Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45174 del 22/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45174 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FARAGONA MAURIZIO N. IL 03/02/1960
POZZI JONAS N. IL 26/04/1965
avverso la sentenza n. 1577/2008 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 11/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/05/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.
Paola Filippi, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito per i ricorrenti, l’avvocato Stefano Caroli, che ha illustrato i motivi di
ricorso chiedendone l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 11.4.2014 la Corte d’Appello di Bologna, in
parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Rimini in data 24.2.2003,
riduceva la pena inflitta a Faragona Maurizio e Pozzi Jonas ad anni due di

distrazione e documentale per avere il primo, in qualità di amministratore di
diritto ed il secondo di amministratore di fatto della società JMC AUTO, dichiarata
fallita in data 24.2.2003, distratto la somma di circa C 53.000,00 provento della
vendita di alcune auto e per aver tenuto la contabilità in guisa da non rendere
possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
2.Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, deducendo:
– con il primo motivo, l’ erronea applicazione della legge penale ex art. 606
lett. b) c.p.p., per difetto dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, atteso che, nel caso di
specie, non risulta essersi verificato alcun distacco ingiustificato di denaro dal
patrimonio aziendale a scapito dei diritti dei creditori, come risulta dalla relazione
redatta dallo stesso curatore fallimentare, su apposito invito del P.M., nella quale
si dà atto che la società JMC Auto s.r.l. non ha posto in essere alcuna
diminuzione fittizia o effettiva di patrimonio, non sono stati assolutamente
effettuati pagamenti preferenziali o simulatori di titoli dì prelazione a vantaggio
di qualche creditore, sícchè non si è registrata una diminuzione dell’attivo
societario, né fittizia, né tantomeno reale e non si è neppure concretizzato il
pericolo attuale di lesione dei diritti patrimoniali dei creditori, le cui ragioni,
peraltro, hanno trovato pieno soddisfacimento nonostante l’intervenuto
fallimento della società JMC Auto s.r.l.; anche sotto il profilo soggettivo il delitto
di specie non è integrato, non ravvisandosi in capo ai prevenuti alcuna volontà
distrattiva del denaro conseguito con la vendita delle auto, e nemmeno la
rappresentazione del pericolo di lesione dell’interesse patrimoniale dei creditori;
al contrario, gli imputati medesimi si sono impegnati, con tutte le loro forze, al
fine di soddisfare interamente le richieste della massa dei creditori, come
emerge dal decreto di chiusura del Fallimento, emesso dal Tribunale di Rimini, il
07/08/2007, ai sensi dell’art.118, n.2 R.D. 267/42, attestante la compiuta
ripartizione finale dell’attivo, con pagamento integrale dei creditori ammessi,
nonché con ripartizione della somma di C 2.216,66, quale residuo attivo del
fallimento in favore di )MC Auto s.r.I.;
1

reclusione ciascuno, in relazione ai delitti di bancarotta fraudolenta per

-con il secondo motivo, l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606,
primo comma, lett. b) c.p.p., per difetto dell’elemento oggettivo e soggettivo del
reato di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216/1 comma, n. 2 l.f. e 223
I.f.), con derubricazione in bancarotta documentale semplice (art. 217/2 I.f. e
224 I.f.), non avendo il curatore fallimentare evidenziato la difficoltà di
ricostruzione della contabilità aziendale, o sottrazione, distrazione o falsificazione
di scritture contabili, essendo state le scritture contabili obbligatorie consegnate
al curatore medesimo; nel caso di specie, inoltre, non è dimostrato che gli

che ciò avrebbe reso impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della
società e per potere affermare la responsabilità penale degli imputati, quanto al
reato contestato, l’accusa avrebbe dovuto fornire la prova che i prevenuti
avessero volontariamente omesso di tenere le scritture contabili, al fine di
impedire la ricostruzione dei movimenti contabili e di ostacolare gli organi del
fallimento nello svolgimento della propria attività, come rilevato dallo stesso
curatore, sicché la condotta degli imputati potrebbe sussumersi entro i margini
della fattispecie meno grave sanzionata all’art. 217 comma 2 I.f. e 224 I.f.
(bancarotta semplice documentale);
-con il terzo motivo, la manifesta illogicità della motivazione ex art.606,
primo comma, lett. e) c.p.p., nella parte in cui è stata riconosciuta la qualifica di
amministratore di fatto in capo a Pozzi Jonas, atteso che il percorso
motìvazionale seguito dalla Corte territoriale sul punto risulta suffragato da
elementi indiziari assolutamente incompleti e parziali, pervenendo alla
conclusione erronea che il prevenuto fosse stabilmente inserito
nell’organigramma aziendale; amministratore di fatto non può essere, infatti,
colui che si ingerisca genericamente o una tantum, nell’attività sociale, ma solo
chi eserciti in concreto e con un minimo di continuità le funzioni proprie degli
amministratori o una di esse, coordinata con le altre; il Pozzi era un semplice
addetto alle vendite, alle dipendenze della società amministrata dal Faragona e,
se è dimostrato che egli svolgeva attività di vendita delle autovetture,
interagendo direttamente con

