Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45510 del 13/10/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 45510 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Cardoni Simona, n. a Roma il
05.09.1983, rappresentata e assistita dall’avv. Maria Beatrice Magro,
parte terza interessata nell’ambito del procedimento di prevenzione
pendente avanti l’autorità giudiziaria di Roma nei confronti di Di Salvo
Antonio e altri, avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma, sezione
misure di prevenzione, n. 40/2013, in data 20.10.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letti i motivi nuovi e le note di replica oggetto della memoria
presentata in data 23.9.2015 nell’interesse di Cardoni Simona;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
letta la requisitoria scritta datata 30.05.2015 del sostituto
procuratore generale dott. Roberto Aniello con la quale si è chiesto di
dichiararsi inammissibile il ricorso con ogni consequenziale statuizione

Data Udienza: 13/10/2015

nonché la successiva memoria di replica depositata in data
09.10.2015.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 29.05.2012, il Tribunale di Roma, in
funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’incidente proposto da

Cardoni Simona teso ad ottenere la revoca della confisca delle quote
dell’Amelì Bar di De Pasquali Fabrizio s.a.s., oggetto di provvedimento
ablativo definitivo nell’ambito del procedimento di prevenzione
personale e patrimoniale a carico di Fabrizio De Pasquali. Tale
confisca aveva colpito il 75 % delle quote intestate al De Pasquali ed
il 25 °h di quelle intestate alla Cardoni, convivente del predetto.
Rilevava il Tribunale come la Cardoni fosse legittimata al proposto
incidente, in quanto era rimasta estranea al procedimento di
prevenzione

celebrato

carico

a

del

De

Pasquali.

Nel merito, peraltro, respinta una proposta questione di
costituzionalità, l’istanza – riteneva sempre il Tribunale – veniva
ritenuta infondata in quanto: a) la donna era priva di redditi
sufficienti, e così la di lei madre che, dunque, non poteva avere
aiutato la figlia; b) anche i risparmi, costituiti da libretti postali, erano
di modesta entità e, del resto, non figuravano prelievi che
documentassero l’acquisto; c) il De Pasquali, nell’ambito del processo
di prevenzione, mai aveva accennato alla proprietà in capo alla
Cardoni, sostenendo anzi che era stato lui a fare gli acquisti con i suoi
mezzi, peraltro senza adeguata dimostrazione che superasse
l’affermazione, posta a base delle definitive misure personali e
patrimoniali, che di contro si trattava di proventi assai consistenti di
traffico di stupefacenti (vedi esiti di conversazioni intercettate).
2. Avverso tale ordinanza, proponeva ricorso per cassazione la
sunnominata Cardoni Simona che motivava l’impugnazione
deducendo violazione di legge e vizio di motivazione apparente, in
particolare argomentando – in sintesi – nei seguenti termini:
a)

troppo

sbrigativamente

il

Tribunale

aveva

dichiarato

manifestamente infondata la questione di costituzionalità della L. n.
575 del 1965, art. 2 ter, comma 5, (oggi D.Lgs. n. 159 del 2011, art.
23, commi 2 e 3) per la mancata previsione della nullità della misura

2

di prevenzione conseguita ad incompleta costituzione del
contraddittorio, per la mancata previsione dell’obbligatorietà della
citazione di ogni terzo interessato; disparità di trattamento di
quest’ultimo che, così obbligato all’incidente di esecuzione, si vede
privato di un grado di merito; si trattava di questione rilevante (per
essere state esclusa dal processo di secondo grado cui pure aveva
richiesto di partecipare) e non manifestamente infondata;
la questione, aggetto di giurisprudenza non univoca, andava

comunque

rimessa alle Sezioni

questa Corte;

