Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45472 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 45472 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto dal
MOLE’ Antonio, nato a Gioia Tauro (RC) il 26/07/1989,
avverso l’ordinanza del 24/07/2014 del Tribunale di Reggio Calabria;
esaminati gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita la relazione svolta dal consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Ciro Angelillis,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO
1. Nell’ambito di un procedimento cumulativo per plurimi fatti di criminalità
organizzata (indagine denominata “Mediterraneo”), avvenuti a partire dagli anni 20102012, il g.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 6.6.2014, ha applicato
ad Antonio Molè, inteso “u niru” e figlio di Girolamo (“Mommo”) Molè, detenuto e
indiscusso capo della omonima aggregazione criminale di natura mafiosa (‘ndrangheta)
radicata nell’area calabrese di Gioia Tauro, la misura cautelare della custodia in carcere in
ordine ai contestati reati (oltre a quello pure ascritto al Molè di concorso in intestazione
fittizia di beni, non oggetto del provvedimento coercitivo) di: organizzazione e “reggenza”
(per conto del padre Girolamo) della `ndrina Molè di Gioia Tauro, associazione ex art. 416
bis c.p. di cui il prevenuto tenta di risollevare le sorti economiche (per la “crisi”
verificatasi dopo l’uccisione di Rocco Molè nel febbraio 2008) con la ripresa di illecite
attività di controllo e distribuzione di videogiochi (slot machines) e di attivazione di

Data Udienza: 12/05/2015

paralleli traffici di droga sviluppati anche con diramazioni operative a Roma e nel Lazio
(capo A della rubrica); partecipazione alla parallela associazione dedita al traffico di
stupefacenti (cocaina, hashish) volta a finanziarie la “riorganizzazione” funzionale della
cosca pianigiana dei Molè, giusta la contestata aggravante ex art. 7 L. 203/91 (capo I
della rubrica).
Il g.i.p. reggino ha ritenuto il Molè raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in
ordine ai due reati plurisoggettivi ascrittigli (per i fatti sussunti nell’ipotesi di cui all’art.
12 sexies L. 203/91, procedendo in parte anche l’A.G. romana) in base agli elementi

telefoniche e ambientali, da interventi di p.g. connessi a sequestri di droga e agli sviluppi
investigativi di anteriori indagini sulle manifestazioni criminose associative della maggior
parte degli indagati. Manifestazioni rivelatrici, alla stregua di più sentenze definitive di
condanna, della risalente presenza criminale calabrese del gruppo Molè (indagini c.d.
Maestro, Tirreno, Cent’anni di storia, Tempo, Porto), già “federato” con la locale cosca
Piromalli e con la cosca Mancuso di Limbadi, in seguito rimasto emarginato e teso -infinea recuperare un pieno dinamismo criminale, già durante la sua detenzione e soprattutto
dopo la sua scarcerazione (gennaio 2012), ad opera di Antonio Molè (longa manus del
padre “Mommo” Molè, detenuto), che persegue l’obiettivo di rivitalizzare la “sua” ‘ndrina
con l’espansione anche nel Centro Italia (aree romana e laziali) mediante il controllo di
più attività economiche e una capillare attività di vendita di stupefacenti organizzata e
diretta (art. 74 L.S.) in Calabria e dalla Calabria. Lo stesso procedente g.i.p. ha valutato
sussistenti ineludibili esigenze cautelari, giustificanti l’applicata misura carceraria,
connesse al pericolo di recidiva in fatti criminosi omologhi a quelli ascritti all’indagato.
2. Adito dall’istanza di riesame dell’indagato, il Tribunale distrettuale di Reggio
Calabria con ordinanza del 24.7.2014 ha respinto il gravame e confermato il
provvedimento restrittivo carcerario. I giudici del riesame cautelare hanno valutato
univoche le valenze indiziarie delle conversazioni captate (telefoniche e ambientali) e dei
collaterali esiti degli accertamenti di p.g.
Evenienze tutte dalle quali emerge, da un lato, la formale “investitura” di reggente
dell’omonima cosca ricevuta dal Molè “u niru” dal padre Girolamo (indiscusso capo del
gruppo) fin da epoca coeva alla sua detenzione e resa immediatamente operativa appena
il reggente torna in libertà, riassumendo il controllo delle illecite fonti finanziarie del
sodalizio, come si evince dalle captazioni coinvolgenti i nonni materni dell’indagato,
Antonio Albanese (inteso “Mastro Nino”) e Florina Reitano (coindagati entrambi nel
medesimo procedimento), amministratori della “cassa” comune del sodalizio durante la
detenzione di Girolamo e Antonio Molè, preoccupati per le reazioni del nipote allorché
apprenderà di alcune “distrazioni” di fondi a beneficio delle cugine. Preoccupazione
fondata, perché Antonio Molè appena uscito dal carcere si farà carico di recuperare il

