Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45172 del 15/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45172 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti nell’interesse di

Cacopardo Mario, nato a Messina il 10/03/1973

Lisa Mosè, nato a Messina il 25/11/1975

Priscoglio Santino, nato a Milazzo il 16/07/1975

avverso la sentenza emessa il 05/05/2014 dalla Corte di appello di Messina

visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei
ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Il 05/05/2014, la Corte di appello di Messina riformava parzialmente la
sentenza emessa dal Tribunale della stessa città, in data 24/06/2013 ed all’esito
4000
/OrArA

„„9.—

Data Udienza: 15/05/2015

di giudizio abbreviato, nei confronti di Mario Cacopardo, Mosé Lisa e Santino
Priscoglio, imputati di concorso in furto pluriaggravato (nonché, il solo
Cacopardo, di un ulteriore reato ex art. 75 del d.lgs. n. 159/2011, avendo egli
commesso il furto di cui sopra violando le prescrizioni connesse ad una misura di
prevenzione disposta a suo carico).
Il fatto si assumeva realizzato nel primo pomeriggio del 20/08/2012 presso
una tabaccheria, mediante la sottrazione dell’intero carico di sigarette e di
denaro contante da un distributore automatico posto all’esterno dell’esercizio

rinvenuto in loco.

Le immagini registrate da un sistema di videosorveglianza ivi

allestito avevano consentito di riprendere il Cacopardo nell’atto di arrivare sul
posto, dopo di che la telecamera di quell’impianto risultava essere stata spostata
dal normale raggio di ripresa per effetto di un’azione meccanica operata dal
basso (verosimilmente con un bastone o con un oggetto di simile lunghezza):
malgrado ciò, lo strumento rilevava la presenza degli altri due coimputati, colti
nell’effettuare continui spostamenti, come a controllare l’eventuale
sopraggiungere di terzi. Come evidenziato dalla Corte territoriale, il Lisa, in
particolare, «veniva anche ripreso con una lunga asta in mano. Il Priscoglio,
nelle sequenze, si mostrava muoversi circospetto in una vicina aiuola, in contatto
visivo con gli altri».
I tre prevenuti risultavano essere stati riconosciuti de visu dai Carabinieri
che avevano visionato le immagini in parola.
A fronte dei motivi di gravame, fondati sull’impossibilità di individuare nel
Cacopardo, nel Lisa e nel Priscoglio i responsabili dell’azione delittuosa solo in
base a quelle riprese, indicative di una loro mera presenza in prossimità del
distributore, i giudici di appello rilevavano l’esistenza di «elementi del tutto
rassicuranti sul concorso degli imputati nella commissione del furto e sulla
realizzazione del delitto tra le ore 14:10 e le 14:12. Lo “spostamento” della
telecamera si colloca infatti immediatamente dopo l’arrivo del Cacopardo, e
dimostra un collegamento tra il suo arrivo e l’inizio dell’azione esecutiva; la
presenza di un complice, guidato nella sua azione dal medesimo, è ulteriormente
provata dalla innaturale attenzione del Cacopardo nel muoversi fuori dal raggio
di azione della telecamera evitando di essere ripreso. Ancora, la presenza di una
lunga asta poco dopo in mano al Lisa appare ulteriormente indice di una
condotta degli imputati intorno all’obiettivo rimasto privo di spiegazioni
alternative. Quanto al Priscoglio, il suo stesso guardingo correlarsi, dopo essere
sopraggiunto, alla posizione degli altri due è indice di attiva condotta concorsuale
e non può pertanto discutersi di connivenza; peraltro lo stesso, pur negando in
sede di interrogatorio di garanzia la commissione del furto […], ha insistito

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commerciale: detto distributore era stato danneggiato con un piede di porco,

sull’incontro casuale, mentre l’atteggiamento in cui viene ripreso (appostato in
un’aiuola) non può in alcun modo correlarsi alla giustificazione fornita».
La Corte messinese confermava infine la ravvisabilità dell’aggravante di cui
all’art. 625 n. 7 cod. pen., considerando che il distributore si trovava comunque
accessibile al pubblico e che il sistema di videosorveglianza consentiva soltanto
una visione ex post di chi vi si fosse avvicinato. La parziale riforma della
pronuncia di primo grado veniva pertanto disposta solo in ordine al trattamento

2. Il Cacopardo propone ricorso avverso la predetta pronuncia, con atto
personalmente sottoscritto.
Il ricorrente lamenta l’eccessività della pena inflitta, invocando il
riconoscimento in suo favore delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen. (che
assume gli siano state immotivatamente negate) e l’esclusione delle aggravanti
in rubrica; rilevato che a suo carico risulta irrogata una pena pari a circa il
doppio rispetto a quella comminata ai presunti complici, malgrado la non
applicazione della recidiva, il Cacopardo osserva che la Corte territoriale avrebbe
dovuto escludere nei suoi confronti le aggravanti contestate. Egli, infatti, non
aveva partecipato attivamente ad alcuna delle fasi del furto, e sulla sua persona
non erano state rinvenute tracce od elementi di sorta riconducibili al reato.