Unite di

c) il Tribunale aveva invertito l’onere della prova; l’indagine non si era
radicata su elementi di prova rigorosi, come richiesto; era stata
dimostrata

la

sufficienza

dei

redditi

di

essa

ricorrente;

l’intestazione fittizia al De Pasquali era frutto di un suggerimento del
commercialista a fini fiscali; non era stata esplicata alcuna
motivazione sul 25 % di quota in capo ad essa Cardoni, che doveva
ritenersi inattaccabile.
3. Con sentenza n. 30760/2013, in data 02.07.2013, la Suprema
Corte qualificava il ricorso come opposizione; gli atti venivano quindi
trasmessi al Tribunale di Roma, giudice dell’esecuzione, per la
decisione sull’opposizione avverso l’ordinanza 29.05.2012 dello stesso
Tribunale.
4. Con ordinanza in data 20.10.2014, il Tribunale di Roma respingeva
l’opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca
della confisca.
5. Avverso detto provvedimento, nell’interesse di Cardoni Simona
viene proposto ricorso per cassazione, lamentandosi:
-l’errata valutazione del Tribunale in merito alla riconosciuta
manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
sollevata in ordine alla pretesa non conformità agli artt. 3, 24, 27,
comma 1, 41, 11 Cost., dell’art. 2 ter, comma 5 I. 575/1965 (oggi
art. 23, commi 2 e 3 d.lgs. n. 159/2011) nell’interpretazione
“giurisprudenziale” adottata, secondo la quale non darebbe luogo a
nullità del procedimento di prevenzione – ma solo ad una mera
irregolarità – l’emissione del provvedimento ablativo sulla scorta di
una incompleta costituzione del contraddittorio nei confronti del terzo
(rispetto alla prevenzione) in quanto proprietario di quota-parte del
bene confiscato; in via subordinata, in presenza di contrasto di

b)

giurisprudenza, si chiede di rimettere alle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione la seguente questione: “se i terzi titolari del diritto di
proprietà o di altro diritto reale, estranei alla prevenzione ma non al
bene prevenuto, pur non avendo partecipato al giudizio di prime cure,
possono intervenire in grado di appello e svolgere le proprie difese
ovvero devono necessariamente attendere la definitività della
confisca, per proporre opposizione di terzo con le forme dell’incidente

di esecuzione” (primo motivo);
-violazione di legge per inosservanza degli artt. 4, comma 9 e 11 I. n.
1423/1956, 2 ter I. n. 575/1965, 665 e ss. cod. proc. pen. (oggi, 10,
24 e 27 d.lgs. n. 159/2011), per avere il Tribunale, con motivazione
priva dei requisiti minimi di completezza e logicità nella parte in cui,
dopo aver riconosciuto l’omessa citazione della Cardoni nel
procedimento di prevenzione, ha finito per ritenere, sulla base di
presunzioni prive di adeguata base fattuale, che la stessa doveva
comunque essere a conoscenza dell’esistenza del procedimento
(secondo motivo);
– violazione di legge per inosservanza degli artt. 4, comma 9 e 11 I. n.
1423/1956, 2 ter I. n. 575/1965, 665 e ss. cod. proc. pen. (oggi, 10,
24 e 27 d.lgs. n. 159/2011), per avere il Tribunale, da un lato rilevato
che la prova dell’interposizione deve essere data dalla pubblica
accusa e, dall’altro, come da nessun atto emergesse che la Cardoni
fosse stata l’effettiva proprietaria delle quote intestate al convivente
De Pasquali, essendo al contrario emerso come quest’ultimo avesse la
piena disponibilità della società e dell’esercizio tramite essa gestito
(terzo motivo);
-violazione di legge per inosservanza degli artt. 4, comma 9 e 11 I. n.
1423/1956, 2 ter I. n. 575/1965 (oggi, 20, 23, 24 e 26 d.lgs. n.
159/2011), 663, commi 3 e 5 cod. proc. pen., 185 disp. att. cod.
proc. pen. nonché omissione di motivazione per avere il Tribunale:
a)

trascurato di spiegare perché anche il 25% delle quote

formalmente intestate alla Cardoni era ritenuto nella disponibilità
esclusiva del Di Pasquali;
b) illogicamente affermato che la Cardoni, solo dopo la confisca di
primo grado ha architettato la versione difensiva manifestamente
inverosimile, trascurando che la tempistica della difesa della
ricorrente dipendeva proprio dall’errore del Tribunale che non aveva

