Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4494 del 12/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4494 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MEGNA MASSIMILIANO N. IL 14/09/1967
avverso l’ordinanza n. 67/2012 TRIBUNALE di MONZA, del
12/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 12/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 giugno 2012, il Tribunale di Monza, decidendo quale
giudice dell’esecuzione, ha rigettato – in mancanza dei presupposti e delle
condizioni di legge – l’istanza avanzata da Megna Massimiliano, volta
all’applicazione della disciplina della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod.
proc. pen., con conseguente determinazione di un’unica pena, in relazione ai
reati separatamente giudicati con le sentenze elencate nella istanza e già

Pubblico Ministero il 21 dicembre 2005 e il 29 gennaio 2010.
2.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

personalmente il condannato, che ne ha chiesto l’annullamento, deducendo la
non corretta applicazione dei principi relativi alla disciplina del reato continuato
per essere chiaramente configurabile l’unicità del disegno criminoso tra i vari
reati, avuto riguardo all’assoluta brevità cronologica tra gli stessi, alla loro
omogeneità e sistematicità, e alla identità delle loro modalità di commissione.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen.,
richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario, disegno
criminoso.
Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della continuazione
in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale
tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita
che implica la reiterazione di determinate condotte criminose. Occorre, invece,
che si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una
pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine
progettati e organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti in
funzione di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al
conseguimento di un unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
comma 2, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del tempo di
commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale

oggetto di distinti provvedimenti di esecuzione di pene concorrenti emessi dal

costituisca di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del medesimo disegno
criminoso, né escludersi che la distanza temporale possa costituire in concreto
un limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione per le difficoltà di
programmazione e deliberazione a lunga scadenza dei singoli episodi criminosi.
1.2. Nella specie, il Giudice dell’esecuzione, che ha preso in considerazione i
reati, cui il ricorrente ha riferito la sua richiesta di unificazione, e i dati di fatto
tratti dalle sentenze in atti, ha logicamente e ragionevolmente ritenuto la non
riconducibilità delle condotte illecite, pur in parte omogenee in concreto quanto

cui è stato commesso il primo reato, valorizzando la diversità dei provvedimenti
di prevenzione o comunque prescrittivi di obblighi, oggetto delle contestate
violazioni, la notevole distanza temporale tra molte delle condotte addebitate, la
non significatività del dedotto uguale modus operandi necessitato dalla tipologia
dell’illecito, la differente indole di alcuni dei reati oggetto dei provvedimenti di
cumulo, e l’inclinazione del condannato, emersa dalle condanne a suo carico, alla
indifferenza verso gli ordini dell’autorità.
Le linee argomentative dell’ordinanza, congrue sul piano logico e corrette in
diritto, resistono alle censure formulate dal ricorrente, che del tutto
infondatamente oppongono la sufficienza di un collegamento semplicemente
eventuale tra i reati e genericamente prospettano, in chiave di contrapposizione
argomentativa, la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della unicità
del disegno criminoso, proponendo una, non consentita, rilettura e rivalutazione
di merito degli stessi dati fattuali indicati nell’ordinanza.
2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

al nomen iuris, a un medesimo disegno criminoso esistente sin dal momento in

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