3. Un ulteriore ricorso viene presentato, nell’interesse di entrambi i suoi
assistiti, dal comune difensore del Lisa e del Priscoglio.
3.1 Con un primo motivo, la difesa dei suddetti imputati lamenta carenza di
motivazione della sentenza impugnata, per non essere stati analizzati tutti i
profili di gravame sollevati nei riguardi della decisione di primo grado. Come già
obiettato in quella sede, infatti, la sola presenza sul posto – da ritenersi passiva,
in difetto di dati di segno contrario – non avrebbe potuto costituire elemento di
prova a carico dei ricorrenti, nulla essendo stato accertato circa la specifica
dinamica dell’azione furtiva e degli autori della stessa.
3.2 II secondo motivo di doglianza, strettamente collegato al precedente,
mira a evidenziare la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., non potendosi gli
indizi raccolti nei confronti del Lisa e del Priscoglio definire gravi, precisi e
concordanti. Circa le ragioni della sua presenza nelle vicinanze della tabaccheria,
il racconto del Priscoglio era stato peraltro riscontrato: egli aveva sostenuto di
essere arrivato in quel luogo per prendere un caffè in un bar che aveva trovato
chiuso, per poi salutare i coimputati incontrati per caso, e risultava accertato che
il bar in questione osservava in effetti orario di chiusura. Anche
l’atteggiamento dell’imputato, nelle fasi riprese dalla telecamera, rivelavano una

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sanzionatorio.

condotta del tutto normale e tranquilla, senza che ne emergessero i profili di un
qualsivoglia concorso, vuoi materiale vuoi morale, all’eventuale furto da altri
realizzato.
Sulla posizione del Lisa, inoltre, vi era stato un evidente travisamento della
prova: egli era stato ripreso nell’atto di brandire un’asta, ma ciò era accaduto
solo dopo lo spostamento della telecamera, mentre appena pochi secondi prima
le immagini registrate avevano colto l’imputato – senza alcunché in mano – ad
una certa distanza.

inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 625 n. 7 e 61 n. 7 cod. pen.,
facendo rilevare:
– che un bene sottoposto ad apposite misure di vigilanze non può intendersi
esposto alla pubblica fede (nella fattispecie, «il distributore scassinato era
vigilato costantemente dalla presenza di telecamere, ivi apposte al fine di dotare
la zona di specifiche misure antifurto idonee a tenere sotto controllo i movimenti
dei clienti»);
– la mancanza di una qualunque motivazione, da parte dei giudici di merito, circa
la configurabilità di un danno patrimoniale di particolare rilevanza, ipotesi che la
casistica giurisprudenziale risulta avere negato anche in presenza di pregiudizi
superiori a quelli verificatisi nel caso concreto.
3.4 L’ultimo motivo di ricorso si riferisce alla lamentata violazione dell’art.
62-bis cod. pen.: le circostanze attenuanti generiche, infatti, sarebbero state
negate agli imputati in considerazione dei loro precedenti, quando invece il
Priscoglio risulta del tutto incensurato ed il Lisa appare gravato da una sola
condanna, per un fatto modesto ed assai risalente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del Cacopardo deve reputarsi inammissibile, per genericità e
manifesta infondatezza dei motivi di doglianza.
Le ragioni per cui, nei confronti dell’imputato, non avrebbero dovuto
riconoscersi le circostanze aggravanti indicate (non contestate dal Cacopardo in
punto di obiettiva ravvisabilità) sono infatti esposte avuto riguardo alla posizione
soggettiva del ricorrente: tuttavia, pure ammettendo che egli non realizzò
materialmente alcuna violenza sulle cose, e che nessuna traccia del reato de quo
si rinvenne nella sua disponibilità, l’addebito mossogli a titolo di concorso rende
pacifica la riferibilità anche a lui delle circostanze oggettive indicate in rubrica,

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3.3 Con il terzo e quarto motivo, il difensore dei due ricorrenti deduce

del resto immediatamente correlate al compimento ed ai risultati evidenti della
condotta criminosa.
In ordine alla esclusione delle circostanze

ex art. 62-bis cod. pen., il

Cacopardo si limita a stigmatizzare la presunta “arbitrarietà” della negazione
delle attenuanti generiche, senza tuttavia offrire alcun elemento positivo da cui
inferire che egli, al contrario, le avrebbe meritate.

2. Il ricorso della difesa del Lisa e del Priscoglio non può trovare

2.1 Quanto ai primi due motivi, gli argomenti ivi esposti tendono in realtà a
sottoporre al giudizio di legittimità aspetti che riguardano la ricostruzione del
fatto e l’apprezzamento del materiale probatorio, da riservare alla esclusiva
competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia in primo che
in secondo grado.
Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di
questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore
capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure
che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la
verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,
«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione
dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto
delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata
novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio
rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in
termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le
risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti
alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale
diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico

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accoglimento.

