Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44913 del 03/07/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 44913 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LA POSTA LUCIA

Data Udienza: 03/07/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MAGGIO FILIPPO N. IL 12/07/1951
avverso la sentenza n. 221/2009 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 16/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA
Udito il Procuratore Gekierale in persona del Dott. O clkpc24,Jooci
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv,Co C’,
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RITENUTO IN FATTO

1. In data 16.2.2012 della Corte di appello di Caltanissetta confermava la
sentenza con la quale il Gup del Tribunale della stessa sede, all’esito del giudizio
abbreviato condizionato, condannava Filippo Di Maggio, con le circostanze
attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi sei
di reclusione, oltre al risarcimento della parte civile costituita, per avere
cagionato l’incendio appiccando il fuoco al terreno di Calandra Checco Giacomo, il
21.9.2006.

La responsabilità dell’imputato per l’incendio, che aveva interessato trenta
ettari di terreno ed aveva distrutto alberi di ulivo e di mandolo e la recinzione,
veniva affermata essenzialmente sulle base delle circostanze riferite dal
testimone oculare Di Maggio Tommaso, ritenuto credibile, mentre il giudice
dell’appello sottolineava l’assoluta inattendibilità delle dichiarazioni a sostegno
dell’alibi dell’imputato dei testimoni della difesa.

2. Ricorre l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando con un
motivo unico la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla
valutazione della prova, secondo i criteri di cui all’art. 192 comma 2 cod. proc.
pen., ed al travisamento della prova.
Deduce, in specie, l’inattendibilità del testimone oculare, mosso da
sentimenti di astio, che ha dichiarato di aver visto l’accaduto da lontano ed ha
riferito circostanze diverse nella fase delle indagini rispetto a quella del giudizio,
come emerge dal verbale di udienza allegato al ricorso.
Invero, non si tratta di titubanze ma di vere e proprie incertezze che non
possono essere giustificate né dal livello culturale, né dalla difficoltà espressiva
del testimone che ha ribadito più volte di trovarsi lontano e di avere desunto che
si trattava dell’imputato dalla circostanza che i cani non abbaiavano.
E’ stata sottovalutata la circostanza che il figlio del ricorrente (assolto)
aveva dichiarato ai carabinieri che il padre era andato a lavorare a San Cataldo,
fatto confermato da Carletta Cataldo.
Inoltre, il testimone ha riferito che il fuoco era stato appiccato in due parti
distinte della proprietà dell’imputato in contrasto con quanto affermato dai vigili
del fuoco.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Come è noto, il giudice di legittimità è chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti atti

3,i)

del processo. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a
fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo e di una
correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere
necessariamente unitario e globale, sulla reale esistenza della motivazione e
sulla permanenza della resistenza logica del ragionamento del giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di

merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Così delineato il perimetro del sindacato di legittimità sulla motivazione,
deve, ricordarsi, altresì, che la categoria logico-giuridica del travisamento della
prova – invero genericamente richiamata dal ricorrente – deve essere tenuta
distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti,
a differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è
incompatibile con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una
palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova
emergente dagli atti processuali e che, quindi, una determinata informazione
probatoria utilizzata in sentenza, oggetto di analitica censura chiaramente
argomentata, è contraddetta da uno specifico atto processuale, pure esso
specificamente indicato. Il travisamento di prova si configura, in sostanza,
quando il giudice di merito ha utilizzato una prova inesistente o ha presupposto
come esistente una prova non assunta.
Peraltro, il vizio di travisamento della prova è ravvisabile quando l’errore sia
idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la
motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio,
fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta doppia conforme e
l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 1, n.
24667, 15/06/2007, Musumeci, rv. 237207).
Esaminati in detta ottica, i rilievi e gli argomenti del ricorrente non sono
palesemente inidonei a fondare i censurati vizi, sostanziandosi nella
rappresentazione di una possibile diversa valutazione di alcune circostanze
emerse nel processo non sufficienti a contraddire la complessiva analisi degli
elementi acquisiti operata in maniera conforme dai giudici di primo e secondo
grado ed esplicitata attraverso una motivazione esente da manchevolezze, da
evidenti incongruenze o da interne contraddizioni.
La Corte ha Q5gzEiria una valutazione complessiva in ordine alla attendibilità
delle dichiarazioni del testimone oculare, escludendo inverosimiglianze e
contraddizioni, tenendo conto di tutte le deduzioni difensive e argomentando sul

21-)

ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di

punto con discorso giustificativo compiuto ed immune da illogicità ed interne
contraddizioni.
Ha, infatti, ritenuto infondata la doglianza del ricorrente in ordine alla
inaffidabilità soggettiva del testimone in quanto mosso da motivi di astio,
sottolineando che aveva dichiarato spontaneamente egli stesso ai carabinieri dei
dissapori familiari con l’imputato ed aveva riferito quanto osservato al
proprietario del terreno nell’immediatezza del fatto. Nessuna incertezza era
emersa, inoltre, dalle dichiarazioni del testimone avuto riguardo alla

quale aveva visto il Di Maggio era solo di alcune centinaia di metri in aperta
campagna, quindi, non tale da inficiare la percezione del testimone. I giudici
dell’appello hanno anche messo in evidenza che la circostanza della presenza dei
cani nella masseria dell’imputato ha trovato positiva conferma in ciò che ha
riferito La Monica Calogero; mentre, plausibilmente è stata ritenuta del tutto
trascurabile l’errata indicazione da parte del testimone di uno dei punti in cui il
fuoco era stato appiccato rispetto a quanto affermato dai vigili del fuoco.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la circostanza che il figlio
avesse dichiarato ai carabinieri che il padre era andato a lavorare a San Cataldo,
confermata anche da Carletta Cataldo, è stata ampiamente valutata dai giudici di
merito che hanno argomentato sulla inaffidabilità dei testimoni di alibi,
palesemente contraddetti da altre circostanze, in specie, avuto riguardo alla
telefonata che avvisava il ricorrente dell’incendio mentre si trovava a San
Cataldo.
Le restanti doglianze si sostanziano in censure di fatto la cui valutazione è
preclusa nel giudizio di legittimità.
Si deve concludere, quindi, per la inammissibilità del ricorso cui consegue
per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione,
al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Il ricorrente deve essere condannato, altresì, alla refusione delle spese
sostenute in questo giudizio dalla parte civile che, tenuto conto del numero e
dell’importanza delle questioni trattate, della tipologia ed entità delle prestazioni
difensive, avuto riguardo alla tariffa forense, si liquidano in complessivi euro
3.000,00, oltre rimborso forfettario per spese generali, IVA e CPA.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle

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individuazione dell’imputato quale autore del fatto; invero, la distanza dalla

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ammende, nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile che
liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso, il 3 luglio 2013.

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