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correttamente integrato il contraddittorio;
c) trascurato che nel richiamato decreto del 29.10.2009 non vi era
alcun riferimento alla disponibilità uti dominus della società e del bar
tavola calda;
d) affermato erroneamente che la Cardoni avesse riconosciuto dì aver
acquistato o finanziato le stigliature – che invece sarebbero state
pagate con cambiali mensili, i cui proventi auspicava di trarre

dall’attività quotidiana del bar tavola calda – ma solo le quote della
società, il cui valore ammonta a circa 15.000,00 euro;
e)

sottovalutato che la Cardoni aveva disponibilità economica

assolutamente adeguata all’impegno di spesa necessario all’apertura
dell’attività sottoposta a confisca, in tal senso ausiliata dalla famiglia
d’origine (quarto motivo).
Nei motivi nuovi, la ricorrente evidenzia come, nelle more, con
sentenza in data 13.03.2015, il Tribunale di Roma definiva il
procedimento da cui era scaturita la misura di prevenzione oggetto
del presente gravame, assolvendo, tra gli altri imputati, il compagno
della Cardoni da tutte le imputazioni a suo carico “per non aver
commesso il fatto”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, oltre a proporre – almeno in parte – censure in fatto non
consentite nel giudizio di legittimità, appare manifestamente
infondato e, come tale, risulta inammissibile.
2. Con il primo motivo si lamenta l’interpretazione “giurisprudenziale”
secondo cui non darebbe luogo a nullità del procedimento di
prevenzione – ma solo ad una mera irregolarità – l’emissione del
provvedimento ablativo sulla scorta di una incompleta costituzione del
contraddittorio nei confronti del terzo (rispetto alla prevenzione) in
quanto proprietario di quota-parte del bene confiscato, richiedendosi,
in via subordinata, in presenza di contrasto di giurisprudenza, di
rimettere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la seguente
questione: “se i terzi titolari del diritto di proprietà o di altro diritto
reale, estranei alla prevenzione ma non al bene prevenuto, pur non
avendo partecipato al giudizio di prime cure, possono intervenire in
grado di appello e svolgere le proprie difese ovvero devono

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necessariamente attendere la definitività della confisca, per proporre
opposizione di terzo con le forme dell’incidente di esecuzione”.
2.1. Come rilevato dal Procuratore generale nella propria requisitoria
scritta, la questione di legittimità costituzionale, già proposta avanti
al Tribunale, appare irrilevante e manifestamente infondata.
Invero, la questione della partecipazione del terzo interessato al
procedimento di prevenzione non ha alcuna influenza sull’incidente di

