Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4522 del 29/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4522 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DIMICCOLI MICHELE N. IL 19/01/1983
avverso l’ordinanza n. 2618/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di TRANI, del 03/08/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 29/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 3 agosto 2012, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani ha
applicato a Dimiccoli Michele la pena di mesi dieci di reclusione, con le
attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata, per il reato di
violazione delle prescrizioni della misura di prevenzione della sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, commesso in

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte di
cassazione il Dimiccoli tramite il difensore di fiducia, il quale lamenta
violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo all’omesso controllo
della sussistenza di cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc.
pen.

CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un
meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico
ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta
contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le
stesse e sull’entità della pena. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di
controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della
pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato che non emerga in modo
evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc.
pen
Ne consegue che -una volta ottenuta l’applicazione di una determinata
pena ex art. 444 cod. proc. pen.- l’imputato non può rimettere in
discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché essi sono
coperti dal patteggiamento.
Tanto premesso, la Corte osserva che il motivo di ricorso è
manifestamente infondato, atteso che il giudice, nell’applicare la pena
concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto nell’accordo
intervenuto fra le parti, apprezzando la congruità della pena pattuita; e,
dall’altro, ha escluso la sussistenza dei presupposti di cui all’art.129 cod.
proc. pen., alla stregua degli elementi di prova richiamati in sentenza.

Barletta il 19 giugno 2012.

Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento
in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare
pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni,
secondo la costante giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra le altre,
Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv.
191134 e 191135; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995,
Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 11493 del 24/06/1998, dep. 03/11/1998,

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi

dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria, che si stima equo determinare in euro
millecinquecento.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 in
favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 29 ottobre 2013.

Verga, Rv. 211468).

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