Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4564 del 29/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4564 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CASTALDO GIOVANNI N. IL 03/10/1985
avverso la sentenza n. 3120/2012 TRIBUNALE di SALERNO, del
20/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 29/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 20 dicembre 2012, ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., il Tribunale di Salerno ha applicato a Castaldo Giovanni,
riconosciute le attenuanti generiche in regime di equivalenza alla contestata
recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, la pena di anni uno e
mesi sei di reclusione ed euro 2.500,00 di multa per il delitto di illecita
detenzione di manufatti esplosivi di fabbricazione artigianale; in Salerno, il

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte di
cassazione il Castaldo tramite il difensore di fiducia, il quale denuncia
violazione di legge sostanziale e processuale per non aver ricevuto avviso
del luogo e giorno in cui si era proceduto alla distruzione del materiale
pirico caduto in sequestro, con la conseguente impossibilità di discernere tra
materiale esplodente di genere vietato e giochi di artificio, acquistabili e
detenibili liberamente.

CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un
meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico
ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta
contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le
stesse e sull’entità della pena. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di
controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della
pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato che non emerga in modo
evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc.
pen.
Ne consegue che -una volta ottenuta l’applicazione di una determinata
pena ex art. 444 cod. proc. pen.- l’imputato non può rimettere in
discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché essi sono
coperti dal patteggiamento.
Tanto premesso, la Corte osserva che il motivo di ricorso è
manifestamente infondato, atteso che il giudice, nell’applicare la pena
concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto nell’accordo
intervenuto fra le parti, apprezzando la congruità della pena pattuita in
relazione alla finalità rieducativa di cui all’art. 27 Cost. ed ai parametri
1

19 dicembre 2012.

indicati nell’art. 133 cod. pen.; e, dall’altro, ha escluso la sussistenza dei
presupposti di cui all’art.129 cod. proc. pen., alla stregua degli elementi di
prova richiamati in sentenza.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento
in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare
pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni,
secondo la costante giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra le altre,

191134 e 191135; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995,
Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 11493 del 24/06/1998, dep. 03/11/1998,
Verga, Rv. 211468).
In particolare, l’illiceità del materiale esplodente detenuto emerge
inequivocabilmente dalla compiuta descrizione dei manufatti esplosivi,
contenuta nel capo di imputazione, tali per quantità e qualità da integrare
il delitto contestato e legittimamente ravvisato nella sentenza impugnata
(v. puntuale motivazione, sul tema, a pagg. 3-4).

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria, che si stima equo determinare in euro
millecinquecento.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 in
favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 29 ottobre 2013.

Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv.

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