Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45139 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45139 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposto da
1. Casamonica Raffaele, nato a Lucca il 13/09/1960
2. Licheri Loredana, nata a Roma il 25/08/1965
3. Casamonica Romolo, nato a Frascati il 28/02/1984
4. Casamonica Vincenza, nata a Frascati il 25/05/1981
5. Coacci Davide, nato a Roma il 30/08/1968

avverso il decreto del 19/01/2012 della Corte di appello di Roma

Data Udienza: 23/04/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 19 gennaio 2012 la Corte d’appello di Roma,
confermando l’analogo provvedimento del locale Tribunale, ha disposto che

a(

Raffaele Casamonica e Loredana Licheri rimanessero sottoposti alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di
Roma per la durata di tre anni; ha confermato, altresì, la confisca di
un’autovettura intestata allo stesso Casamonica, di tre autovetture e dei saldi
attivi di rapporti bancari intestati alla Licheri, di alcuni terreni e saldi attivi di
rapporti bancari intestati a Romolo Casamonica, di alcuni fabbricati e di saldi
attivi di rapporti bancari intestati a Vincenza Casamonica, nonché di due
autovetture intestati a Davide Coacci.

i proposti fossero persone socialmente pericolose in quanto coinvolti in gravi fatti
di usura e di estorsione ai danni di Bruno Brunori, come emerso in un
procedimento penale nel quale la parziale assoluzione del Casamonica, in ordine
ad una delle estorsioni, non era comunque di ostacolo alla valutazione di gravità
del contesto delittuoso complessivamente accertato. Tenuto conto dello spessore
criminale dei proposti, attestato anche dai precedenti penali (particolarmente
pesanti per il Casamonica), e del fatto che costoro avevano la disponibilità di
beni immobili e autovetture, pur non risultando svolgere attività lavorativa e non
avendo mai presentato la dichiarazione dei redditi, ha ritenuto la Corte
territoriale che il Casamonica e la Licheri traessero dall’attività delittuosa le fonti
di sostentamento, così da consentirne l’inquadramento nelle categorie di cui ai
nn. 1 e 2 dell’art. 1 I. 27 dicembre 1956, n. 1423.
1.2. La conferma delle misure di carattere reale si è fondata sul rilievo per
cui l’acquisizione dei beni dei proposti, di valore sproporzionato rispetto alle loro
capacità patrimoniali lecite, era avvenuta nel periodo di ritenuta pericolosità
sociale, protrattosi nell’arco temporale dall’anno 2005 al novembre 2009; quanto
ai beni confiscati ai terzi intervenuti Romolo Casamonica, Vincenza Casamonica e
Davide Coacci, ha ritenuto la Corte d’Appello che le relative intestazioni fossero
fittizie: sia in considerazione del rapporto di stretta parentela (filiazione)
intercorrente fra i primi due e le persone dei proposti; sia per le più o meno
esplicite ammissioni di Raffaele Casamonica riguardanti la villa di Via Capri in
Roma; sia per il fatto che nell’acquisto del terreni in località Valle Cupella lo
stesso Raffaele Casamonica era stato indicato nel preliminare come promissario
acquirente ed aveva emesso quattro assegni bancari rilasciati a titolo di caparra;
sia per l’indisponibilità di mezzi da parte dei figli, che non avevano mai
presentato dichiarazioni dei redditi, né avevano partecipazioni in società; sia,
quanto al Coacci, per la analoga sua incapacità patrimoniale e per le dichiarazioni
rese ai carabinieri di Frascati, sostanzialmente confermative della fittizietà
dell’intestazione di una vettura Ferrari acquistata nel maggio 2009 per il prezzo
di oltre 100.000 euro.

2

1.1. Ha ritenuto quel collegio, quanto alle misure di carattere personale, che

2. Hanno proposto ricorso per cassazione tutti i soggetti interessati,
ciascuno per le ragioni di seguito indicate.

3. Raffaele Casamonica e Loredana Licheri hanno congiuntamente illustrato i
loro motivi di ricorso in due atti d’impugnazione, il primo per il tramite dell’Avv.
Paolo Barone e il secondo per il tramite dell’Avv. Fabrizio Gallo.
3.1. Nell’atto a firma dell’Avv. Barone è dedotto un solo, articolato motivo.

per l’applicazione delle misure adottate; sostengono non essere sufficiente, a tal
fine, la valorizzazione di semplici indizi, essendo invece necessaria, in particolare
per la confisca, la prova concreta dell’illecita provenienza dei beni; lamentano
essere mancata una puntuale ricognizione degli elementi offerti dalla difesa per
giustificare l’acquisizione dei beni; censurano il silenzio della Corte sulla richiesta
di integrazione probatoria, mediante escussione del geometra Fanone; quanto
alla ritenuta pericolosità sociale, sostengono essere carente i caratteri dell’abitualità della condotta delittuosa e dell’attualità della pericolosità sociale
3.2. Nell’atto a firma dell’Avv. Gallo sono dedotti due motivi. Col primo i
ricorrenti si dolgono che non sia stato loro consentito di provare, con l’ampiezza
di mezzi postulata dalla corretta applicazione degli artt. 187 e 190 cod. proc.
pen., la fondatezza della propria linea difensiva. Col secondo motivo denunciano,
quale vizio della sentenza, la mancata acquisizione di una prova decisiva che
indicano nella documentazione bancaria da essi richiesta, per la cui produzione
era stato inutilmente richiesto il rinvio dell’udienza.

