Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45142 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45142 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Capone Pietro, nato a Gravina di Puglia il 15/01/1965
quale persona offesa nel procedimento nei confronti di
Ignoti

avverso l’ordinanza del 13/07/2012 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Bari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Alfredo Montagna, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 13 luglio 2012 il giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Bari ha disposto l’archiviazione del procedimento riguardante le
indagini avviate nei confronti di ignoti per il reato di diffamazione, a seguito di

Data Udienza: 23/04/2013

querela presentata da Pietro Capone.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Capone, per il tramite del difensore
munito di procura speciale, affidandolo a due motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente deduce l’abnormità del provvedimento di
archiviazione perché emesso in forma di ordinanza, mentre avrebbe dovuto
assumere la forma del decreto per disposto dell’art. 409 cod. proc. pen..
2.2. Col secondo motivo denuncia, quale violazione di norma processuale, la

malgrado la persona offesa avesse ritualmente presentato opposizione all’archiviazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso non ha fondamento. È, bensì, vero che il
provvedimento che dispone l’archiviazione degli atti, quando non sia disposta
l’udienza in camera di consiglio, deve assumere la forma del decreto motivato, in
entrambe le ipotesi disciplinate dagli artt. 409, comma 1, e 410, comma 2, cod.
proc. pen.; ma è altrettanto vero che l’attribuzione, da parte del giudice, al
provvedimento emesso di un nomen iuris diverso da quello stabilito dalla legge
non è mai causa di nullità, e tanto meno di abnormità, quando risultino rispettati
i requisiti essenziali stabiliti dalla legge per la sua rituale emissione: requisiti che,
nel caso del decreto motivato, non sono diversi da quelli che la legge prescrive
per l’ordinanza (v. art. 125 cod. proc. pen.).

2. Del pari infondato è il secondo motivo. Secondo la previsione del già
citato art. 410, comma 2, cod. proc. pen., quando il giudice ravvisi un vizio di
inammissibilità dell’opposizione e ritenga infondata la notizia di reato dispone
l’archiviazione con decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero. In
tale ipotesi la mancata fissazione dell’udienza in camera di consiglio non
comporta alcuna violazione del principio del contraddittorio, purché il giudice dia
conto delle ragioni poste a sostegno della rilevata inammissibilità. In argomento
la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il giudice, nel valutare l’ammissibilità dell’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, è
tenuto a verificare se l’opponente abbia adempiuto l’onere, impostogli dall’art.
410, comma primo, cod. proc. pen., di indicare l’oggetto della investigazione
suppletiva e i relativi elementi di prova, con l’esclusione di ogni valutazione
prognostica del merito; e, qualora ritenga non sussistenti le condizioni
legittimanti l’instaurazione del contraddittorio, è tenuto a motivare compiuta-

2

mancata fissazione dell’udienza camerale prevista dall’art. 410 cod. proc. pen.,

mente circa le ragioni della ritenuta inammissibilità, indipendentemente dall’apprezzamento o meno della fondatezza della notizia di reato, costituendo la
delibazione di inammissibilità momento preliminare all’instaurazione del
procedimento di archiviazione (Sez. 4, n. 21236 del 05/04/2012, Lauritano, Rv.
252965; v. anche Sez. 2, n. 43058 del 30/09/2003, Gavilli, Rv. 227202).
2.1. Nel caso di cui ci si occupa il g.i.p. di Bari risulta essersi correttamente
attenuto alla regula iuris testé ricordata, avendo adeguatamente argomentato il
proprio convincimento circa l’inammissibilità dell’atto di opposizione, col rilevare

integrazione probatoria, a fronte dell’ampiezza delle indagini espletate dal P.M..

3. Il rigetto del ricorso, che pianamente consegue a quanto fin qui annotato,
comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 23/04/2013.

l’assenza di qualsiasi nuovo tema di indagine e l’irrilevanza della richiesta di

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