Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4519 del 29/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4519 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROSSODI VITA AGOSTINO BENEDETTO N. IL 16/05/1949
avverso l’ordinanza n. 28/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
18/09/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 29/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata il 18 settembre 2012 la Corte di appello di
Roma ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione proposta
da Rossidivita Agostino Benedetto nei confronti della d.ssa Paola De Martiis,
presidente del secondo collegio della quinta sezione penale del Tribunale di
Roma, in relazione al procedimento n. 16755/2011 nel quale il Rossodivita

A sostegno della decisione la Corte ha addotto la genericità della
denuncia di anticipazione del giudizio formulata dal dichiarante nei confronti
del magistrato, poiché il Rossodivita non aveva indicato alcuno dei fatti dai
quali desumere tale anticipazione e, neppure, la data dell’udienza in cui
essa si era verificata, al fine di rendere possibile il controllo sulla
tempestività della dichiarazione di ricusazione.
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Rossodivita personalmente, per denunciare vizio della motivazione e
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento
agli artt. 37-38 cod. proc. pen. e ad altre norme “statuite (così
testualmente) nell’ordinamento penitenziario”, lamentando in particolare il
fumus persecutionis di cui sarebbe vittima da parte del magistrato ricusato,
il quale lo avrebbe allontanato dall’aula di udienza per ben quattro volte,
senza alcun motivo, e non avrebbe provveduto su due istanze di
anticipazione di udienza istruttoria, nonostante la lunga durata del processo
che si protrae da quasi due anni e il suo stato di detenuto in attesa di
giudizio.
3. In data 6 giugno 2013 è pervenuta memoria difensiva, personalmente
redatta dal ricorrente, che enuncia tre motivi: a) la violazione di legge per
mancata acquisizione del diario clinico penitenziario, integrante, a suo
avviso, prova decisiva idonea a determinare una deliberazione del tutto
diversa da quella assunta; b) l’inosservanza di “norma processuale” (art.
147 n. 2 cod. pen.) in tema di differimento della pena, sottolineando la
legittimità della sua richiesta conforme sia al codice penale ; sia
all’ordinamento penitenziario; c) la mancanza e manifesta illogicità della
motivazione dell’ordinanza impugnata, poiché il giudice avrebbe respinto “i
motivi di impugnazione specificamente proposti dal ricorrente in termini
apodittici, senza farsi carico di argomentare sulla non pertinenza delle
argomentate censure”.

è imputato.

CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per la radicale genericità dei motivi da
affermarsi sotto un duplice profilo, sia perché quelli presentati il 9 ottobre
2012 presso il giudice a quo, richiamanti espressamente l’ordinanza di
inammissibilità della dichiarazione di ricusazione, non contengono alcuna
precisazione degli elementi che suffragherebbero la ricusazione e che

proprio in considerazione della genericità anche dell’istanza originaria, ne
ha sancito l’inammissibilità nell’ordinanza qui impugnata; sia perché i
motivi nuovi, esposti nella più recente memoria del 6 giugno 2013, oltre ad
essere a loro volta intrinsecamente generici, sono totalmente estrinseci
rispetto al presente procedimento di ricusazione, evocando le condizioni di
salute del Rossodivita e la loro pretesa incompatibilità con lo stato di
detenzione in carcere, in contrasto con le disposizioni del codice penale e
dell’ordinamento penitenziario che avrebbero imposto, secondo il ricorrente,
il rinvio dell’esecuzione della pena, istituto, quest’ultimo, che postula la
condizione di condannato e non quella di imputato rivestita dal ricorrente
nel procedimento pendente davanti al collegio presieduto dal giudice
ricusato.
Discende, a norma degli artt. 591, comma 1, lett. c), e 581, comma 1,
lett. c), cod. proc. pen., l’inammissibilità del ricorso a questa Corte.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 29 ottobre 2013.

avrebbero imposto una diversa decisione della Corte di appello, la quale,

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