Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 454 del 12/10/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 454 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
VULPIANI Domenico n. Borgorose (RI) il 10 ottobre 1946
avverso la sentenza emessa il 3 febbraio 2011 dalla Corte di appello di L’Aquila

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott.Vito D’Ambrosio, che ha chiesto la
dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 12/10/2012

Con sentenza in data 3 febbraio 2011 la Corte di appello di L’Aquila ha riformato la
sentenza emessa il 23 aprile 2009 dal Tribunale di Avezzano con la quale Vulpiani Domenica era
stato dichiarato colpevole dei reati di ricettazione (così qualificato il fatto originariamente
contestato come riciclaggio) e falso (artt.478, 482 cod.pen.), accertati in Avezzano il 28 ottobre
2002, ed era stato condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di anni due, mesi uno di
reclusione ed curo 516,00 di multa. La Corte territoriale ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione
reato in anni due di reclusione ed euro 516,00 di multa.
Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione. Con il ricorso si deduce:
1) e 2) la violazione o falsa applicazione dell’art.192 cod.proc.pen. e la carenza e manifesta
illogicità della motivazione nonché la mancata assunzione di prova decisiva e il difetto assoluto di
motivazione in ordine alla richiesta di detta prova; in particolare il ricorrente si duole della ritenuta
sussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione, nonostante l’indicazione da parte
dell’imputato, sin dalla fase delle indagini, di elementi idonei ad identificare il venditore
dell’autovettura e l’autosalone presso il quale il veicolo era stato acquistato; erroneamente sarebbe
stata disattesa dal giudice di appello la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale
nonostante “la concreta possibilità di introdurre nel processo …prove a discarico”;
3) e 4) la violazione degli artt.62 bis e 62 n.4 cod.pen., in relazione al mancato riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante del danno patrimoniale di
speciale tenuità, e la violazione e falsa applicazione dell’art.648 cod.pen. per non essere stata
ravvisata, immotivatamente, l’ipotesi attenuata del fatto di particolare tenuità;
5) la violazione e falsa applicazione dell’art.157 cod.pen. e della legge n.251/2005 per l’omessa
declaratoria dell’estinzione del reato di ricettazione per intervenuta prescrizione.

Il ricorso è inammissibile.
I primi due motivi sono manifestamente infondati.
La Corte osserva che il giudice di appello ha legittimamente richiamato per relationem, con
riferimento alla sussistenza del dolo del reato di ricettazione, la motivazione del giudice di primo
grado circa la mancanza di una plausibile giustificazione da parte dell’imputato in ordine al

kt,

penale in ordine al reato di falso, estinto per prescrizione, ed ha rideterminato la pena per il residuo

possesso dell’autovettura di provenienza furtiva. Il Tribunale aveva evidenziato da un lato la
genericità delle spiegazioni fornite dal Vulpiani, non riscontrabili, e dall’altro l’esibizione di una
carta di circolazione in fotocopia risultata contraffatta e priva di timbri ufficiali. La Corte territoriale
ha altresì posto in rilievo, con motivazione logicamente coerente, che le indicazioni sul venditore
dell’autovettura oggetto di ricettazione erano tanto generiche che nemmeno il Vulpiani era stato in
grado di rintracciare, sulla base delle generalità e del numero di telefono indicati, il suo dante causa.
irrintracciabili è stata fondatamente disattesa dal giudice di appello che, secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.III 7 aprile 2010 n.24294, D.S.B.; sez.VI 21 maggio 2009
n.40496, Messina; sez.VI 18 dicembre 2006 n.5782, Gagliano; sez.V 16 maggio 2000 n.8891,
Callegari), ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento
solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne
implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la
responsabilità del reo. Nel caso di specie la struttura argomentativa posta a base della pronuncia
impugnata evidenzia -in maniera esauriente, coerente e logica- la sussistenza di elementi sufficienti
per una valutazione in senso positivo sulla responsabilità anche con riferimento all’elemento
soggettivo del reato di ricettazione, con la conseguente mancanza di necessità di procedere
all’esame degli ulteriori testi indicati in maniera del tutto generica dalla difesa. Può quindi
concludersi che nella sentenza impugnata è stata fatta puntuale applicazione del consolidato
principio giurisprudenziale secondo il quale, in tema di ricettazione, la conoscenza della
provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi
anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita
della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della
cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente
spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez.II 11 giugno 2008 n.25756, Nardino; sez.II 27
febbraio 1997 n.2436, Savic). Nella sentenza impugnata l’assenza di idonee spiegazioni in ordine
alla legittima acquisizione dell’autovettura si pone, quindi, come coerente e necessaria conseguenza
di un acquisto illecito.
Il terzo e il quarto motivo sono del pari manifestamente infondati.
Il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante
prevista dall’art.62 n.4 cod.pen. nonché dell’ipotesi attenuata prevista dal secondo comma
dell’art.648 cod.pen. era stato chiesto in maniera del tutto generica nell’atto di appello. Peraltro la
Corte territoriale ha motivato -in maniera adeguata e completa, insindacabile nel merito- la mancata