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acquisiti nel corso delle indagini, rappresentati in prevalente misura da intercettazioni

credito, assumendo analogo deciso atteggiamento di “recupero” di somme asseritamente
dovute alla cosca mafiosa dal coindagato zio Pietro Mesiani Mazzacuva (come costui
conferma nel suo interrogatorio), resosi responsabile di arbitraria appropriazione di
proventi della società Imagine System s.r.l. (per la gestione di centro diagnostico
sanitario a Gioia Tauro creato con il “beneplacito” della cosca dei Molè). Così come lo
stesso riprenderà rapidamente il controllo, anche di persona (in tal senso deponendo più
captazioni), dell’illecita imposizione/gestione di videogiochi (slot machines), favorendone
la già avviata espansione in are laziale.

(anteriore alla sua scarcerazione) del Molè nella sottoaggregazione dedita ad estesi
traffici di stupefacenti, settore elettivo -per altro- dell’attività delinquenziale della cosca
Molè, con pieno dimostrato inserimento del medesimo nel sodalizio di cui all’art. 74 L.S.
Sodalizio, la cui oggettiva esistenza è suffragata da più arresti in flagranza con connessi
sequestri di consistenti quantità di droga (hashish), che attraverso l’interinale conduzione
del fratello minore di Antonio Molè, Rocco Molè (nato nel 1995), e di Arcangelo Furfaro
(inteso “Lino”), ha istituito a Roma, con una capillare rete di spacciatori, una delle sue
principali piazze di smercio della droga acquisita da più canali di approvvigionamento. Il
diretto inserimento (id est partecipazione associativa con ruolo direttivo mediato dal
minorenne fratello Rocco) di Antonio Molè nel gruppo criminale che si occupa dei traffici
di droga è provato senza incertezze, secondo i giudici del riesame, dalle plurime
captazioni eseguite nei confronti del Furfaro (“il referente della cosca nella capitale…del
proprio operato risponde direttamente ad Antonio <'u niru>“) e di Rocco Molè.
I dati processuali prefigurano, quindi, per il Tribunale del riesame una solida
piattaforma indiziaria nei confronti di Antonio Molè sia per l’associazione mafiosa “madre”
(cosca Molè di Gioia Tauro), sia per l’associazione destinata al commercio di droga, che
legittima l’applicazione della cautela inframurale carceraria, in palese difetto di dati che,
quanto al reato ex art. 416 bis c.p., inducano a reputare superata la presunzione relativa
di pericolosità e adeguatezza della misura ai sensi dell’art. 275 comma 3 c.p.p.
(immanente pericolo di prosecuzione delle condotte illecite con commissione di ulteriori
reati fine dei due paralleli contesti associativi).
3. Con il ministero del difensore Antonio Molè ha proposto ricorso avverso la
descritta ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, deducendo, con unitario
diffuso enunciato censorio, l’erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p., in relazione agli
artt. 416 bis c.p. e 74 L.S., e il difetto o l’illogicità manifesta della motivazione nei termini
di seguito riassunti per gli effetti di cui all’art. 173 comma 1 disp. att. c.p.p.
La motivazione con cui i giudici del riesame hanno affermato la sussistenza dei
gravi indizi della duplice partecipazione associativa (mafiosa e dedita al traffico di
stupefacenti) del prevenuto è lacunosa ed apparente, perché non improntata al rigoroso

