Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45119 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45119 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: OLDI PAOLO

Data Udienza: 23/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania
nel procedimento nei confronti di
1. Curello Tanina, nata a Catania il 22/03/1981
2. Naselli Concetta, nata a Enna il 30/05/1949

avverso la sentenza del 13/06/2012 del giudice di pace di Ramacca

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputata Curello l’avv. Sergio Piccarozzi in sostituzione dell’avv.
Rosanna Fratarcangeli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 13 giugno 2012 il giudice di pace di Ramacca ha

di

/

dichiarato Tanina Curello e Concetta Naselli responsabili, in concorso fra loro, del
delitto di diffamazione aggravata in danno di Maria Patrizia Roccasalva; le ha
quindi condannate alla pena di euro 600,00 di multa ciascuna, così determinata
attraverso la riduzione della pena base (fissata in euro 600,00) nella misura di
euro 200,00 per le attenuanti generiche e il successivo aumento in pari misura
per l’aggravante; ha inoltre posto a loro carico il risarcimento dei danni in favore
della parte civile.

Corte d’Appello di Catania, affidandolo a un solo motivo. Con esso denuncia
l’inosservanza dell’art. 69 cod. pen., per essere mancato il bilanciamento tra
circostanze aggravanti e attenuanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso del Procuratore Generale è inammissibile per carenza

d’interesse.
1.1. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha già avuto modo di
chiarire che non esiste un interesse assoluto delle parti alla correttezza giuridica
delle decisioni che li riguardano, in quanto l’interesse richiesto dall’art. 568,
comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità della impugnazione,
deve essere collegato agli effetti primari e diretti dell’atto da impugnare e
sussiste solo se il gravame è idoneo ad eliminare una decisione pregiudizievole,
determinando per l’impugnante una situazione pratica più vantaggiosa di quella
esistente (così Sez. 5, n. 9135 del 18/06/1999, Lecci, Rv. 213963; v. anche Sez.
6, n. 25683 del 02/04/2003, Donzelli, Rv. 228307). A loro volta le Sezioni Unite
hanno precisato che, dovendo l’interesse ad impugnare presentare i caratteri
della concretezza e dell’attualità, l’impugnante deve mirare a rimuovere l’effettivo pregiudizio che asserisce di aver subito, in via primaria e diretta, con il
provvedimento impugnato: e deve chiarire quale risultato intenda perseguire,
non soltanto teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (v. Sez.
U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208165).
1.2. Dall’osservanza dei principi suesposti non va esente il pubblico
ministero, cui è fatto obbligo di precisare quale risultato pratico, in termini di
giustizia sostanziale, si prefigga di ottenere attraverso l’annullamento della
decisione impugnata.

2. Nel caso di cui ci si occupa non è dato vedere – né il P.G. ricorrente offre
ragguagli in proposito – quale risultato diverso da quello scaturito dalla sentenza

2
a(

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la

impugnata dovrebbe conseguire al chiesto annullamento. Ed invero, considerato
che il giudice di merito ha espressamente formulato il giudizio di bilanciamento
fra le circostanze attenuanti e aggravanti in termini di equivalenza, appare
evidente che, ove egli si fosse astenuto dall’irrituale applicazione della
diminuzione di pena per le attenuanti generiche e dal successivo aumento – in
identica misura – per la contestata aggravante, il risultato finale sarebbe stato lo
stesso: e cioè la determinazione della multa nell’ammontare corrispondente alla

3. Il ricorso del Procuratore Generale deve, conseguentemente, essere
dichiarato inammissibile per carenza d’interesse.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale per mancanza
d’interesse.
Così deciso il 23/04/2013.

pena base di euro 600,00.

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