esecuzione instaurato dallo stesso soggetto per far valere i propri
diritti sui beni confiscati. La stessa Cardoni, la cui richiesta di
intervento in grado di appello nel procedimento di prevenzione era
stata dichiarata inammissibile, aveva proposto ricorso in cassazione
contro la decisione della Corte d’appello di Roma in data 01.02.2011
e la Suprema Corte, con sentenza n. 26413 del 14.02.2012, aveva
dichiarato inammissibile il ricorso, avallando la decisione della Corte
territoriale che aveva riconosciuto come l’omessa citazione della
predetta, nelle sue vesti di terza interessata, nel giudizio di primo
grado, non aveva comportato la nullità, ma soltanto un’irregolarità
del procedimento, senza incidenza sul provvedimento adottato.
Inoltre, la circostanza non legittimava la medesima ad intervenire nel
giudizio di appello, in forza anche della facoltà, quale extraneus, di
esplicitare le sue difese mediante opposizione innanzi lo stesso
giudice che aveva deliberato la misura patrimoniale nelle forme
dell’incidente di esecuzione.
2.2. Al riguardo la Suprema Corte rilevava, in termini assolutamente
condivisibili, come “… il provvedimento della Corte (territoriale) fosse
aderente alla giurisprudenza di legittimità. Nel procedimento di
prevenzione per l’applicazione di misure reali, l’omesso citazione del
terzo non determina la nullità del procedimento, ma una semplice
irregolarità che non inficia il procedimento medesimo, e quindi
l’applicazione della misura. Il terzo interessato, al quale siano
intestati i beni ritenuti nella disponibilità del proposto e che non abbia
potuto esplicare le sue difese nel procedimento di prevenzione in
conseguenza dell’omessa citazione, ha facoltà di promuovere
incidente di esecuzione chiedendo la revoca della confisca (Cass. n.
28032/2007, Rv. 236930; n. 16806/2010, Rv. 247072)…”.
2.3. L’esistenza di un incontrastato orientamento giurisprudenziale

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sul punto (v. la risalente, Sez. 6, sent. n. 803 del 02/03/1999, dep.
06/10/1999, Morabito e altro, Rv. 214780, nella quale si è affermato
che “il procedimento di prevenzione ha, istituzionalmente i suoi
necessari referenti nel pubblico ministero e nel proposto, sicché
l’omessa chiamata del terzo, al quale siano intestati i beni ritenuti
nella disponibilità del proposto, non si pone sullo stesso piano del
soggetto cui può essere applicata la misura. Ne consegue che la

mancata citazione del terzo non comporta la nullità del procedimento,
ma un’irregolarità che non inficia il procedimento medesimo e non
invalida l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ferma
restando la facoltà dell’estraneo di esplicare le sue difese – quale
terzo assoggettato, di riflesso, all’esecuzione della misura disposta nei
confronti del proposto – con incidente di esecuzione e, all’occorrenza,
con ricorso per cassazione avverso la ordinanza del giudice, che
delibera sull’incidente medesimo”) smentisce il rilevato contrasto
giurisprudenziale ed esclude in radice la necessità di investire le
Sezioni Unite.
Ma non solo. Ha aggiunto la Suprema Corte nella succitata sentenza
(n. 26413/2012) come “il risultato che la ricorrente persegue può
agevolmente conseguirsi, in via fisiologica, attraverso il rimedio
dell’incidente di esecuzione innanzi allo stesso giudice che ha emesso
il provvedimento patrimoniale. Nè tale rimedio può considerarsi
idoneo, giacché il provvedimento adottato può ben essere
radicalmente riformato, senza alcun pregiudizio giuridico per la
ricorrente”.
3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di doglianza.
Va al riguardo premesso che, per consolidato orientamento di questa
Suprema Corte – asseverato anche dal giudice delle leggi con le sent.
n. 321/2004 e n. 80/2011 – in tema di misure di prevenzione, la
riserva del sindacato di legittimità alla violazione di legge non
consente di dedurre il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., sicché il controllo del
provvedimento consiste solo nella verifica della rispondenza degli
elementi esaminati ai parametri legali, imposti per l’applicazione delle
singole misure e vincolanti, in assenza della quale ricorre la violazione
di legge sub specie di motivazione apparente (cfr., ex multis, Sez. 5,
sent. n. 19598 del 08/04/2010, Palermo, Rv. 247514).