Pertanto la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale per l’esame di testi dichiaratamente

applicazione di dette attenuanti conformandosi ai principi della giurisprudenza di legittimità. La
concessione o meno delle attenuanti generiche rientra infatti nell’ambito di un giudizio di fatto
rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far
emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Cass. sez.VI 28 ottobre 2010 n.41365,
Straface) e, pertanto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente
prevalente rispetto ad altri (Cass. sez.V1 28 maggio 1999 n.8668, Milenkovic), come nel caso di
specie è avvenuto essendo stata la pluralità dei precedenti penali evidenziata sia dal giudice di
primo grado che dal giudice di appello. Quanto alle due ulteriori attenuanti, nella motivazione della
sentenza impugnata si è rilevato che l’autovettura oggetto della ricettazione (una Lancia K) aveva
un notevole valore commerciale ed era “equipaggiata” con targhe e numero di telaio di altre
autovetture di pari valore e, inoltre, si sono posti in risalto la pessima personalità dell’imputato,
gravato da plurime condanne, e il suo atteggiamento processuale. La Corte territoriale, escluso di
poter ravvisare nella fattispecie in esame la particolare modestia del bene in ipotesi rilevante ex
art.62 n.4 cod.pen., ha poi fatto puntuale applicazione del consolidato principio giurisprudenziale
secondo il quale la “particolare tenuità” che attenua il delitto di ricettazione va desunta da una
complessiva valutazione del fatto il quale, avendo riguardo sia alle modalità dell’azione, sia alla
personalità dell’imputato, sia al valore economico della res ricettata, deve evidenziare una rilevanza
criminosa assolutamente marginale (Cass. sez.II 9 maggio 2007 n.32832, Ferrari; sez.I 7 luglio
2010 n.33510, Liccardo Gr).
Anche il quinto motivo è manifestamente infondato.
Il termine massimo di prescrizione da applicarsi nel caso in esame è quello decennale
(termine ordinario di otto anni, aumentato di un quarto per effetto degli atti interruttivi) previsto
dalla disciplina introdotta dalla legge n.251/2005, poiché alla data di entrata in vigore della predetta
legge il procedimento non era ancora pendente in grado di appello (cfr. sentenza della Corte
costituzionale n.393/2006) essendo stata la sentenza di primo grado emessa il 23 aprile 2009.
Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini dell’applicazione delle
disposizioni transitorie di cui all’art. 10, comma terzo, della legge n. 251 del 2005, la pendenza del
grado di appello, che rileva per escludere la retroattività delle norme sopravvenute più favorevoli,
ha inizio con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, che deve ritenersi intervenuta
con la lettura del dispositivo (Cass. Sez.Un.29 ottobre 2009 n.47008, D’Amato; sez.V 16 aprile
2009 n.25470, Lala sez.V 16 gennaio 2009 n.7697, Vener; sez.V 5 dicembre 2008 n.2076, Serafini;

fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto

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sez.VI 10 ottobre 2008 n.40976, Nobile; sez. V 19 giugno 2008 n.38720, Rocca; sez.VI 26 maggio
2008 n.31702, Serafm). Ne consegue che il termine massimo di prescrizione nel caso di specie,
essendo stato il reato accertato il 28 ottobre 2002, alla data della sentenza di appello (23 aprile
2009) -ed anche alla data odierna- non era decorso. L’inammissibilità del ricorso per cassazione, che
non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude peraltro la possibilità di
rilevare e dichiarare la prescrizione del reato eventualmente maturata dopo la sentenza impugnata
22 marzo 2005 n.23428, Bracale).
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

con il ricorso (Cass. Sez.Un.22 novembre 2000 n.32, De Luca; 27 giugno 2001 n,33542, Cavalera;

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