Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45178 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45178 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

BALDANI Mario, nato a Pennabilli il 11/10/1955
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona del 7 febbraio 2013.

Letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Pasquale
Fimiani, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
sentito, altresì, l’avv. Lorenzo Valenti, che ne ha chiesto, invece, l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Ancona
confermava la sentenza del 14 luglio 2011 con la quale il Gup del Tribunale di
Pesaro, pronunciando con le forme del rito abbreviato, aveva dichiarato Mario
Baldani, nella qualità di amministratore unico della società Baldani Costruzioni s.r.I.,
colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale a lui

Data Udienza: 27/05/2015

ascritti e, per l’effetto, l’aveva condannato alla pena di giustizia, oltre
consequenziali statuizioni.
Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputato, avv. Lorenzo Valenti,
ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito
indicate.
Con il primo motivo d’impugnazione si denuncia mancanza, contraddittorietà
o manifesta illogicità della sentenza, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. prc. pen. Si
lamenta, in particolare, che il giudice di appello non abbia dato credito alle

in cassa, per complessivi C 180.185,09, utilizzate, in realtà, per ragioni inerenti a
fini societari, quali il pagamento di ore di straordinario arretrato alle maestranze.
Parimenti giustificata era la destinazione della residua somma di C 22.078.65
versata in un libretto di deposito al portatore a garanzia degli affidamenti bancari.
Quanto al contestato reato di bancarotta documentale, si sostiene che la
mancanza di scritture contabili era supplita dalla documentazione prodotta
dall’imputato e dalle dichiarazioni da lui rese, che avevano consentito di ricostruire
la destinazione delle somme anzidette.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 217 I.f., sul rilievo che il
fatto in contestazione avrebbe dovuto semmai ricondursi al paradigma della norma
menzionata. Nessun obbligo di tenuta delle scritture contabili, del resto, sussisteva
a carico dell’istante, posto che la società era da tempo inattiva e che la
dichiarazione di fallimento avrebbe dovuto considerarsi non già come elemento
costitutivo del reato, sì da segnare il momento consumativo dello stesso, ma mera
condizione di punibilità, sicché, ad ogni modo, il reato avrebbe dovuto ritenersi
prescritto, dovendo farsi riferimento alla data in cui erano state poste in essere le
singole condotte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La prima censura è manifestamente infondata, non potendosi condividere il
rilievo critico del ricorrente in ordine alla ritenuta idoneità del compendio
motivazionale, che appare, di contro, ineccepibile.
In particolare, il giudice a quo ha fatto corretta applicazione, nel caso di specie,
della regola di giudizio dettata da indiscusso insegnamento giurisprudenziale di
questa Corte regolatrice, secondo cui, a fronte del dato oggettivo dell’ammanco di
beni sociali, che sarebbero dovuti risultare nella disponibilità della società fallita,
spetta all’imputato rendere spiegazione in merito alla loro destinazione, ai fini del
necessario accertamento della relativa utilizzazione per fini della società o per
ragioni ad essi estranee (tra le altre, Cass. Sez. 5 15.12.2004, n. 3400, rv 231411),
senza che un siffatto regime probatorio possa integrare indebita inversione

2

giustificazioni rese dall’imputato in ordine alla destinazione delle somme mancanti

dell’ordinario onus probandi. In particolare, la Corte distrettuale ha chiaramente
precisato che le giustificazioni rese al riguardo dall’imputato erano implausibili e,
comunque, prive di qualsivoglia riscontro.
Si tratta, come è evidente, di apprezzamento squisitamente di merito, che, in
quanto adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di questa Corte di
legittimità.
Anche la seconda censura è manifestamente infondata, posto che il giudice a
quo ha chiaramente indicato le ragioni del ribadito giudizio di colpevolezza a carico

di cui risultano indicati i presupposti oggettivo e soggettivi – anche alla luce della
contestuale lettura della sentenza di primo grado, che, data la convergenza in
punto di penale responsabilità, forma con quella in esame una sola entità giuridica.
In particolare, risulta adeguatamente focalizzato il momento soggettivo tipico
del reato in questione, consistente, come è risaputo, nella mera consapevolezza che
la confusa tenuta della contabilità possa rendere impossibile la ricostruzione delle
vicende del patrimonio. Indagine, questa, decisiva ai fini del nomen iuris del fatto in
contestazione, giacché l’elemento soggettivo segna il discrimine tra l’ipotesi di reato
in questione e la meno grave fattispecie della bancarotta semplice, che,
correttamente, è stata quindi esclusa dalla Corte territoriale (Sez. 5, 18.10.2005, n.
6769, Rv. 233997).
Esattamente è stata, poi, ritenuta l’irrilevanza dell’atteggiamento collaborativo
manifestato dall’imputato dopo la dichiarazione di fallimento, al fine di consentire,
peraltro solo in parte, la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari,
trattandosi di post- factum ininfluente, anche alla luce di consolidato orientamento
interpretativo di questa Corte, secondo cui

sussiste il reato di bancarotta

fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda
impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche
quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da
difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010,
Rv. 247965).
Il riconoscimento della correttezza del nomen iuris della fattispecie oggetto di
giudizio assorbe, come è ovvio, ogni altro rilievo difensivo, specie in ordine alla
configurazione giuridica della declaratoria di fallimento ai fini di eventuale
declaratoria di estinzione, per maturata prescrizione, di alternativa fattispecie
delittuosa (in termini di bancarotta documentale semplice).

2. Il ricorso, pertanto, è inammissibile ed alla relativa declaratoria conseguono
le statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.
3

dell’imputato in ordine al contestato reato di bancarotta fraudolenta documentale,

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deciso il 27/05/2015

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