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Se invero, nel vizio di violazione di legge è compreso, per consolidata
lezione interpretativa di questa Corte, quello della motivazione nella
ipotesi in cui essa sia del tutto omessa ovvero apparente (cfr.,

ex

multis, Sez. 1, sent. n. 5838 del 17/01/2001), nel caso di specie il
ricorrente lamenta non l’apparenza ma l’illogicità della motivazione
(peraltro effettivamente immune da tale vizio e particolarmente
estesa nel dettagliato esame della fattispecie), come tale,

insindacabile in questa sede.
4. Manifestamente infondati ed evocativi di non consentite censure in
fatto sono anche sia il terzo che il quarto motivo di doglianza,
trattabili congiuntamente per evidente omogeneità di tema.
4.1. Invero, per quanto attiene alla pretesa riconducibilità alla
Cardoni del 75% delle quote della Amelì Bar, intestate al De Pasquali
Fabrizio, il motivo contiene deduzioni meramente fattuali in preteso
contrasto con il provvedimento impugnato congruamente motivato in
ordine a tutti gli elementi che depongono per la corrispondenza tra
intestazione formale ed effettiva, confutando le allegazioni della
Cardoni.
4.2. Relativamente al 25% delle quote della suddetta società,
intestate alla Cardoni ma nella disponibilità del De Pasquali, il
Tribunale ha legittimamente richiamato la presunzione di cui all’art. 2
ter u.c. I. n. 575/1965, rilevando in proposito che la ricorrente non ha
fornito alcuna prova contraria idonea a superare tale presunzione.
Anche sul punto, la motivazione del provvedimento impugnato appare
del tutto logica e coerente, essendosi accertata l’assenza di risorse
economiche in capo alla Cardoni che ne potessero comprovare
l’avvenuto acquisto delle quote societarie.
5. Nei motivi nuovi, la ricorrente evidenzia come, nelle more, con
sentenza in data 13.03.2015, il Tribunale di Roma definiva il
procedimento da cui era scaturita la misura di prevenzione oggetto
del presente gravame, assolvendo, tra gli altri imputati, il compagno
della Cardoni da tutte le imputazioni a suo carico.
5.1. Con riguardo al contenuto della memoria titolata “motivi nuovi e
note di replica” depositata nell’interesse della ricorrente in data
23.09.2015, va osservato in premessa come, nel giudizio di
legittimità, eventuali deduzioni potrebbero essere esaminate soltanto
in quanto non costituenti “motivo nuovo”.

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Ciò in quanto la facoltà conferita al ricorrente dall’art. 585, comma 4
cod. proc. pen., deve trovare necessario riferimento nei motivi
principali e rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore e più
dettagliata esposizione dei primi, anche per ragioni eventualmente
non evidenziate in precedenza, ma sempre collegabili ai capi e punti
già dedotti (Sez. 1, sent. n. 46950 del 02/11/2004, Sisic, Rv.
230181): ne consegue che motivi nuovi ammissibili sono soltanto

principali d’impugnazione, si alleghino ragioni “giuridiche” diverse da
quelle originarie, non potendo essere ammessa l’introduzione di
censure nuove in deroga ai termini tassativi entro i quali il ricorso va
presentato.
5.2. I motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono,
pertanto, avere ad oggetto, in via esclusiva, a pena di
inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono
stati enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art.
581, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. (Sez. 6, sent. n. 73 del
21/09/2011, dep. il 04/01/2012, Aguì, Rv. 251780; Sez. 2, sent. n.
1417 del 11/10/2012, dep. il 11/01/2013, p. civ. in proc. Platamone
ed altro, Rv. 254301).
5.3. L’introduzione con i medesimi di nuove circostanze fattuali,
ancorchè maturate successivamente alla presentazione del ricorso,
determina un non consentito ampliamento dei temi di indagine,
peraltro del tutto irrilevanti con riferimento all’oggetto dell’originario
ricorso.
Peraltro, l’intervenuta assoluzione del Di Pasquali nel giudizio di
merito con la formula “per non aver commesso il fatto” non sconfessa
affatto i presupposti, del tutto differenti rispetto a quelli che
presiedono il giudizio in merito all’affermazione della penale
responsabilità, in relazione ai quali è stata applicata la misura di
prevenzione di cui si discute.
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00

quelli coi quali, a fondamento del petitum già proposto nei motivi

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea P legrino

Il Presidente
Dott. A

o Esposito

13.10.2015

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