(realizzando così il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una
pronuncia di condanna).
Si è peraltro più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del
significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano
inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a

8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio
dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è precisato che esso non ha comunque
inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di
motivazione della sentenza e non può, quindi, «essere utilizzato per valorizzare e
rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto,
eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che
tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice
dell’appello» (Cass., Sez. V, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv 254579).
Nella fattispecie oggi in esame, al contrario, la difesa punta proprio a far
rivalutare a questa Corte le emergenze istruttorie, occupandosi soltanto degli
elementi di fatto a dispetto della dedotta sussistenza di vizi ex art. 606 cod.
proc. pen.; né può assumere significato la ricordata prospettazione di un
travisamento dei risultati di alcune delle prove acquisite, essendosi recentemente
ribadito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento
della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del
processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace
solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento
probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa
del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di
cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del
risultato probatorio» (Cass., Sez. VI, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv
258774).
Le censure prospettate nell’interesse del Lisa e del Priscoglio, invece, non
possono sortire l’effetto indicato: la Corte di appello, nei termini logici sopra
ricordati, ha precisato l’assoluta inspiegabilità del comportamento degli imputati
se non direttamente correlato all’azione delittuosa, a fronte peraltro di elementi
di evidente inconsistenza segnalati dai ricorrenti (il fatto che il bar vicino alla
tabaccheria fosse chiuso doveva intendersi scontato ab initio, visto che altrimenti
il furto sarebbe stato commesso dinanzi a potenziali testimoni, mentre la difesa
neppure quantifica la generica “distanza” della posizione del Lisa rispetto alla

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sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.

telecamera nel momento in cui venne ripreso senza ancora avere l’asta in
mano).
Perciò, in parte qua, le censure mosse dagli imputati riproducono ragioni già
discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e per costante
giurisprudenza di questa Corte il difetto di specificità del motivo – rilevante ai
sensi dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di
indeterminatezza, ma anche «per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento

esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che
conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.,
all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011,
Cannavacciuolo). Già in precedenza, e nello stesso senso, si era rilevato che «è
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella
pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi
dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto
apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica
argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Cass., Sez. VI, n. 20377
dell’11/03/2009, Arnone, Rv 243838).
2.2 In ordine all’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen., la
giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che «nel furto, la
circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è
esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di
videoregistrazione, che non può considerarsi equivalente alla presenza di una
diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta
alla vigilanza» (Cass., Sez. V, n. 35473 del 20/05/2010, Canonica, Rv 248168).
Orientamento al quale il collegio ritiene senz’altro di aderire, dal momento che come parimenti già spiegato nell’elaborazione giurisprudenziale – laddove un
furto sia commesso in un luogo sottoposto a videosorveglianza, ma senza un
operatore stabilmente demandato al controllo delle riprese, si rende soltanto
possibile «la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera»,
che tuttavia «non costituisce di per sé una difesa idonea a impedire la
consumazione dell’illecito attraverso un immediato intervento ostativo» (Cass.,
Sez. V, n. 6682 dell’08/11/2007, Manno, Rv 239095).
2.3 L’aggravante del danno patrimoniale rilevante, pur non risultando
espressamente esclusa nel dispositivo della sentenza impugnata, deve intendersi
oggetto di un implicito disconoscimento, attesa la decisione della Corte
territoriale di rideterminare

in me/ius

le sanzioni inflitte agli imputati

considerando sì «il danno cagionato alla persona offesa», ma al contempo

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dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le

«l’entità invero non rilevante del bottino». Tale conclusione appare avvalorata
anche dalla quantificazione del trattamento sanzionatorio che, per il Lisa ed il
Priscoglio, risulterebbe altrimenti al di sotto del minimo edittale; stante la
ricorrenza, in ipotesi, di entrambe le aggravanti di cui la difesa contesta la
ravvisabilità, la pena detentiva minima da irrogare sarebbe stata pari ad anni 2
di reclusione (tenendo conto della riduzione dovuta alla scelta del rito
abbreviato), mentre i due ricorrenti risultano essere stati condannati ad anni 1,
mesi 8 di reclusione ed euro 600,00 di multa.

richiamo ai precedenti penali quale fattore ostativo vale soltanto per il Cacopardo
ed il Lisa, come già chiarito nella sentenza di primo grado, ma le circostanze de
quibus appaiono negate anche (v. ancora la pronuncia del Tribunale, a pag. 5) in
ragione della gravità palesata dalle «caratteristiche concrete del fatto»,
indicative di una pur rudimentale organizzazione.
Va ricordato in proposito che «la sussistenza di circostanze attenuanti
rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può
essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni
preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità,
purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di
uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati
nell’interesse dell’imputato» (Cass., Sez. VI, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv
242419); è stato anche affermato che «ai fini della concessione o del diniego
delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in
esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene
prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché
anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del
reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso»
(Cass., Sez. II, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna del
Cacopardo al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto
riconducibile alla volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del
13/06/2000) – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma
di C 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
Il rigetto dei ricorsi degli ulteriori imputati ne comporta a loro volta la
condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

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2.4 Quanto infine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, il

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Cacopardo Mario, e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.
Rigetta i ricorsi di Lisa Mosè e Priscoglio Santino, e condanna i ricorrenti al
pagamento, ciascuno, delle spese processuali.

Così deciso il 15/05/2015.

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