i clienti, non è parimenti dimostrato che egli

intrattenesse rapporti materiali e negoziali;
-con il quarto motivo, l’erronea applicazione di legge penale ex art.606,
primo comma, lett. b) c.p.p., per l’eccessività del trattamento sanzíonatorio e
per la mancata concessione dell’attenuante ad effetto speciale del danno di
speciale tenuità, ex art. 219 ult. comma I.f.; in particolare, andava concessa
l’attenuante in questione, non solo perché la massa dei creditori non ha subito
alcun danno patrimoniale, stante

l’avvenuta chiusura del fallimento, per

sopravvenuta mancanza del passivo e l’integrale soddisfacíment

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ei diritti di

imputati abbiano tenuto una contabilità confusa e caotica, con la consapevolezza

credito di ciascuno, ma anche perchè le presunte irregolarità nella gestione della
contabilità aziendale, ascritte ai prevenuti, non hanno arrecato alcun danno alla
massa dei creditori.
CONSIDERATO IN DIRITID
Il ricorso non merita accoglimento.
1.11 primo motivo di ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità, atteso
che gli imputati omettono in sostanza di confrontarsi con le precise
argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, illustrative degli elementi

In particolare, i giudici di merito- dopo aver messo in risalto l’inattendibilità
complessiva della contabilità aziendale, siccome esponente fatti non rispondenti
al vero, specificamente enunciati nella sentenza impugnata ed aver evidenziato
come l’amministratore unico aveva redatto e depositato il solo bilancio relativo
all’anno 2001- hanno evidenziato come data l’inattendibilità complessiva della
contabilità aziendale, una volta ricostruito “a posteriori” il magazzino al 31
dicembre 2001 attraverso le fatture di acquisto, le fatture di vendita e
soprattutto il registro dì carico e scarico per autosaloni, proprio dal controllo di
quest’ultimo emergeva che la società fallita aveva venduto (con fattura o senza)
nel corso degli anni diversi automezzi di cui in contabilità non era stato registrato
in alcun modo l’acquisto. Tale circostanza veniva definitivamente confermata
dagli specifici accertamenti compiuti dalla Guardia dì Finanza che evidenziavano
la distrazione della somma complessiva di circa euro 55.329,00, derivante dalla
vendita occulta di sei autovetture, oggetto della contestata bancarotta
fraudolenta distrattiva contestata al capo A della rubrica.
1.1.A fronte di tali elementi, non colgono nel segno le deduzioni degli
imputati che pretendono di far discendere l’insussistenza dell’elemento oggettivo
e soggettivo dei reati di bancarotta in contestazione dal fatto che,
successivamente al fallimento, essi si sarebbero attivati per ripianare i debiti,
ottenendo al chiusura del fallimento.
Sul punto, è sufficiente richiamare í principi, più volte affermati da questa
Corte, secondo cui la chiusura del fallimento per sopravvenuta mancanza del
passivo per essere stati pagati i debiti, non esclude la legittimità e l’efficacia
della sentenza dichiarativa di fallimento e non fa venir meno obiettivamente il
reato di bancarotta documentale fraudolenta, sul quale incide solo la revoca del
fallimento, pronunciabile ex art. 19 L. Fall., (a seguito di opposizione) nel caso
di insussistenza dello stato di insolvenza al momento della dichiarazione di
fallimento (Sez. 5, 05 novembre 1986, n. 1336, Scuderi,Cass. pen. 1987, 1646).
Infatti, il pagamento dei debiti della società fallita è un post factum rispetto alla
dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010).
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oggettivo e soggettivo a loro carico per í delitti di bancarotta in contestazione.

