Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4528 del 29/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4528 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RANNESI SALVATORE N. IL 26/03/1967
avverso l’ordinanza n. 25/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
29/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 29/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Catania, giudice dell’esecuzione, con ordinanza
deliberata il 29 novembre 2012, ha respinto la domanda proposta da Rannesi
Salvatore, diretta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato

prima della Corte di appello di Catania, sezione per i minorenni, in data
7/06/1985, di condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione per i
delitti di concorso in rapina aggravata, consumata e tentata, commessi in
Catania, il 19 giugno 1983; la seconda della Corte di appello di Catania in data
23/01/1987, in riforma di sentenza del Tribunale di Catania, per i delitti di rapina
aggravata e violazioni della legge sulle armi, commessi in Catania il 7 giugno
1985.
A sostegno della decisione la Corte ha addotto che, al di là dell’omogeneità
tipologica e della relativa prossimità temporale dei fatti giudicati, la lettura delle
sentenze di condanna dimostrava con chiarezza la riconducibilità delle violazioni
ad autonome ed occasionali determinazioni, insorte e delineate nei loro elementi
cognitivi e volitivi in distinti e successivi momenti storici, che, oltre a collocarsi
all’apprezzabile distanza temporale di circa due anni tra loro, presentavano
connotazioni soggettive ed oggettive (modalità e circostanze) del tutto
eterogenee, tali da dimostrare l’insussistenza di un progetto criminoso unitario.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Rannesi, tramite il difensore, il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e l’illogicità della motivazione emergente
dallo stesso testo dell’ordinanza impugnata, dove si legge della “relativa
prossimità temporale” tra i fatti oggetto delle due sentenze di condanna e, poco
più sotto, delrapprezzabile distanza temporale”, circa due anni, tra loro
intercorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento per la manifesta infondatezza della
censura motivazionale proposta.

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tra i fatti di rapina e reati connessi giudicati con due sentenze di condanna: la

Il ricorrente sostiene che la Corte di appello, pur riconoscendo che i reati
commessi sono omogenei e si collocano ad una distanza temporale
relativamente prossima, avrebbe contraddittoriamente escluso la sussistenza
della continuazione affermando, al contrario, l’apprezzabile intervallo temporale
di circa due anni tra le violazioni, ignorando la ricorrenza degli indici sintomatici
dell’unitarietà del disegno criminoso.

distinto tra la generica programmazione di reati, frutto di una scelta di vita
dedita al crimine, cui ha ritenuto riconducibili i fatti oggetto delle condanne
subite dal ricorrente, e l’identità del disegno criminoso che postula un unico
momento ideativo e volitivo comprensivo di tutte le singole violazioni, già
prefigurate fin da quel momento, seppure a grandi linee, escludendone la
ricorrenza nel caso di specie.
In particolare, con motivazione adeguata e coerente, esente da violazioni
delle norme di diritto e delle regole della logica (la censurata espressione
“relativa prossimità temporale” non equivale a vicinanza cronologica e non
contraddice la successiva sottolineatura di “apprezzabile distanza” di circa due
anni tra i fatti separatamente giudicati), correttamente ancorata al contenuto
delle due sentenze esaminate, la Corte ha osservato che i fatti, anche se
tipologicamente omogenei, risultavano eseguiti con modalità diverse e in contesti
temporali non ravvicinati, senza che ricorressero elementi a sostegno di un
momento iniziale di unitaria rappresentazione e volizione di essi, riconducibili
piuttosto ad autonome determinazioni tra loro non collegate.
E ciò in conformità della consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo
la quale (Sez. 1,
n. 2074 del 11/05/1992, dep. 05/06/1992, Valinotto, Rv. 190533; conformi: n.
2529 del 1992; n. n.574 del 1993; n. 6553 del 1996; n. 18037 del 2004; n.
3747 del 2009; n. 40123 del 2010; n. 34756 del 2012).

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C10/——›

Osserva la Corte che il Giudice dell’esecuzione ha, invece, correttamente

5. Alla dichiarazione di inammissibilità segue, ai sensi dell’art.

616, comma

1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle ammende di
una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il minimo ed il

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 29 ottobre 2013.

massimo previsti, in euro mille.

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