Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45115 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 45115 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Mazzuca Giancarlo, nato a Forlì il 25/07/1948
2. Raschi Monica, nata a Bologna il 26/11/1964

avverso la sentenza del 07/07/2010 della Corte di appello di Bologna

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per
intervenuta prescrizione e rigetto quanto alle statuizioni civili;
udito per la parte civile l’avv. Antonio Negretto, che ha concluso chiedendo la
conferma della sentenza impugnata;
udito per gli imputati l’avv. Gino Bottiglioni, sostituto processuale dell’avv.
Filippo Sgubbi, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 23/04/2013

..

1. Con sentenza in data 7 luglio 2010 la Corte d’Appello di Bologna,
sostanzialmente confermando (salvo moderazione del trattamento sanzionatorio)
la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto Monica Raschi e
Giancarlo Mazzuca responsabili dei rispettivi reati di diffamazione a mezzo
stampa ai danni di Diego Ghinelli e di omesso controllo sulla pubblicazione, in
relazione ad un articolo apparso il 9 febbraio 2003 sul quotidiano «Il Resto del
Carlino», del quale la Raschi era redattrice e il Mazzuca direttore responsabile;
ha quindi tenuto ferma la loro condanna alle pene di legge e, in via solidale, al

1.1. Nel servizio giornalistico era narrata la vicenda di una persona, operata
presso la divisione di ortopedia e chirurgia dell’ospedale di Cattolica, che tuttora
lamentava dolori; si sosteneva che l’intervento chirurgico era stato attuato non
sul menisco lesionato, ma «da tutt’altra parte»; si riferiva della necessità di un
nuovo intervento, riconducendo la vicenda ad un caso di «malasanità».
1.2. Ha ritenuto la Corte d’Appello che, sebbene nell’articolo non fosse
menzionato per nome il chirurgo che aveva operato, nondimeno la sua
individuazione fosse assai agevole per la ridotta comunità locale, cui era noto
che in quel contesto territoriale operava un solo chirurgo; ha giudicato, inoltre,
che il tenore dell’articolo e le espressioni usate inducessero il lettore a ritenere
che la mancata riuscita dell’operazione fosse dipesa da un grossolano errore dei
chirurghi: il che non rispondeva a verità in quanto la sede dell’intervento era
stata deliberatamente individuata in una plica di tessuto articolare diversa dal
menisco, nella convinzione che l’asportazione di essa sarebbe stata risolutiva.

2. Hanno proposto separati ricorsi per cassazione i due imputati, per il
tramite del difensore, affidandoli rispettivamente a due e tre motivi.
2.1. Col primo motivo del suo ricorso la Raschi deduce errata interpretazione
del requisito di riconoscibilità del soggetto passivo del reato, osservando che
l’individuazione del Ghinelli quale autore dell’intervento chirurgico non era alla
portata della generalità dei lettori del quotidiano; si richiama ai precedenti
giurisprudenziali sulla necessità che la persona offesa dal reato sia individuabile
in termini di affidabile certezza, eventualmente attraverso il riferimento a fatti e
circostanze di notoria conoscenza attribuibili a un determinato soggetto. Col
secondo motivo impugna l’interpretazione data dalla Corte d’Appello al requisito
della verità del fatto narrato, facendo riferimento al principio giurisprudenziale
che nega rilevanza alle inesattezze di carattere modesto e marginale.
2.2. Il ricorrente Mazzuca, col suo primo motivo, contrasta a sua volta il
giudizio della Corte territoriale in ordine alla riconoscibilità del soggetto offeso.
Col secondo motivo deduce l’irrilevanza dei dettagli non rispondenti al vero nella

risarcimento dei danni in favore della parte civile.

