Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45263 del 13/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 45263 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Restivo Giuseppe, nato a Lanciano (Ch) il 28/8/1983

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Catania in data
19/12/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Sante Spinaci, che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19/12/2014, la Corte di appello di Catania riformava la
pronuncia emessa il 22/3/2010 dal Tribunale di Siracusa nei confronti di
Giuseppe Restivo quanto alle circostanze attenuanti generiche, confermandola in
punto di penale responsabilità per il delitto di cui all’art. 349 cod. pen., così
rideterminando la pena di un due anni di reclusione; allo stesso – nella qualità di
custode – era ascritto di aver violato i sigilli apposti ad un immobile abusivo.

Data Udienza: 13/10/2015

2. Propone ricorso per cassazione il Restivo, a mezzo del proprio difensore,
deducendo due motivi:
– violazione e falsa applicazione della prova in relazione agli artt. 192, 546,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. La Corte di appello avrebbe confermato la
sentenza di condanna pur a fronte di una condotta priva di rilevanza penale; ed
invero il ricorrente avrebbe agito esclusivamente per evitare la rovina
dell’edificio, nell’ambito di una mera attività conservativa volta alla tutela del
bene e della sicurezza pubblica. Al più, in ogni caso, si sarebbe dovuto ipotizzare

– mancanza di motivazione quanto al diniego della sospensione condizionale
della pena. La Corte avrebbe negato il beneficio, pur sussistendone i presupposti
di legge, con una motivazione meramente apparente, senza indicare le effettive
ragioni della decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo
del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza
strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logicoargomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009,
Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo
di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a
norma dell’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella
evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i; ciò in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi,
per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv.
226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e

2

il delitto di cui all’art. 350 cod. pen.;

altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).
Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il
giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al
provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate; ed
invero, dietro l’apparenza di una violazione di legge, lo stesso invoca una lettura
alternativa e più favorevole delle medesime emergenze istruttorie già esaminate
dai Giudici di merito, con particolare riguardo all’elemento soggettivo del reato.

A ciò si aggiunga, peraltro, che il ricorso oblitera del tutto la motivazione
stesa dalla Corte di merito, la quale ha risposto con argomento del tutto logico,
congruo ed immune da vizi alla medesima doglianza qui riproposta (sollevata,
peraltro, sotto profilo ben diverso da quello dedotto in appello, laddove la
mancanza dell’elemento soggettivo era stata fondata non già sulla natura
dell’intervento, asseritamente conservativo, ma sulla finalità propriamente
abitativa sottesa alla violazione compiuta). In particolare, la sentenza ha
evidenziato che il Restivo – custode dell’immobile in sequestro – era ben
consapevole degli obblighi che derivavano dalla medesima qualità, nonché dei
divieti imposti sul bene, attesa l’evidenza degli stessi in capo a chicchessia, a
prescindere dall’età o dal grado di istruzione; dal che la piena coscienza e
volontà di violare i sigilli, sì da integrare il delitto di cui all’art. 349 cpv. cod. pen.
(confermata, peraltro, anche dalle circostanza – indicata nella sentenza di primo
grado, alla quale l’altra si lega in un continuum motivazionale, attesa la cd.
doppia conforme sulla responsabilità – che gli operanti «avevano espressamene
diffidato il Restivo dal proseguire i lavori (cfr., sul punto, il verbale di sequestro
del 2/1/07)»).
Né peraltro, pare lecito ipotizzare la fattispecie di cui all’art. 350 cod. pen.,
come affermato nel ricorso, atteso che la stessa – che presupporrebbe
l’agevolazione colposa di un’altrui violazione – non è stata mai dedotta in sede di
merito, sì da non esser trattata nella sentenza impugnata.

444a44:
4. Con riguardo, infine, al secondo motivo, lo stesso risulta parimenti

infondato.
Ed invero, la sospensione condizionale della pena è stata richiesta in sede di
appello in termini esclusivamente “nominali”, senza alcuna motivazione od
argomento (riservata, invece, alla richiesta delle circostanze attenuanti
generiche); richiesta, pertanto, a fronte della quale la motivazione redatta dalla
Corte – che ha negato il beneficio per carenza delle condizioni soggettive ed
oggettive – deve ritenersi adeguata.

3

Il che, come appena indicato, non è consentito in questa sede.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2015

Il

sigliere estensore

Il Presidente

equitativamente fissata in euro 1.000,00.

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