Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45140 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45140 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ciarelli Ferdinando, nato a Firenze il 17/11/1963

avverso il decreto del 09/02/2012 della Corte di appello di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Antonio Gialanella, che ha concluso chiedendo declaratoria di
inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 9 febbraio 2012 la Corte d’Appello di Roma,
confermando l’analogo provvedimento del Tribunale di Latina, ha disposto
l’aggravamento della durata, da tre a cinque anni, della misura di sorveglianza
speciale con obbligo di soggiorno alla quale Ferdinando Ciarelli era già
sottoposto, perché ritenuto socialmente pericoloso in quanto inserito in un

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Data Udienza: 23/04/2013

gruppo criminale operante nella zona, legato al clan Di Silvio che aveva
commesso ogni genere di crimini; ha confermato, altresì, la confisca di beni
intestati al Ciarelli, alla di lui moglie Rosaria Di Silvio e ai figli Valentina Ciarelli e
Roberto Ciarelli, perché ritenuti tutti riconducibili al proposto.
1.1. Nella motivazione ha osservato quel collegio che, dopo l’applicazione
della misura di prevenzione, il Ciarelli era stato raggiunto da tre successive
ordinanze impositive di misure cautelari coercitive per delitti contro il patrimonio
(usura e tentata estorsione); era stata inoltre accertata la ripetuta violazione

progressivo accrescimento della sua pericolosità.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il proposto, per il tramite del
difensore, affidandolo a sei motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente rinnova in questa sede l’eccezione di
nullità dell’avviso di fissazione dell’udienza in camera di consiglio nel
procedimento di primo grado, perché notificato a lui stesso quale padre del
minore Roberto Ciarelli, anziché al procuratore speciale nominato in funzione del
rogito per la donazione allo stesso minore, da parte della madre, del bene poi
sottoposto a confisca.
2.2. Col secondo motivo eccepisce la nullità del decreto emesso dal
Tribunale di Latina, in quanto non preceduto dalla notifica dell’avviso di cui
all’art. 415-bis cod. proc. pen.. A confutazione dell’argomento addotto dalla
Corte d’Appello, col rilevare l’inapplicabilità della norma invocata al procedimento
di prevenzione, osserva che anche in questo sono compiute attività d’indagine,
ancorché non espletate direttamente dall’autorità giudiziaria, la quale s’interessa
fin dall’inizio di quanto espletato dal Questore richiedente.
2.3. Col terzo motivo il ricorrente denuncia carenza di motivazione in ordine
al rigetto del motivo di appello col quale era stata eccepita la violazione del
divieto del bis in idem rispetto alle precedenti misure di prevenzione disposte a
suo carico negli anni 2002 e 2007; sostiene che la giurisprudenza richiamata nel
decreto impugnato non è pertinente alla fattispecie e deduce l’illogicità del
ragionamento seguito dalla Corte d’Appello.
2.4. Col quarto motivo deduce carenza di motivazione, e comunque illogicità
di essa, in ordine alla ritenuta provenienza illegittima dei beni sottoposti a
confisca.
2.5. Analogamente denuncia col quinto motivo carenza, e comunque
illogicità, della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di restituzione di
monili in oro, che assume essere appartenuti alla famiglia in quanto ereditati dai
genitori o frutto di regalie in occasione di battesimi e comunioni dei figli.

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delle prescrizioni impostegli e la frequentazione di pregiudicati, a riprova del

2.6. Ancora analoghi vizi di carenza e illogicità di motivazione deduce a
carico della statuizione riguardante l’aggravamento della misura personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua parte, per le ragioni di seguito
esposte.

omessa notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza al «procuratore speciale», è
manifestamente infondata. Il potere di rappresentanza del minore conferito dal
giudice tutelare al curatore speciale, nominato ai sensi dell’art. 320, comma
sesto, cod. civ. per la stipula di contratti in conflitto d’interessi coi genitori, non
sopravvive al compimento dell’atto in funzione del quale la nomina è stata
deliberata, proprio perché connaturato alla specialità dell’incarico. Non ha
dunque alcun fondamento la pretesa di attribuire a detto curatore la
rappresentanza del minore in un procedimento giurisdizionale del tutto
autonomo, rispetto all’atto negoziale alla cui stipulazione egli è intervenuto.
2.1. In aggiunta a ciò, è appena il caso di rilevare la contraddittorietà insita
nella pretesa del ricorrente di impugnare il decreto in nome e per conto del figlio,
pur sostenendo di non essere titolare del potere di rappresentarlo in giudizio.

