio appare in tal caso qualificabile come

l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
Non è quindi possibile, come vorrebbe fare parte ricorrente, cercare di fare
rientrare ad ogni costo nell’ambito di cui alla lett. c) dell’art. 606 cod. proc. pen.
una doglianza che al più potrebbe essere ricondotta nell’ambito della lett. e) del
medesimo articolo di legge.
Le censure mosse all’impugnato provvedimento, sotto l’apparente deduzione di
vizi attinenti alla violazione di legge, prospettano una richiesta di rivalutazione
del merito di elementi di fatto legati alla ricostruzione della tennpistica e delle
modalità di movimentazione dei conti correnti attenzionati nell’indagine,
rivalutazione peraltro impossibile alla luce della notoria impossibilità per questa
Corte di legittimità di avere diretto accesso agli atti ed inammissibile in questa
sede dove deve essere apprezzata solo la presenza di seri indizi della sussistenza
del fumus e del periculum, dei quali la piena prova è riservata al merito.
Le carenze asseritamente presenti nella motivazione del provvedimento
impugnato (legate peraltro ad argomentazioni che la stessa difesa di parte
ricorrente non ha dimostrato in questa sede di avere proposto al Tribunale del
riesame ed alle quali, quindi, lo stesso era eventualmente tenuto a dare risposta)
non appaiono quindi tali da determinare un vizio dell’ordinanza impugnata.
3. Infondato è, infine, anche il terzo motivo di ricorso.
Anche in questo caso ci si trova in presenza di questione già sollevata innanzi al
Tribunale del riesame ed alla quale è stata data risposta da ritenersi adeguata e
conforme ai principi di diritto che regolano la materia.
Ferma infatti restando la diversità di contenuto letterale tra il disposto dell’art.
19 del D.Ivo 231/2001 che prevede che “Nei confronti dell’ente è sempre
disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del
reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato” (con i
conseguenti riflessi sul relativo provvedimento di sequestro ex art. 53, comma 1.
del D.L.vo 231/2001) e quello di cui all’art. 644, ultimo comma, cod. proc. pen.
che prevede testualmente che “Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai

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inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità,

sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al
presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo
o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la
disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli
interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona
offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”, e fermo restando in
entrambi i casi il principio secondo il quale il perimetro di azione del sequestro

la contestazione sollevata dai ricorrenti sembrerebbe essere legata al fatto che i
Giudici del merito non avrebbero tenuto in adeguato conto della necessità di
tutelare i diritti “restitutori” delle persone offese prevalenti sulle possibilità di
confisca “sanzione” indicati dall’ultimo comma dell’art. 644 cod. pen.
In tale ottica non si vede di cosa abbia a dolersi parte ricorrente in questo
momento processuale in quanto, come ha correttamente sottolineato il
Tribunale, la questione della definitiva determinazione del profitto del reato e di
quanto eventualmente (in tutto od in parte) spettante alle persone offese è
comunque questione che dovrà essere risolta all’esito del giudizio di merito non
essendo, al momento né concreto, né attuale, né azionato tale diritto delle
persone offese, diritto che per ipotesi potrebbe anche non essere mai esercitato.
La questione del “riparto” tra diritti risarcitori delle persone offese e quanto
oggetto di sequestro a fine di confisca da parte dello Stato è questione pertanto
che al momento non incide sulla validità del provvedimento cautelare reale in
esame nel momento in cui l’ammontare delle somme sottoposte a vincolo non
supera il profitto del reato ipotizzato.
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il giorno 27 ottobre 2015.

deve essere parametrato al provvedimento ablativo definitivo, deve rilevarsi che

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