Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45404 del 09/10/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 45404 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHESSA GAVINO N. IL 21/05/1956
avverso l’ordinanza n. 7/2014 CORTE ASSISE APPELLO di TORINO,
del 23/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/te le conclusioni del PG Dott. gy71-(3r– 93′ 0-0-

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Uditi difens Avv.;

Data Udienza: 09/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di Assise di appello di Torino,
in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza con cui
Chessa Gavino, nei cui confronti sono irrevocabili due sentenze di condanna della
stessa Corte, la prima all’ergastolo e la seconda ad anni trenta di reclusione,
chiedeva l’applicazione dell’art. 72, comma 2, cod. pen..
La Corte territoriale rilevava che, nel provvedimento di esecuzione di pene

condanne erano state prese in considerazione ed espressamente era stato
emesso ordine di esecuzione per la sola pena dell’ergastolo, in virtù del criterio
dell’art. 72, comma 2, cod. pen.: l’istanza, quindi, era diretta ad ottenere quanto
già stabilito dal cumulo attualmente in esecuzione.

2. Ricorre per cassazione Chessa Gavino, deducendo violazione di legge e
vizio di motivazione.
L’isolamento diurno previsto dall’art. 72, comma 2 cod. pen. in caso di
concorso tra la pena dell’ergastolo e una pena detentiva deve essere applicato
dal giudice dell’esecuzione, e non dal pubblico ministero in sede di cumulo,
trattandosi di sanzione penale. In conseguenza dell’applicazione del criterio
moderatore, le pene detentive temporanee perdono la loro autonomia e non
incidono sulla maturazione dei requisiti temporali per l’ammissione dei
condannati ai benefici previsti dalla legge.
Non spettava, quindi, alla Procura generale applicare il criterio moderatore
di cui all’art. 72, comma 2, cod. pen., ma al giudice dell’esecuzione.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per

l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

Il provvedimento di cumulo emesso dalla Procura Generale della Repubblica
di Torino dopo la seconda sentenza di condanna prendeva atto dell’esistenza di
pene concorrenti e della necessità di applicare il criterio di legge e, pertanto,
dichiarava eseguibile la sola pena dell’ergastolo; non applicava l’isolamento
diurno, benché già la prima delle sentenze di condanna lo prevedesse per mesi

2

concorrenti emesso dalla Procura Generale dopo la seconda sentenza, le due

sei e benché il concorso con la seconda sentenza di condanna dovesse
determinare un aumento del periodo di isolamento.
La mancata menzione dell’isolamento diurno costituisce, peraltro, un errore
a favore del condannato; è certo, comunque, che il Procuratore Generale avesse
messo in esecuzione la sola pena dell’ergastolo applicando la regola dell’art. 72
cod. pen. e, quindi, facendo perdere ogni rilevanza alla pena di anni trenta di
reclusione inflitta con la seconda sentenza di condanna.

ricorso: il ricorrente sostiene che il provvedimento avrebbe dovuto essere
adottato dal Giudice dell’esecuzione, ma l’art. 663 cod. proc. pen. prevede
esplicitamente che nel provvedimento di cumulo il pubblico ministero debba
determinare la pena da eseguirsi, in osservanza delle norme sul concorso di pene
e, quindi – attraverso il richiamo operato dall’art. 80 cod. pen. – di quelle degli
artt. 71 e ss. cod. pen..
In definitiva, come esattamente osservato la Corte territoriale, il
provvedimento di cumulo emesso dal P.M. ha prodotto l’effetto invocato – far
perdere ogni rilevanza alle pene detentive temporanee – mentre la violazione di
legge riscontrata è favorevole al condannato.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 9 ottobre 2015

Di qui la mancanza di interesse di Chessa alla presentazione dell’odierno

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