Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 45101 del 15/09/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 45101 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARCA FRANCESCO AMILCARE N. IL 23/04/1983
avverso l’ordinanza n. 33/2015 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
26/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
1r/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difen r Avv.;

Data Udienza: 15/09/2015

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RITENUTO IN FATTO
1.

Per quanto di immediato rilievo in questa procedura, occorre fare

riferimento a situazione procedimentale che inizia con il sequestro preventivo di
fondi acquistati da AGRI BLU SRL, di cui è legale rappresentante Francesco Amilcare
Barca, disposto d’urgenza in data 24.9.14 dal pubblico ministero e convalidato dal

dei due soci di AGRI BLU e destinatario di pena accessoria in atto di inabilitazione
dall’esercizio di impresa commerciale per dieci anni) fosse l’amministratore occulto
della società (conclusione tratta dal rapporto familiare e dalla riferita costante
presente del medesimo nei fondi, durante le operazioni di precedente bonifica).
Secondo quanto riferito nel ricorso e nel provvedimento impugnato, la
richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo veniva dichiarata
inammissibile per ragioni in rito.
Una successiva prima istanza (proposta il 1.12.2014) dì dissequestro dei
terreni e restituzione agli aventi diritto veniva respinta con ordinanza del GIP in
data 29.12.14; in tale provvedimento il medesimo Giudice “mandava al P.M. perché
valutasse la possibilità di consentire l’attività aziendale permanendo il sequestro
delle quote”.
Il successivo 7.1.15 Barca, nella qualità di amministratore formale della
società, proponeva “istanza per autorizzazione al proseguimento di attività
aziendale”. Con ordinanza depositata il 21.1.15 il GIP dichiarava non luogo a
provvedere sull’istanza “perché si tratta di replica di altra istanza già rigettata il
29.12.14”.
Investito in sede di appello ex art. 322-bis c.p.p., il Tribunale di Messina con
ordinanza del 26-27.3.15 ha rigettato l’impugnazione sulla base di queste
argomentazioni: pur non essendo mai stati vagliati i presupposti di applicabilità
dell’originario provvedimento cautelare, in ragione della dichiarata inammissibilità in
rito dell’istanza di riesame, l’istanza al GIP era volta esclusivamente ad ottenere un
provvedimento autorizzativo sicché, per l’effetto devolutivo dell’appello, il fumus
delitti non poteva essere oggetto di disamina; oggetto del sequestro non era
l’azienda ma il terreno su cui l’attività era esercitata; in ogni caso ove interpretata
come istanza di accesso al fondo per le esigenze produttive dell’azienda la stessa
doveva essere rigettata perché tale prosecuzione avrebbe vanificato le finalità
cautelar’, volte ad impedire che l’ “incapace” Mangano potesse invece esercitare di

GIP di Messina il 2.10.14, sul presupposto che tale Antonino Mangano (padre di una

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fatto l’attività imprenditoriale che gli era inibita a seguito della pena accessoria
conseguente a condanna per bancarotta.

2.

Francesco Amilcare Barca ricorre ora avverso tale ultima ordinanza

enunciando tre motivi di violazione di legge, con riferimento: 1) agli artt. 597 e
125.3 c.p.p. per l’omessa motivazione sulla sussistenza dei presupposti legittimanti
l’originario provvedimento genetico, pur avendo l’istanza ampiamente argomentato
sia dell’estraneità di Antonino Mangano alla struttura ed all’attività societaria che

per affermare il contrario; 2) all’art. 321.1 c.p.p., per la mancata indicazione degli
elementi concreti che avrebbero fondato il fumus commissi delicti; 3) agli artt. 4,
41 e 27 Cost. in relazione all’argomentazione del Tribunale che aveva riconosciuto
essere l’ambito del sequestro limitato al terreno e non pure alla società, tuttavia poi
avendo tenuto insieme i due distinti aspetti confermando la misura nei suoi termini
originari, con ciò violando i diritti costituzionali di Barca per un reato (dal P.M.
essendo stato ipotizzato l’art. 389 c.p.) commesso da altro soggetto (Antonino
Mangano).

RAGIONI DELLA DECISIONE
3.

A giudizio del Collegio il ricorso va dichiarato inammissibile, con la

conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 1000, equa al caso, in favore della Cassa delle ammende.
A fronte di atto dal non lineare sviluppo argomentativo in relazione al
contenuto del provvedimento impugnato (non luogo a provvedere su richiesta di
autorizzazione alla prosecuzione di attività aziendale) ed alle richieste poi
formulate, il Tribunale ha qualificato l’appello come riguardante profili inerenti le
modalità di custodia del bene in sequestro e ha escluso che oggetto devoluto alla
sua cognizione fosse anche il fumus delicti (ancorché mai vagliato nel merito in
precedenza).
Ha poi, con argomento valutato assorbente, giudicato che l’istanza di
prosecuzione dell’attività nei termini proposti fosse incompatibile con la funzione
preventiva in relazione alla posizione di Mangano, già considerato nell’originario
apprezzamento di merito del GIP quale gestore o co-gestore di fatto della società.
In relazione a tale contesto le tre censure di ricorso vanno considerate
inammissibili, presupponendo una qualificazione contenutistica dell’originario atto
d’appello in termini diversi da quelli che, con apprezzamento di merito non

dell’insufficienza degli elementi in fatto addotti nel decreto di sequestro preventivo

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palesemente incongruo a quanto in concreto (e solo) chiesto dall’odierno ricorrente,
ha specificamente argomentato il Tribunale.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 15.9.2015

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