Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45325 del 14/10/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 45325 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Lotti Giuliano, n. a Carpi (MO) il
14.12.1956, rappresentato ed assistito dall’avv. Graziano Martino, di
fiducia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Modena, in funzione di
giudice del riesame, n. 55/2015, in data 16.06.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
sentita la discussione del difensore, avv. Graziano Martino, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento
impugnato.

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Data Udienza: 14/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 16.05.2015, la Procura della Repubblica presso
il Tribunale di Modena, ipotizzando il reato di cui all’art. 648 cod.
pen., convalidava il sequestro probatorio di gr. 431,54 di oro eseguito
dalla Guardia di Finanza della Compagnia di Carpi in data 14.05.2015
presso la ditta individuale Oromania di Lotti Giuliano.

una verifica amministrativa presso la ditta Oromania; dall’esame
sinottico del registro di pubblica sicurezza ex art. 128 TULPS, del
bollettario DDT e dell’inventario 2014 risultavano i seguenti dati sulla
disponibilità, acquisti e cessioni di oro:
-giacenza contabile rilevata al 31.12.2014: gr. 1.119,00;
– acquisti rilevati dal registro di pubblica sicurezza (anno 2015): gr.
2.512,90;
– cessione oro usato per successiva fusione (anno 2015): gr.
3.067,00;
– rimanenza contabile al 14.05.2015: gr. 564,10.
1.2. Ferma la giacenza contabile di gr. 564,10, gli operanti
constatavano che la giacenza effettiva ammontava a gr. 995,64, con
un’eccedenza di gr. 431,54, dando conto che, dalla documentazione
esibita dal Lotti, non si ricavava un riscontro analitico in ordine ai
singoli oggetti in rilievo. Il medesimo Lotti riferiva che la divergenza
era dovuta alla presenza di “oro nuovo acquistato dai grossisti e che
era destinato alla vendita”. A quel punto, gli operanti ipotizzavano il
reato di ricettazione, ponendo sotto sequestro la rilevata eccedenza di
gr. 431,54.
1.3. In sede di convalida si dava atto che il vincolo reale aveva avuto
ad “oggetto il corpo del reato/cosa pertinente al reato, necessario/a
per la ricostruzione del fatto e per dimostrare l’ascrivibilità del reato
alla persona sottoposta alle indagini”.

2. Avverso il sunnominato decreto di sequestro, nell’interesse di Lotti
Giuliano, veniva proposto ricorso ex art. 324 cod. proc. pen. avanti al
Tribunale di Modena che, con ordinanza in data 16.06.2015, rigettava
il gravame confermando il provvedimento impugnato.

i

1.1. In data 14.05.2015, personale della Guardia di Finanza avviava

3. Nei confronti di detta ordinanza, nell’interesse di Lotti Giuliano,
viene proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 253
cod. proc. pen.) ai fini dell’emissione del provvedimento di sequestro
(primo motivo);
– insussistenza di nesso probatorio tra la res attinta dalla cautela reale
ed il reato addebitato all’indagato (secondo motivo).

sussistenza del

fumus

fosse stata erroneamente tratta dalla

discrepanza tra la quantità di oro risultante dal registro di pubblica
sicurezza e quella rinvenuta all’atto dell’accertamento da parte dei
militari della Guardia di Finanza, discrepanza in realtà determinata
dalla vendita, unitamente all’oro usato acquistato dai privati, di
rimanenze di magazzino dell’attività di oreficeria dell’indagato che, in
quanto acquistato dai grossisti, non rientrava nella “contabilità” di cui
al registro previsto dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. La
difesa ha anche evidenziato come la vendita di “oro nuovo” era
determinata anche dalla forte impennata della quotazione del metallo,
per cui tale operazione aveva anche una giustificazione economica.
La motivazione resa sul punto dal Tribunale appare erronea e fondata
su un evidente travisamento dei dati probatori.
3.2. In relazione al secondo motivo, evidenzia il ricorrente come,
essendo stata fornita la prova che i monili sequestrati – in quanto
acquistati da privati in data successiva al 16.04.2015 (data in cui
l’indagato ha venduto per la fusione tutto l’oro acquistato dai privati
oltre a monili che costituivano rimanenze di magazzino, acquistati da
grossisti) – erano stati regolarmente registrati ai fini del testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza, conseguentemente, non sussisteva
alcun vincolo di pertinenza con il reato supposto, atteso che gli stessi
non possono essere utilizzati in chiave probatoria al fine di “verificare
la provenienza dei singoli oggetti da reati presupposti, anche
risalendo ai precedenti proprietari” così come ritenuto nell’ordinanza
impugnata: da ciò emerge chiaramente come il sequestro probatorio
sia stato emesso al di fuori dei presupposti previsti dalla legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

/

3.1. In relazione al primo motivo, lamenta il ricorrente come la

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta
inammissibile.
2. L’art. 325 cod. proc. pen., prevede, com’è noto, che, contro le
ordinanze in materia di riesame di misure cautelari reali, il ricorso per
cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge. La
giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha,
tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano

ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia
quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato
argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario
logico seguito dal giudice (cfr., Sez. U, sent. n. 25932 del
29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf., Sez. 5, sent. n. 43068 del
13/10/2009, Bosi, Rv. 245093). Solo di fronte all’assenza, formale o
sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei
provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento
essenziale dell’atto.
3. Manifestamente infondato è il primo motivo di censura.
Il provvedimento impugnato evidenzia la sussistenza del

fumus

commissi delicti in presenza di allegazioni di elementi idonei a
significare l’esistenza del fatto di reato e la sua attribuzione al
soggetto indagato; a fronte di ciò, le allegazioni difensive sono state
considerate inidonee ad offrire argomenti dirimenti in senso contrario.
3.1. La rimanenza contabile è stata analiticamente calcolata così
come la giacenza effettiva e la consequenziale eccedenza posta sotto
sequestro; i dati documentali raccolti dagli operanti non sono stati
contestati.
3.2. Ma non solo. Rilevano i giudici di merito come la sequenza di
operazioni descritte dal ricorrente, non solo non risolve l’incongruenza
ma ne introduce una ulteriore e distinta. Si legge nel provvedimento
impugnato: “… la circostanza che, dopo la cessione del 16.04.2015
siano registrati acquisti per gr. 1037,20 senza alcuna cessione
successiva, con la conseguenza di una giacenza contabile addirittura
superiore a quella effettiva di gr. 995,64, pone subito un’indicazione
… di incoerenza ed imprecisione contabile, dal momento che pare
logicamente indicare la vendita non contabilizzata di monili registrati

4

in acquisto e non più presenti all’atto del controllo … ; … il rilievo non
incide in alcun modo su quanto sopra indicato in ordine al fatto che i
raffronti operati indicavano che, nell’arco della fine del 2014 alla data
del 14.5.2015, erano intervenuti acquisti di gr. 431,54 di monili d’oro
non registrati né in altro modo documentati”.
4. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di censura.
La difesa ha contestato la pertinenza dei beni rispetto al reato

4.1. Condivide il Collegio l’osservazione del Tribunale secondo cui il
corpo del reato di ricettazione, nel quadro fluido dell’accusa, sia
costituito non indistintamente da monili corrispondenti ad un peso di
gr. 431,54, ma soltanto da quei monili specifici di cui, non constando
annotazioni di acquisto, non risulta una provenienza documentata.
4.2. Si è peraltro visto come la polizia giudiziaria, non essendo stata
in grado di individuare detti monili sulla base delle scritture contabili
esaminate, si è determinata a sequestrare monili per equivalenti gr.
431,54; il provvedimento impugnato ha tuttavia riconosciuto, con
motivazione del tutto giustificata, come i beni sequestrati
costituiscano cose pertinenti al reato, dovendosi considerare tali le
cose che sono in rapporto indiretto con la fattispecie criminosa
concreta e risultano strumentali all’accertamento dei fatti, ovvero
quelle necessarie alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di
preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce,
all’identificazione del colpevole, all’accertamento del movente ed alla
determinazione dell'”ante factum” e del “post factum” comunque
ricollegabili al reato, pur se esterni

alriter criminis”,

purché

funzionali all’accertamento del fatto ed all’individuazione dell’autore
(cfr., ex multis, Sez. 4, sent. n. 2622 del 17/11/2010, Rossini, Rv.
249487).
4.3. Nella fattispecie, osserva inoltre il Tribunale, il nesso di
pertinenza appare evidente ed addirittura più ampio rispetto a quello
con cui si è limitato il sequestro: invero, si afferma nel provvedimento
impugnato come “la circostanza che la delimitazione operata dalla
polizia giudiziaria abbia seguito un implicito criterio di individuazione
del corpo del reato, errando laddove ne ha di fatto presupposto una
insussistente fungibílità … non toglie che il sequestro abbia
effettivamente attinto cose pertinenti al reato nel senso che si è

.4/

contestato.

appena chiarito …”.
4.4. Fermo quanto precede, si osserva pertanto come il
provvedimento impositivo della cautela reale risulti sorretto da idonea
motivazione in ordine alla finalità in concreto perseguita con
l’apposizione del vincolo che si connette, in termini idoneamente
univoci, all’esigenza probatoria di verificare la provenienza dei singoli
oggetti da reati presupposti anche risalendo ai precedenti proprietari.

attraverso l’uso di formule di carattere generale, quando queste
null’altro riflettano che la ricorrenza nel caso di specie di esigenze
apprezzabili in un intero genus di casi.
5. Alla pronuncia consegue pertanto l’inammissibilità del ricorso e,
per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro
1.000,00

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del
14.10.2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Andrea Pellegrino

Dott. Mario Gentile

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Peraltro, tale obbligo motivazionale può risultare assolto anche

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