Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44935 del 18/09/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 44935 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ridente Massimo

‘n. il 13 gennaio 1971

avverso
l’ordinanza 6 novembre 2012 — Tribunale di Sorveglianza di Milano;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
lette le conclusioni scritte del rappresentante del Pubblico Ministero, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende;

Data Udienza: 18/09/2013

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Ritenuto in fatto

1. — Con ordinanza deliberata in data 6 novembre 2012, depositata in cancelleria il 14 novembre 2012, il Tribunale di Sorveglianza di Milano rigettava il reclamo
avanzato nell’interesse di Ridente Massimo avverso il provvedimento di reiezione
del medesimo Magistrato di Sorveglianza di Pavia dell’istanza di concessione di

Il giudice argomentava la propria decisione rilevando che, nell’ultima relazione
di sintesi redatta in data 16 dicembre 2010 e riguardante l’istante, si faceva riferimento a una adesione discreta del soggetto alle attività trattamentali in presenza
però di una serie di infrazioni disciplinari motivate dalla richiesta di assegnazione di
una cella singola pretesa per problemi di natura psichiatrica non meglio certificati.
In altre parole, la revisione critica da parte del condannato, vuoi ne confronti dei
gravissimi reati commessi in passato, vuoi delle stesse infrazioni disciplinari, era
solo verbalizzata e non concretamente attuata.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto
tempestivo ricorso per cassazione Ridente Massimo chiedendone l’annullamento.
In particolare, è stato rilevato dal ricorrente che alcuna motivazione veniva espressa dal giudice in relazione al fatto che non vi fossero più elementi da cui dedurre collegamenti con la criminalità organizzata e comunque in relazione all’applicazione dell’art. 4-bis ord. pen.

2.1 — Con memoria difensiva avanzata, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., il
difensore di Ridente Massimo, ha confutato le argomentazioni espresse dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, riprendendo e approfondendo le doglianze già espresse in ricorso, insistendo per raccoglimento delle medesime.

Osserva in diritto
3. — Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
3.1 — Giova premettere che l’art. 30 ord. pen. contempla due distinte ipotesi, in
presenza delle quali è possibile concedere il permesso. La prima, disciplinata dal
comma primo, riguarda l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un conviven-

Ud. in c.c.: 18 settembre 2013 — Ridente Massimo — RG: 9615/13, RU: 18;

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permesso premio ex art. 30 ter ord. pen.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

te. La seconda, disciplinata dal comma 2, è definita con riferimento a tre elementi:
il carattere eccezionale della concessione; la particolare gravità dell’evento; l’attinenza del medesimo alla vita familiare, l’eccezionalità delle concessioni e la particolare gravità dell’evento si confermano e rafforzano vicendevolmente, concorrendo a
definire un fatto del tutto al di fuori della quotidianità sia per il suo intrinseco rilievo
sia per la non frequenza del suo verificarsi. Quanto all’attinenza alla vita familiare,

legislatore abbia inteso contemplare, come ha espressamente fatto per l’analogo
permesso premio previsto per l’imminente pericolo di vita di un familiare o di un
convivente, eventi legati alla vita della famiglia sia legale che di fatto. L’istituto del
permesso ex art. 30 ord. pen. si connota, quindi, come rimedio eccezionale diretto
a evitare, per finalità di umanizzazione della pena, che all’afflizione propria della detenzione si assommi inutilmente quella derivabile all’interessato dall’impossibilità di
essere vicino ai congiunti o di adoperarsi in favore degli stessi in occasione di vicende particolarmente avverse della vita familiare. Sotto tale profilo, dunque, l’istituto di cui all’art. 30 ord. pen. si caratterizza in modo tale da non consentirne l’utilizzazione come strumento del trattamento (cfr. sul punto anche Corte Cost. n. 84
del 1977).

3.2 — Il permesso ordinario deve essere tenuto distinto dal permesso premio
(art. 30 ter ord. pen.) che ha, invece, una valenza premiale, come suggerisce, del
resto, la stessa denominazione dell’istituto. La relativa esperienza costituisce parte
integrante del programma di trattamento (art. 30-ter, comma 1). Il permesso premio è un incentivo alla collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria in
funzione del premio previsto e, al tempo stesso, rappresenta uno strumento di rieducazione, in quanto consente un iniziale reinserimento del condannato in società.
(Corte Cost. sent. n. 90 del 1988). Il beneficio diviene, altresì, attraverso l’osservazione da parte degli operatori penitenziari degli effetti sul condannato del temporaneo ritorno in libertà, strumento diretto ad agevolarne la progressione rieducativa
(Corte Cost. n. 227 e 504 del 1995).

3.3. — Nel caso in esame il Ridente ha avanzato l’istanza di permesso ai sensi
dell’art. 30 ter ord. pen. e correttamente, il Magistrato di sorveglianza prima e il
Tribunale di sorveglianza poi hanno rigettato il reclamo avverso il citato provvedimento, atteso che, a prescindere dal concreto profilo della questione attinente ai
collegamenti attuali con la criminalità organizzata, ciò che ha rilevato negativamente è stata la valutazione complessiva di péilcolosítà del soggetto (per ragioni anali-

Ud. in c.c.: 18 settembre 2013 — Ridente Massimo — RG: 9615/13, RU: 18;

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sebbene la disposizione faccia uso soltanto di questo aggettivo, è da ritenere che il

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

ticamente espresse e da ravvisarsi nella particolare gravità dei reati in esecuzione e
nella carenza di una revisione critica del proprio pregresso delinquenziale) che non
poteva permettere l’accesso al beneficio richiesto. Il ricorso pertanto, che si incentra invece su problematiche che attengono a censure motivazionali circa l’insussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata (questione solo marginalmente trattata dal giudice che focalizza invece la sua attenzione su altre questioni,

in maniera scoordinata rispetto al testo del provvedimento impugnato, limitandosi a
enunciare ragioni gravatorie non pertinenti.
4. — Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

per questi motivi
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle
Ammende.

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Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 18 settembre 2013
Il onsigliere estensore

Il Presidente

come evidenziato) si sviluppa in modo generico, assertivo e non concreto oltre che

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