3. Del pari manifestamente infondata è l’eccezione con la quale il Ciarelli
deduce la radicale nullità del procedimento di prevenzione, in quanto non
preceduto dalla notifica dell’avviso

ex art. 415-bis cod. proc. pen.. Come

opportunamente osservato dal Procuratore Generale in sede, al generico e
tautologico argomentare del ricorrente è agevole replicare che il procedimento
applicativo delle misure di prevenzione è soggetto ad una disciplina autonoma
rispetto al codice di procedura penale: disciplina che nella legislazione attuale ha
la sua fonte normativa nel decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 159, e nel
diritto previgente era regolata dall’art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423;
quest’ultimo, applicabile ratione temporis al caso di specie, non prevedeva
l’espletamento di indagini preliminari ed espressamente statuiva che il Tribunale
provvedesse in camera di consiglio, entro trenta giorni dalla proposta,
osservando – in quanto applicabili – le disposizioni degli artt. 636 e 637 del
codice di rito vigente all’epoca della sua promulgazione, riguardanti le modalità
di applicazione delle misure di sicurezza. È, dunque, del tutto fuori luogo il
richiamo all’adempimento di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., dettato per il
procedimento penale di cognizione.

2. L’eccezione di nullità della vocatio in ius del minore Roberto Ciarelli, per

4. Per ciò che si riferisce alla denunciata inosservanza del divieto del bis in
idem, corre l’obbligo di osservare che la – pur sussistente – incongruità della

motivazione addotta dalla Corte d’Appello non è causa di annullamento del
decreto, in quanto l’eccezione non meritava maggior approfondimento a motivo
della sua manifesta infondatezza. Anche in subiecta materia vale, infatti, il
principio a tenore del quale il giudice dell’impugnazione, pur essendo tenuto in
linea di principio a dar conto delle ragioni poste a fondamento del rigetto dei

istanze improponibili per genericità o per manifesta infondatezza (Sez. 5, n.
4415 del 05/03/1999, Tedesco, Rv. 213114; Sez. 5, n. 7728 del 17/05/1993,
Maiorano, Rv. 194868). E che da tale vizio sia affetta l’eccezione sollevata dal
Ciarelli, ribadita in questa sede, ben si coglie considerando che, nel
procedimento di prevenzione, la preclusione derivante dal giudicato opera
soltanto rebus sic stantibus: con la conseguenza per cui, al sopravvenire di nuovi
fatti (che possono anche essere di genesi anteriore alla prima decisione, ma
emersi successivamente), non soltanto è possibile l’applicazione di una misura in
precedenza negata, ma anche l’aggravamento di una misura già inflitta (v. ex
multis Sez. U, n. 600 del 29/10/2009 – dep. 08/01/2010, Galdieri, Rv. 245176;

Sez. 1, n. 33077 del 21/09/2006, Ingrosso, Rv. 235144; Sez. 1, n. 43569 del
07/10/2004, Stella, Rv. 230267).
4.1. La decisione impugnata dà conto della sopravvenienza di nuovi fatti
indicatori della accresciuta pericolosità sociale del Ciarelli, per cui la regula iuris
testé ricordata è stata correttamente applicata.

5. L’inammissibilità, infine, per manifesta infondatezza dei motivi di ricorso
volti a denunciare carenza di motivazione in ordine alle questioni sollevate coi
motivi di appello, attinenti alla ritenuta provenienza illegittima dei beni sottoposti
a confisca, alla richiesta di restituzione di monili in oro e all’attualità della
pericolosità sociale del proposto, agevolmente si coglie alla lettura del decreto
impugnato nelle pagine da 7 a 10, ove sono diffusamente illustrate – a
dimostrazione dell’insussistenza del vizio lamentato – le ragioni per le quali la
Corte d’Appello ha disatteso la linea difensiva del Ciarelli sui punti in questione.
5.1. La denuncia alternativa di illogicità della motivazione non può, invece,
trovare ingresso nel procedimento di prevenzione, nel quale il ricorso per
cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, in virtù di quanto
disposto dall’art. 4, comma undicesimo, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.
E, sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia riconosciuto doversi ricondurre
al vizio di violazione di legge quei casi in cui la motivazione sia del tutto carente

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motivi di appello, non è tuttavia obbligato a motivare in ordine al rigetto di

(Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno, Rv. 237277) o caratterizzata da
enunciazioni talmente apodittiche e prive di costrutto logico, da rivelarsi soltanto
apparente (Sez. 6, n. 15107/04 del 17/12/2003, Criaco, Rv. 229305), siffatto
principio non è certamente invocabile nel caso di specie, nel quale – come si è
visto or ora – la motivazione del provvedimento impugnato si è soffermata su
tutti i temi necessari a dar conto delle ragioni della determinazione assunta,
trattandoli con argomentazioni articolate e di immediata comprensibilità.

cui all’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 23/04/2013.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di

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