Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45619 del 13/10/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 45619 Anno 2015
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SEPE ALFREDO N. IL 04/01/1959
avverso l’ordinanza n. 83/2014 TRIBUNALE di NAPOLI, del
25/09/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO
CENTONZE;

Data Udienza: 13/10/2015

..
RILEVATO IN FATTO

Con ordinanza emessa il 25/09/2014, il Tribunale di Napoli, quale giudice
dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da Alfredo Sepe, finalizzata a
ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione ai sensi dell’art. 671
cod. proc. pen., in relazione alle sentenze pronunziate nei suoi confronti dalla
Corte di assise di appello di Napoli il 02/05/2001 e il 16/03/2007, in relazione
alle quali era stato emesso provvedimento di cumulo, nonché della sentenza

dell’arco temporale in esame e l’assenza, nei provvedimenti giurisdizionali
presupposti, di elementi obiettivi idonei a comprovare in modo inoppugnabile
l’esistenza di un progetto criminoso unitario.
Avverso questa ordinanza il Sepe, a mezzo del suo difensore, ricorreva
personalmente per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’omesso riconoscimento della continuazione in sede
esecutiva, che si imponeva tenuto conto della correlazione tipologica dei fatti
delittuosi presupposti dalle due sentenze presupposte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, risultando fondato su motivi manifestamente
infondati.
Il ricorso in esame, invero, più che individuare singoli aspetti del
provvedimento impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, tende a
provocare una nuova, non consentita, valutazione delle circostanze di fatto già
correttamente vagliate dal Tribunale di Napoli, in quanto tali insindacabili in sede
di legittimità, sul presupposto che i comportamenti illeciti in esame fossero stati
posti in essere in relazione alla sfera di operatività del clan D’Ausilio.
L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato il contenuto
delle tre sentenze presupposte e, all’esito della compiuta disamina delle stesse,
con una motivazione congrua e priva di erronea applicazione della legge penale e
processuale, ha illustrato le ragioni di fatto – in quanto tali insindacabili in sede
di legittimità – ostative al riconoscimento della continuazione nei confronti del
Sepe.
Il Tribunale di Napoli, invero, valutava correttamente le condotte delittuose
presupposte, escludendo che tali reati si connotassero per l’unitarietà del
programma criminoso sottostante, che non deve essere confuso con la
sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine, anche tenuto conto
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emessa dal Tribunale di Napoli il 27/01/2010, ritenendo ostativi l’ampiezza

del fatto che le attività illecite di cui si assumeva la continuazione erano state
commesse in un periodo compreso tra il 2000 e il 2003. Si determinava, in tal
modo, come esplicitato a pagina 3 dell’ordinanza, con un vuoto temporale
triennale riguardante la contiguità del Sepe alla consorteria camorristica di
riferimento, in relazione al quale «si sconosce se vi sia stata continuità
nell’inserimento del prevenuto in detto sodalizio».
A tutto questo occorre aggiungere che la reiterazione della condotta
criminosa non può essere espressione di un programma di vita improntata al

clan D’Ausilio – intende trarre sostentamento, venendo sanzionata da istituti
quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a
delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso
all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei (cfr. Sez. 5, n. 10917 del
12/01/2012, Abbassi, Rv. 252950).
Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di Alfredo Sepe deve
essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 1.000,00
euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 13 ottobre 2015.

crimine e che dal crimine – in questo caso collegato alla sfera di operatività del

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