Emergenze investigative ancora che, d’altro lato, accreditano l’inserimento

canone interpretativo dell’art. 273 c.p.p. a fronte di dati indiziari che appaiono privi di
“conducenza qualificata” della necessaria probabile riferibilità alla condotta del ricorrente
dei fatti addebitatigli in sede cautelare. L’incoerenza logica e deduttiva del provvedimento
impugnato emerge in rapporto alla omessa verifica della sussistenza di specifici contegni
del Molè univocamente rapportabili alla associazione mafiosa e alla connessa associazione
ex art. 74 L.S. In sostanza i giudici del riesame hanno finito per far leva sui precedenti
giudiziari di alcuni indagati e segnatamente di Antonio Molè, condannato per il reato di

come “Cent’anni di storia”, sul presupposto di aver svolto una funzione di collegamento
tra i suoi familiari detenuti (in particolare con il padre Girolamo Molè) e gli ambienti
criminali esterni. Ma prima di tale condanna la condotta di vita del ricorrente risulta
affatto irreprensibile, mai essendo stato coinvolto nei diversi procedimenti (citati
nell’ordinanza del riesame) instaurati dal 1990 nei confronti dei suoi congiunti.
Dal materiale captativo che caratterizza l’attività di indagine non emergono
elementi specifici (specialmente mediati dalla posizione del coindagato Giuseppe
Galluccio, ritenuto dagli inquirenti “braccio operativo dei Mo/è” nella gestione dei settori
dei videogiochi e di alcune realtà societarie fittiziamente intestate) idonei ad avallare la
prospettazione accusatoria nei confronti di Antonio “u niru”(per lo più emergono contatti
tra i vari indagati volti a fissare incontri tra di loro, ma privi di inferenze fattuali di
apprezzabile segno penale). Anche l’assunto per cui il Molè, uscito dal carcere, avrebbe
riassunto la gestione della “cassa comune” del presunto sodalizio mafioso non è sorretto
da adeguati indizi, atteso che in tale direzione non può attribuirsi peso né al colloquio
avvenuto in carcere il 31.1.2012 tra Antonio Molè (appena scarcerato) e il padre
Girolamo), né ai nebulosi rapporti intessuti da membri della famiglia Molè con l’attività
imprenditoriale del “parente” Mesiani Mazzacuva (fratello della moglie di Domenico Molè).
Analoghe carenze indiziarie caratterizzano la contestazione dell’associazione ex art.
74 L.S. mossa al Molè. Il ruolo partecipativo del ricorrente nel sodalizio in parola è stato
desunto dai giudici del riesame dal peculiare “attivismo” dei consociati e in special modo
di Arcangelo Furfaro (e dei suoi diretti collaboratori Carmelo Stanganelli, Girolamo
Magnoli, Domenico Stanganelli) e del minorenne Rocco Molè (fratello del ricorrente) nella
“implementazione delle attività illecite in vista della sua scarcerazione” e del suo
intervento in una conversazione intercettata (25.3.2012). Ciò sebbene il dialogo captato
non permetta di individuare alcun pactum sceleris tra il Molè e gli altri associati. L’accusa
non è sorretta da concreti supporti vuoi con riguardo alla effettiva sussistenza di una
struttura gerarchicamente organizzata dedita al narcotraffico, vuoi con riguardo al
supposto ruolo servente che l’aggregazione ex art. 74 L.S. avrebbe svolto rispetto alla
cosca mafiosa dei Molè. Non possono trascurarsi, infatti, vari elementi dissonanti rispetto
alla tesi accusatoria rappresentati dalla circoscritta estensione temporale dei contatti tra i
sodali inscritti nella attività del sodalizio criminale, l’esiguità degli importi (recte prezzo) e

