Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44973 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44973 Anno 2013
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Verdicchio Raffaele, nato il 3.7.1979; Matonti
Lea Anna, nata il 16.6.1993; Langiano Olga, nata il 22.6.1934,
avverso la ordinanza del Tribunale della libertà di Roma del
3.10.2013. Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere
Fabrizio Di Marzio; udita la requisitoria del sostituto procuratore
generale Nicola Lettieri, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso
sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale del riesame di Roma, decidendo
sull’riesame presentato in data 11 aprile 2013 nell’interesse degli odierni
in regata avverso l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della
custodia in carcere a Verdicchio Raffaele; della misura degli arresti
domiciliari a Matonti Lea Anna e della misura dell’obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria a Langiano Olga, ordinanza emessa
il 18 marzo 2013 dal GIP del Tribunale di Cassino, ha confermato il
provvedimento.

Data Udienza: 17/10/2013

Ricorrono gli indagati, assistiti da difensore, con un unico atto, nel quale
contestano: la qualificazione del fatto come di estorsione, osservando
che la parte offesa non avrebbe subito danni patrimoniali -non potendosi
considerare integrati gli stessi dalla semplice violazione della libertà
negoziale della persona offesa, in assenza dell’ulteriore prova di un
effettivo pregiudizio di carattere patrimoniale -; che la stessa non
avrebbe effettivamente subito minacce dall’imputato Verdicchio (atteso

che le eventuali minacce sarebbero intervenute in un momento non
precedente bensì successivo all’atto dispositivo); ricostruendo
alternativamente il fatto al fine di dimostrare che non vi sarebbe stato
alcun depauperamento patrimoniale della vittima; e contestando la
sussistenza delle esigenze cautelari con riguardo alle posizioni di Matonti
Lea Anna e Langiano Olga.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

il ricorso è manifestamente infondato.

2.

Con riguardo alla tecnica redazionale della motivazione di cui
all’ordinanza impugnata, deve innanzitutto osservarsi come sia
consolidato orientamento di questa Corte che la motivazione per
relationem sia legittima «quando: 1) – faccia riferimento, recettizio o
di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui
motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione
propria del provvedimento di destinazione; 2) – fornisca la
dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto
sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia
meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) – l’atto di
riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel
provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno
ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale
l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di
gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della
valutazione o dell’impugnazione». (Cfr., per tutte, Cass. Sez. Un.
Sentenza n. 17 del 21.6.2000 dep. 21.09.2000 Rv. 216664). Nel
caso di specie la Corte territoriale, nel confermare la decisione
impugnata, ha prima rinviato alla esposizione dei fatti contenuta nel
provvedimento di legge svolgendo poi autonoma motivazione con
riguardo agli specifici profili di reazione sollevati dagli indagati,
respingendo criticamente gli stessi.

2

Prima di procedere oltre, è altresì necessario chiarire i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal
giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi
compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione

l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute
adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito
esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione
della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo
di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di
legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento. (Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep.
16.06.1995 rv 201840). Inoltre il controllo di legittimità sulla
motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi
della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la
congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo
che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile
colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli
indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non
involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del
giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la
concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e
giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione
dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità,
quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento
impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e
della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass. Sez.

delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso

1^ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566). Non
possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione
avverso provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese
manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento,
rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non
risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al
suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile

traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali
motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da
memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni
formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo,
cod. proc. pen. (v. Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep.
21.1.2004 rv 227110).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue.
In primo luogo il Tribunale del riesame ha segnalato come nessuna
critica autonoma fosse stata sollevata a sostegno delle posizioni di
Matonti Lea Anna e Langiano Olga: né in punto di sussistenza della
gravità indiziaria e nemmeno con riguardo alla questione della
sussistenza delle esigenze cautelari; cosicché rispetto a tali posizioni
nulla di specifico doveva essere osservato e replicato nella
impugnata ordinanza; né di conseguenza può essere oggetto di
valutazione nel merito in questa sede.
Venendo alla posizione del Verdicchio, e quanto alla integrazione del
delitto di estorsione per compressione dell’altrui libertà negoziale, il
Tribunale ha fatto corretta applicazione, nella sua decisione,
dell’arresto di legittimità secondo cui l’imposizione con violenza o
minaccia di un contraente o di un fornitore integra il delitto di
estorsione, consistendo l’ingiusto profitto con altrui danno
patrimoniale nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al
rapporto in violazione della propria autonomia e libertà negoziale
(Cass. sez. VI, 24.1.2012, n. 9185).
Quanto alla sussistenza delle minacce, si rinvia alla ricostruzione
o

fattuale coerentemente svolta alle pagine da 3 a 6 della ordinanza
impugnata, che il ricorso pretenderebbe di sconfessare senza
nemmeno indicare le ragioni di evidenti illogicità del ragionamento

dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna

seguito dal Tribunale, ma semplicemente prospettando una
alternativa ricostruzione di merito di inammissibile valutazione, in se
stessa, in questa sede di legittimità.
3. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art.
616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali nonché ciascuno al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000 in favore
della Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p. nei
confronti di Verdicchio Raffaele.

Così deliberato il giorno 17.10.2013

emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1000.

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