4. Romolo Casamonica, nel ricorso presentato per il tramite del difensore,
Avv. Angelo Staniscia, ha dedotto censure riconducibili a due motivi. Col primo di
essi contrasta il giudizio espresso dalla Corte d’Appello circa l’insufficienza dei
propri redditi a giustificare l’acquisto delle proprietà immobiliari a lui intestate;

Con esso i ricorrenti deducono l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto

col secondo denuncia, come violazione del diritto alla prova, la mancata
assunzione del teste Fanone e l’omessa audizione personale dei terzi intervenuti.

5. Analoghe doglianze sono formulate da Vincenza Casamonica nel proprio
ricorso, anch’esso a firma dell’Avv. Staniscia. La ricorrente, invero, deduce a sua
volta, con un primo motivo, l’errata valutazione della Corte d’Appello in ordine
alla adeguatezza delle proprie fonti reddituali a giustificare l’acquisizione dei beni
sottoposti a confisca; e, col secondo motivo, lamenta che le si sia negato il
diritto alla prova.

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a,

6. Ancora per il tramite dello stesso difensore, Davide Coacci affida il proprio
ricorso a un duplice ordine di censure, orientate per un verso a denunciare
l’illogicità della motivazione addotta dalla Corte territoriale, e per altro verso a
lamentare che gli sia stata negata la possibilità di esporre personalmente le
proprie difese.

7. Agli atti vi è una memoria con motivi aggiunti, depositata nell’interesse
dei ricorrenti Romolo Casamonica e Vincenza Casamonica, nella quale sono

violazione del diritto alla prova.

8. Nell’interesse di Raffaele Casamonica risulta inoltre depositata un’istanza
di rinvio, al fine di consentire che un’attesa modifica della normativa vigente
renda giuridicamente possibile la produzione di documentazione bancaria
riguardante rapporti «scudati» relativi a soggetti terzi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via del tutto preliminare corre l’obbligo di dar conto dell’impossibilità
giuridica di concedere il chiesto rinvio della decisione.
1.1. L’istanza è finalizzata a far sì che, attraverso l’attesa emanazione di un
provvedimento governativo finora mancato, si renda possibile alle parti la
produzione di documentazione di carattere finanziario e bancario che,
attualmente, è coperta da segreto. A vanificare tale aspettativa si pone, tuttavia,
il principio giuridico in base al quale nel procedimento di cassazione non è
consentita la produzione di nuovi documenti, non essendo riprodotta nel codice
di rito attuale la disposizione che, nell’art. 533 di quello abrogato, riconosceva ai
difensori tale facoltà (Sez. 3, n. 8996 del 10/02/2011, P., Rv. 249614; Sez. 5, n.
25897 del 15/05/2009, Milone, Rv. 243902); e, se è pur vero che la
giurisprudenza citata riconosce che debba farsi eccezione al principio nei casi in
cui la produzione non sia stata possibile nei precedenti gradi di giudizio, è
altrettanto vero che ciò vale soltanto per quei documenti che non attengono al
merito, ma dai quali può derivare l’applicazione dello ius superveniens, di cause
estintive o di disposizioni più favorevoli (Sez. 5, n. 10382 del 09/06/1999,
Calascibetta, Rv. 214298): il che, del resto, pienamente si attaglia alla funzione
della Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non può addentrarsi
nell’esame del merito.

2.

Venendo, ora, alla disamina del motivi di gravame, è doveroso

4

ulteriormente sviluppate le argomentazioni a sostegno della denuncia di

premettere che in materia di misure di prevenzione il ricorso per cassazione è
ammesso soltanto per violazione di legge, in virtù di quanto disposto dall’art. 4,
comma undicesimo, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.
2.1. La giurisprudenza di legittimità, per vero, ha riconosciuto doversi
ricondurre al vizio di violazione di legge quei casi in cui la motivazione sia del
tutto carente (Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno, Rv. 237277) o
caratterizzata da enunciazioni talmente apodittiche e prive di costrutto logico, da
rivelarsi soltanto apparente (Sez. 6, n. 15107/04 del 17/12/2003, Criaco, Rv.

motivazione del provvedimento impugnato si è soffermata su tutti i temi
necessari a dar conto delle ragioni della determinazione assunta, trattandoli con
argomentazioni articolate e di immediata comprensibilità.
2.2. Occorre dunque espungere dal thema decidendum tutte quelle censure
che, non avendo ad oggetto la violazione di norme giuridiche, ma risolvendosi in
altrettante critiche alla tenuta logica della motivazione addotta dalla Corte
d’Appello (quando non anche alle valutazioni in fatto), non possono trovare
ingresso in questa sede.