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associazione mafiosa con sentenza definitiva resa nel quadro del procedimento noto

delle quantità di droga trattate (entro i limiti del 5 0 comma dell’art. 73 L.S.), la
precarietà dei canali di rifornimento che mutano a seconda delle circostanze contingenti
in palese contrasto con l’idea di stabilità fondante l’ipotesi associativa.
4. Il ricorso proposto da Antonio Molè, cl. 1989, delimitata alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. per i due reati associativi ascrittigli, è
inammissibile per genericità e palese infondatezza delle dedotte censure.
In vero con il ricorso si formulano rilievi meramente estemporanei sulla

apprezzata in sede di riesame cautelare. Sia perché nessuna specifica contestazione è
mossa sui contenuti delle numerose conversazioni captate dimostrative del ruolo apicale
del Molè; sia perché la contestazione della adesione alla cosca mafiosa di Gioia Tauro
assume connotati soltanto assertivi, tralasciando una seria lettura critica degli elementi
indiziari valorizzati dal Tribunale del riesame reggino. L’ordinanza impugnata,
diversamente dal riduttivo assunto esposto nel ricorso, ha svolto una approfondita analisi
delle emergenze investigative e segnatamente delle intercettazioni che, nella chiarezza
dei lori referenti fattuali, focalizzano senza incertezza la posizione ricoperta da Antonio
Molè “u niru”, agevolmente inquadrandone i comportamenti nella usuale dinamica
operativa di un sodalizio delinquenziale di matrice mafiosa.
I giudici del riesame cautelare hanno diffusamente motivato le ragioni che
delineano la piattaforma indiziaria sulla quale si manifesta la condotta criminosa del
ricorrente. Le censure espresse nel ricorso trascurano di prendere atto dell’evenienza per
cui, a fronte della inconfutabile posizione di vertice del prevenuto in seno alla cosca
mafiosa di Gioia Tauro, l’intera vicenda processuale, scaturita dalla necessità di
riorganizzare le strategie criminali del sodalizio criminale ha visto la

costituzione,

parallela alla già esistente associazione mafiosa, di una strutturata associazione dedita al
traffico di sostanze stupefacenti e proiettata (secondo le direttive del detenuto Girolamo
Molè fatte proprie dal figlio Antonio appena scarcerato) verso le aree del Centro Italia e in
particolare di Roma. In modo, quindi, di recuperare la potenza territoriale e “militare”
della famiglia mafiosa attraverso un accresciuto recupero dell’efficienza economica del
sodalizio. Nel passare in rassegna i dati asseveranti i gravi indizi di colpevolezza nei
confronti del ricorrente l’impugnato provvedimento del riesame cautelare ha
puntualmente evidenziato come le numerose univoche conversazioni intercettate
attestino il palese contributo che il ricorrente, affiancandosi e/o sostituendosi al più
giovane fratello Rocco Molè, ha recato al sodalizio criminoso interessato al traffico di
stupefacenti. Traffico di consistenti proporzioni, come deve evincersi dai sequestri di
sostanze droganti eseguiti dalla p.g. in corso di indagini richiamati dai giudici del,
riesame.

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concludenza del quadro indiziario che non ne scalfiscono la solidità, quale congruamente

Deve, allora, concludersi che, in presenza della motivazione lineare e immune da
vizi logici con cui il Tribunale ha dato conto degli elementi atti a radicare i gravi indizi di
colpevolezza, nella coeva dimostrata sussistenza delle componenti strutturali delle
contestate fattispecie plurisoggettive, il ricorrente enuncia -per altro in termini, come
detto, non specifici- censure di merito volte a sostenere una ricostruzione alternativa dei
fatti e dell’intera vicenda processuale sottesa alla regiudicanda cautelare certamente
preclusa in sede di legittimità.
ex lege la condanna del ricorrente alla

rifusione delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende dell’equa
somma di euro 1.000 (mille). La cancelleria curerà gli adempimenti informativi connessi
allo stato di detenzione del ricorrente.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94/1 ter disp. att. c.p.p.
Roma, 12 maggio 2015

All’inammissibilità del ricorso segue

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