2. Il secondo motivo di ricorso, del pari, si presenta infondato ai limiti
dell’inammissibilità. Anche in questo caso i ricorrenti non si confrontano con le
precise argomentazioni contenute nella sentenza impugnata che hanno messo in
risalto come la contabilità della società fallita era tenuta in modo da non
consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, atteso
che era stato depositato solo il bilancio 2001, non era stata riportata in
contabilità la vendita di una serie di autovetture, al fine di impedire che le
somme di denaro ricavate fossero utilizzate per il soddisfacimento dei diritti della

contabili ovvero erano stati riportati dati non veritieri, tra cui quello dei costi di
impianto, ovvero il compenso all’amministratore. Tali elementi,
complessivamente valutati, hanno indotto i giudici di merito a ritenere, senza
illogicità, che si configurasse nella fattispecie in esame il delitto di bancarotta
fraudolenta documentale e non di bancarotta semplice.
2.1. Sul punto va innanzitutto richiamato il consolidato orientamento di
questa Corte, secondo cui per la bancarotta fraudolenta documentale prevista
dall’art. 216, comma primo, n. 2, I. fall., l’elemento psicologico deve essere
individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare
tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la
ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore

(Sez. 5,

n. 48523 del 06/10/2011). In ogni caso, sussiste il reato
di bancarotta fraudolenta documentale, non solo quando la ricostruzione del
patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state
tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari,
siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza
(Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010). Orbene la parziale e non veritiera tenuta
della contabilità indica la correttezza del ragionamento dei giudici di merito circa
la volontà degli imputati di tenere la contabilità in modo da non rendere possibile
la ricostruzione delle vicende del patrimonio della società. La differenza tra
la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall’art. 216 comma primo n. 2,
L. fall. e quella semplice prevista dall’art. 217, comma secondo, stessa legge
consiste nell’elemento psicologico che, nel primo caso, viene individuato nel dolo
generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle
scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle
vicende del patrimonio dell’imprenditore e, nel secondo caso, dal dolo o
indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta,
rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le
scritture. (Sez. 5, n. 6769 de/ 18/10/2005).

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massa di creditori o comunque registrato l’acquisto di esse nelle scritture

2.2. Per quanto concerne il profilo soggettivo la Corte territoriale non ha
mancato di evidenziare correttamente che nel delitto di bancarotta fraudolenta
per distrazione è richiesto il dolo generico per la cui sussistenza, non è
necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza
dell’impresa, nè che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez.
5, n. 21846 del 13/02/2014).
3. Infondato si presenta, altresì,

il terzo motivo di ricorso con il quale

specificamente il Pozzi si duole della riconosciuta qualità di amministratore di

richiamare i principi più volte espressi da questa corte secondo cui la posizione
dell’amministratore di fatto,

destinatario

delle

norme

incriminatrici

della bancarotta fraudolenta, va determinata con riferimento alle disposizioni
civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e
di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono
sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via
processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione
della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus”
che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell'”iter” di
organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di
lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e
clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale,
disciplinare(Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006;Sez. 5, n. 36630 del 05/06/2003).
3.1. I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei suddetti principi,
rilevando come l’attività del Pozzi non era rivolta alla mera vendita delle auto,
ma il fatto che lo stesso svolgeva le trattative con i clienti, incassava
direttamente il prezzo delle vendite, si presentava come titolare della società e
curava i rapporti con i clienti dimostrava con evidenza l’attività di gestione dallo
stesso di fatto svolta.
4. Del tutto generico si presenta, poi, il quarto motivo di ricorso in merito
alla eccessività della pena ed alla mancata concessione dell’attenuante di cui
all’art. 219/3 L.Fall. Ed invero, i ricorrenti omettono di confrontarsi con le
valutazioni svolte dalla Corte territoriale che ha messo in risalto gli elementi
ostativi alla concessione dell’invocata attenuante, rinvenibili nelle lacune della
contabilità sociale, che non hanno permesso di ricostruire la consistenza del
patrimonio della fallita e di esercitare l’azione revocatoria, nonché nell’entità del
passivo ammesso pari ad euro 99.453,84, elementi questi che danno conto
dell’esistenza e della rilevanza dell’originario danno.
4.1.Tale valutazione, invero, tiene conto di quanto evidenziato da questa
Corte, secondo cui la circostanza attenuante del danno di sp iale tenuità,

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fatto limitandosi egli a svolgere il ruolo di venditore di auto. Giova innanzitutto


prevista dall’art. 219, comma terzo, I. fall., è configurabile quando il danno
arrecato ai creditori è particolarmente tenue o manchi del tutto e la valutazione
rimessa al giudice non può prescindere dal considerare le dimensioni
dell’impresa, il movimento degli affari e l’ammontare dell’attivo e del passivo.
(Sez. 5 n. 17351 del 02/03/2015).
I ricorsi, pertanto, vanno respinti e ciascun ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali.
p.q.m.

processuali.
Così deciso il 22.5.2015

rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese

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