3. Selezionando le ragioni di doglianza che residuano all’applicazione del
suesposto criterio, vengono in considerazione quelle che si riferiscono: alla soglia
della consistenza probatoria richiesta perché possa dirsi legittima l’emissione di
una misura di prevenzione; alla deducibilità, quale vizio del provvedimento
impugnato, della mancata acquisizione di prove – assertivamente – decisive; alla
dedotta illegittimità della mancata audizione personale dei terzi intervenuti.
3.1. La prima delle menzionate questioni trova risposta, in senso contrario ai
ricorrenti, nella giurisprudenza stessa citata da Raffaele Casamonica e Loredana
Licheri a sostegno dell’assunto da essi propugnato, secondo cui la prova
meramente indiziaria non sarebbe idonea a sorreggere l’emissione del
provvedimento; ed invero, a differenza di quanto sostengono i ricorrenti, la
sentenza n. 1808 in data 07/08/1984 (Sez. 1, Aquilino, Rv. 165523 si è così
espressa: «Qualora si tratti di sequestro disposto nel corso di procedimento
penale per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., il giudice penale, a differenza
di quello del procedimento di prevenzione, deve estendere le proprie indagini
fino a stabilire se i beni dell’imputato, anche se non rientranti nelle previsioni
degli artt. 2-bis e 2-ter della legge n. 575 del 1965, abbiano in concreto assunto,
rispetto alla commissione del reato su indicato, la funzione strumentale di cui
all’art. 416-bis, settimo comma cod. pen.»: con ciò intendendosi che nel
procedimento di prevenzione l’onere probatorio dell’accusa è assai più limitato e
può essere soddisfatto anche attraverso il ricorso a meri indizi; il che, del resto,

5

229305). Ma le cennate ipotesi non trovano riscontro nel caso di specie, in cui la

è stato ripetutamente affermato anche dalla giurisprudenza più recente, la quale
ha precisato altresì che, nella materia trattata, neppure si richiede che la prova
indiziaria sia connotata dai requisiti prescritti dall’art. 192 cod. proc. pen. (Sez.
1, n. 20160 del 29/04/2011, Bagalà, Rv. 250278; Sez. 1, n. 6613 del
17/01/2008, Carvelli, Rv. 239358; Sez. 6, n. 1503 del 07/04/1997, Crimi, Rv.
207490).
3.2. La seconda questione da trattare trova, anch’essa, risposta nella
giurisprudenza di legittimità. In tale ambito, invero, è ripetuta l’enunciazione del
principio, del tutto condivisibile, a tenore del quale nei procedimenti che si

svolgono in camera di consiglio – come è per quelli di prevenzione, di
sorveglianza e di esecuzione – non sono applicabili le norme sulla mancata
assunzione di una prova decisiva (art. 606 comma primo lett. d) cod. proc. pen.)
e sul diritto dell’imputato all’ammissione della prova a discarico sui fatti oggetto
di prova a carico (art. 495 comma secondo stesso codice), in quanto il diritto alla
prova a discarico è previsto soltanto per il giudizio dibattimentale (Sez. 1, n.
8641 del 10/02/2009, Giuliana, Rv. 242887; Sez. 1, n. 38947 del 01/10/2008,
Greco, Rv. 241309; Sez. 3, n. 1779 del 12/08/1993, Cova, Rv. 195977).
In aggiunta a ciò va considerato che la Corte d’Appello non ha mancato di
motivare il rigetto delle istanze di acquisizione probatoria: sia per quanto
riguarda le produzioni documentali, indirizzate a provare una circostanza
giudicata comunque insufficiente a giustificare gli acquisti effettuati dal 2001 in
poi (pag. 8, secondo paragrafo dell’ordinanza); sia per quanto riguarda la
testimonianza di Gian Paolo Fanone, considerata irrilevante ai fini della decisione
(pag. 10, quinto paragrafo).
3.3. Per quanto si riferisce alla mancata audizione dei terzi interessati, va
rimarcato che la denunciata omissione non può essere ricondotta nell’alveo delle
violazioni del diritto alla prova, atteso che l’atto del quale è mancato
l’espletamento non è equiparabile all’esame delle parti private di cui all’art. 503
cod. proc. pen., né ad alcun altro dei mezzi di prova disciplinati dal codice di rito.
Più pertinente alla fattispecie è la doglianza riferita al mancato esercizio del
diritto alla difesa; ma, per soddisfare il requisito di specificità del motivo e soprattutto – per esplicitare l’interesse dei deducenti ad impugnare sotto tale
profilo, all’eccezione si sarebbe dovuta accompagnare l’indicazione delle difese
che, assertivamente, i terzi interessati avrebbero potuto sviluppare soltanto
rivolgendosi personalmente al giudice e non anche attraverso l’attività di
rappresentanza espletata dai rispettivi difensori. Il silenzio dei ricorrenti in ordine
a tale indefettibile requisito rende inammissibile il corrispondente motivo di
ricorso.

6

i

4. Conclusivamente, tutti i ricorsi proposti sono da rigettare, con la
conseguente condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 23/04/2013.

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