..

descrizione del fatto fornita dall’articolista. Col terzo motivo impugna la
condanna solidale al risarcimento dei danni, in una fattispecie contrassegnata
dalla diversità dei reati ascritti ai due imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

I motivi di ricorso dedotti da ambedue gli imputati sono privi di

2. Non sussiste la violazione di legge denunciata dai ricorrenti sotto il profilo
della mancata riconoscibilità del soggetto passivo dei reati ascritti. La
giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che, nel reato di diffamazione – e
ciò interessa anche per i riflessi sul connesso reato ex art. 57 cod. pen. – non è
requisito indefettibile l’indicazione nominativa del soggetto passivo (Sez. 5, n.
18249 del 28/03/2008, Meli, Rv. 239831), essendo piuttosto indispensabile la
possibilità della sua individuazione (Sez. 5, n. 1477 del 20/11/1991 – dep.
12/02/1992, Crescenti, Rv. 189090); a tal fine, peraltro, non si richiede che
l’individuazione della persona diffamata sia alla portata della generalità dei
soggetti raggiunti dalla comunicazione (nel caso specifico dalla totalità del lettori
del quotidiano), essendo invece sufficiente la sua riconoscibilità da parte di un
numero ristretto di persone, in virtù della sua appartenenza a una categoria
limitata (Sez. 5, n. 7410 del 20/12/2010 – dep. 25/02/2011, A., Rv. 249601).
2.1. A tali principi ha mostrato di attenersi la Corte d’Appello di Bologna, la
quale per l’appunto ha giudicato che il chirurgo accusato nel servizio giornalistico
di avere «sbagliato» l’intervento operatorio (con significativa evocazione della
«malasanità») fosse riconoscibile nel Dott. Ghinelli in seno al ristretto ambito
della comunità di Cattolica, ove era noto come egli fosse il solo chirurgo operante
in quell’ospedale. Il giudizio così espresso si è fondato su un accertamento di
fatto non sindacabile in questa sede, siccome immune da vizi logici e giuridici per
quanto dianzi osservato, e che pertanto resiste al controllo di legittimità.

3. Del pari infondata è la censura – anch’essa comune ad ambedue i
ricorrenti – con cui si rimprovera al giudice di merito di aver disconosciuto la
verità del fatto riportato nell’articolo, per aver enfatizzato delle inesattezze di
carattere marginale, a fronte della sostanziale rispondenza al vero della notizia in
sé considerata. In realtà, lungi dall’essere di secondaria importanza, l’aver
prospettato l’intervento su una plica di tessuto articolare diversa dal menisco
come il frutto di un marchiano errore, anziché come una scelta ragionata del
chirurgo rivelatasi inefficace soltanto

ex post, ha completamente alterato il

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4

fondamento e vanno, perciò, disattesi.

..

significato del messaggio indirizzato al lettore, rispetto a quello che sarebbe
derivato da una corretta narrazione dell’accaduto.

4. Il terzo motivo di ricorso dedotto dal Mazzuca, volto a denunciare
l’illegittimità della condanna solidale al risarcimento dei danni in un’ipotesi
caratterizzata dalla diversità dei reati contestati, s’infrange nel disposto dell’art.
2055 cod. civ.. Detta norma, invero, nel disporre la responsabilità solidale di
coloro ai quali è imputabile il fatto dannoso, postula il concorso non nella

pregiudizievole per il danneggiato, nella quale può convergere una pluralità di
azioni autonome e temporalmente distinte, quand’anche queste diano luogo a
violazione di diverse norme di legge (v. Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 15930 del
13/11/2002, Rv. 558452).

5. Malgrado l’infondatezza dei ricorsi, la condanna penale non può tuttavia
essere tenuta ferma; va infatti rilevata l’intervenuta prescrizione dei reati, in
conformità alla richiesta del Procuratore Generale in udienza. Infatti, avuto
riguardo all’epoca di consumazione (9 febbraio 2003), risulta maturato in data 9
agosto 2010 il termine prescrizionale massimo dei sette anni e sei mesi, tenuto
conto degli atti interruttivi succedutisi nel corso del processo; sicché, non
risultando che si siano frapposte cause di sospensione, e non ricorrendo l’ipotesi
di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. per quanto fin qui argomentato,
deve farsi luogo ad annullamento della sentenza agli effetti penali.
5.1. La rilevata infondatezza delle censure mosse al riconoscimento di
colpevolezza degli imputati comporta, invece, il rigetto dei ricorsi agli effetti
civili.

6. Spetta alla parte civile la rifusione delle spese di difesa sostenute nel
presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata in complessivi
euro 2.000,00, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere i reati estinti per
prescrizione;
Rigetta i ricorsi agli effetti civili e condanna i ricorrenti in solido al rimborso
delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2.000,00,
oltre accessori come per legge.
Così deciso il 23/04/2013.

medesima azione od omissione, bensì nella serie causale produttiva dell’evento

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